Bambini in Rete, baby influencer e intelligenza artificiale: cosa sta succedendo?
Il punto di vista di Jacopo Ierussi, avvocato, presidente di AssoInfluencer Confcommercio. La premessa: “I nostri associati possono essere solo maggiorenni. Quali devono essere le regole”

Roma, 10 maggio 2025 - Jacopo Ierussi, avvocato, presidente di AssoInfluencer Confcommercio. Minori in rete vuol dire anche baby influencer, bambini social – una realtà contro ogni regola – che pubblicizzano prodotti e sono spesso protagonisti a loro insaputa a causa soprattutto dello sharenting, la condivisione online di contenuti sui figli minori da parte dei genitori.
“Intanto un chiarimento: i nostri associati possono essere solo maggiorenni. Questa è una scelta che abbiamo fatto all’inizio, per ragioni associative e anche perché abbiamo meccanismi istituzionali che vanno garantiti e sarebbe complesso farlo nei confronti di chi ha la patria potestà. La prima regola? Verificare i limiti di età stabiliti dalle piattaforme. Quello è il punto base, imprescindibile”.
Influencer, qual è il giro d’affari
L’occasione, guardando i numeri, appare davvero ghiotta. Nelle ultime stime 2024 il giro d’affari della creator economy vale 4 miliardi, Instagram è in cima alla lista con 3,3 miliardi, poi TikTok (446) e YouTube (280). Italia terza in Europa per numero di influencer. Mentre la spesa per il marketing si aggira sui 400 milioni. E sull’età si può mentire.
"Non è un hobby ma un lavoro”
“Quando una persona inizia a svolgere un’attività in modo professionale, perché la content creator economy non è amatoriale e quindi parliamo di lavoro nel mondo dello spettacolo, non si può immaginare che questa situazione duri nel lungo periodo. Fra l’altro: sarebbe pubblicità negativa”.
Avete mai ricevuto richieste da genitori di bambini che vogliono iniziare i figli a questa professione? “No, non ci è mai capitato. Anche se abbiamo associati molto giovani. La mia convinzione è che le regole devono essere le stesse per tutti quelli che entrano nel mondo dello show business. Vale per i baby influencer ma anche per i baby calciatori o per i baby cantanti. Quindi il problema non è nuovo, esiste da tanto tempo. Ci possono essere prospettive di carriera ma vanno messi in conto anche danni molto importanti, quando non si mette la cura del minore davanti a tutto il resto. Siamo sempre nel contesto dell’intrattenimento. Capita che divento famoso sui social poi magari mi trovo in un programma tv, faccio la comparsata nel film…”.
"Valgono le regole del lavoro minorile”
C’è l’idea di un mondo senza regole. “Le regole ci sono, sono quelle che disciplinano il lavoro minorile. Poi, ripeto, ci sono i meccanismi per la verifica dell’età”. In generale, cosa pensa del fenomeno baby influencer?
“Difficile rispondere, come quando ci poniamo di fronte a fenomeni equivalenti. Da padre mi auguro che siano al centro la salute mentale e il benessere del minore e che sia tutelato anche sotto l’aspetto economico, in modo che il ragazzo non diventi uno strumento ma un giovane professionista che un domani può sbocciare e avere un futuro. Da avvocato guardo a questo mondo attraverso gli occhi rigidi di chi fa proprie le leggi sul lavoro, ci sono regole da rispettare, punto. Da presidente di AssoInfluencer, voglio assicurarmi che chi si avvicina a questo mondo sappia che cosa vuol dire svolgere un’attività professionale. Questo mondo viene dipinto come un gioco ma non lo è, ci sono obblighi e responsabilità. Quindi educhiamo i giovani e chi è vicino a loro perché eventuali errori non rovinino la vita di un potenziale professionista nascente e nel frattempo non vadano a danneggiare l’intera categoria”.
“Influencer e intelligenza artificiale, cosa sta cambiando”
E l’intelligenza artificiale come ha cambiato il lavoro dell’influencer?
“Sicuramente ha reso più accessibili certe dinamiche. Usata bene, ha alleggerito il lavoro, ad esempio nella creazione di contenuti e in fase di montaggio. Ma deve valere la regola che l’uso dell’Ia da parte degli influencer debba essere specificato, come quando si utilizzano gli hashtag in un certo post, legato a una collaborazione commerciale. Ed è giusto che sia così”.