Bagnoli Rossi, FAPAV: «Con la pirateria nel calcio è attiva una vera e propria filiera illegale che danneggia l’industria»
Per gli sport nazionali, la pirateria audiovisiva rappresenta una minaccia alle fondamenta economiche. Solo per il calcio, i danni quantificati e comunicati dall’Amministratore Delegato della Lega Serie A Luigi De Siervo parlano di circa 300 milioni di euro di impatto. È tanto il peso finanzario che ogni stagione i club devono sopportare, rinunciando ad acquisti […] L'articolo Bagnoli Rossi, FAPAV: «Con la pirateria nel calcio è attiva una vera e propria filiera illegale che danneggia l’industria» proviene da ilBollettino.

Per gli sport nazionali, la pirateria audiovisiva rappresenta una minaccia alle fondamenta economiche. Solo per il calcio, i danni quantificati e comunicati dall’Amministratore Delegato della Lega Serie A Luigi De Siervo parlano di circa 300 milioni di euro di impatto. È tanto il peso finanzario che ogni stagione i club devono sopportare, rinunciando ad acquisti più onerosi di nuovi giocatori e allo sviluppo di infrastrutture.
«La pirateria e la diffusione illegale di contenuti relativi a eventi sportivi è di gran lunga il fenomeno più in crescita degli ultimi anni, in maniera persino maggiore rispetto a film e serie televisive. La sua crescita ha avuto come giro di boa il periodo successivo al lockdown, che ha dato slancio al movimento, il quale ha poi continuato a espandersi con costanza» dice Federico Bagnoli Rossi, Presidente e Direttore Generale FAPAV.
«Come FAPAV, facciamo ogni anno uno studio insieme a IPSOS per avere una fotografia dell’andamento di questa pratica illegale in Italia. Abbiamo potuto notare come in questi anni l’incidenza sulla popolazione italiana abbia raggiunto il 15% per ciò che riguarda gli sport live, per un’ingente perdita di fatturato che colpisce tutta l’industria dello sport. Nel panorama audiovisivo, i prodotti cinematografici rimangono quelli più piratati. Ma nel complesso, i contenuti il cui sfruttamento illecito è cresciuto di più sono proprio le manifestazioni sportive dal vivo.
Allo stesso tempo, dobbiamo dire che oggi il nostro Paese è l’unico che ha una procedura amministrativa capace di rendere possibile il blocco dei siti pirata a 30 minuti dalla messa online del contenuto incriminato. Questo vuol dire che una partita piratata si può bloccare, insieme al sito web che la diffonde, in maniera molto tempestiva. Un successo raggiunto grazie a un nuovo regolamento AGCOM, che ha reso possibile – in un solo anno di attività di Piracy Shield – il blocco di oltre 40.000 contenuti.
In altre parole, si parla di 40.000 indirizzi bloccati in appena 12 mesi. È un numero incredibile: basti pensare che nel caso dei siti di pirateria cinematografica, quelli bloccati da FAPAV sono stati 2.200 in 10 anni. Anche perché – va specificato – c’è una procedura diversa rispetto a quella dello sport e i numeri sono parecchio più bassi».
La pirateria non danneggia solo i club, ma l’intero ecosistema sportivo. Quali altre categorie – come broadcaster, sponsor e tifosi – sono colpite da questo fenomeno e in che modo?
«È una domanda molto interessante, perché spesso non si parla abbastanza della cosiddetta perdita di fatturato, diretta e indiretta. Nel primo caso, si intendono i danni economici ai club, alle federazioni e a ciò che gira loro intorno. Ma è interessante scoprire meglio e analizzare quella indiretta. Prendiamo per esempio il cinema. In questo settore possiamo partire dell’agricoltore che coltiva il mais, che diventerà popcorn e che arriverà nelle sale cinematografiche.
Se nessuno va al cinema, anche per il coltivatore a lungo andare ci sarà meno lavoro e dunque anche lui subirà una perdita economica. Questo per spiegare quante realtà ci sono dietro le industrie audiovisive e quanto siano miopi alcuni discorsi rispetto al reale e potenziale danno di questo fenomeno. A me, più che di pirateria, piace parlare di criminalità informatica, perché i soggetti che si occupano della diffusione e del funzionamento di questo sistema hanno una forma mentis criminale. Non sono ladri tradizionali, ma persone capaci di gestire una filiera illecita come se fosse lecita. Una vera e propria industria parallela, che incide su tutto l’ecosistema industriale, prendendo di mira qualsiasi cosa e creando danni su più livelli.
Per esempio, altera le condizioni stesse delle aziende, che poi possono avere difficoltà ad avere un ricambio generazionale. Un vero e proprio effetto a vortice, che va a incidere anche sulle nuove generazioni che vogliono entrare in questi settori. È un problema molto concreto, più di quanto si possa pensare. Tutti fanno del business, l’unica differenza è quanto ne fanno. I pirati hanno sicuramente avuto un’evoluzione nei loro affari.
Adesso c’è esigenza di fare denaro e hanno capito che, attraverso attività illecite, possono intraprendere anche altre azioni illegali: dal furto di identità alla creazione di veri e propri database di dati personali, passando per la loro compravendita, per i furti dei codici delle carte di credito e via dicendo».
È stupefacente anche l’evoluzione del tradizionale “pezzotto”…
«Assolutamente sì. Adesso apri applicazioni di messaggistica come Telegram, trovi il contatto di queste persone che diffondono i servizi, inizi a parlarci per chiedere informazioni, ti dicono di chiamare a un numero di telefono e in pochi giorni arriva a casa un tecnico che installa il decoder a casa tua e ti attiva il cosiddetto “pezzotto”.
Essendo un business a catena, la persona in questione potrebbe anche tentare di fare networking e chiederti se hai qualche amico o parente che è interessato, o addirittura proporti di avviare una collaborazione e di vendere tu stesso gli abbonamenti. Questi soggetti, che gestiscono il business, hanno tra le mani un vero e proprio sistema piramidale con effetto moltiplicativo, dove anche il cliente stesso può diventare rivenditore».
Oltre alla repressione, è possibile agire sulla prevenzione?
«Posso confermare che, mai come negli ultimi anni, si sono fatte attività di comunicazione per la sensibilizzazione del cittadino e per prevenire la diffusione della pirateria sportiva. Basti pensare alla Presidenza del Consiglio che, già dopo l’emergenza pandemica, ha acquisito e avviato ben due campagne.
La prima con l’ex attaccante dell’Inter Bobo Vieri come testimonial e la seconda, che è stata lanciata lo scorso ottobre, denominata “We Are Stories 2”, focalizzata sui giovani, sulle nuove generazioni e sull’incidenza negativa che la pirateria ha sul lavoro. Il Governo sta facendo un lavoro incredibile da questo punto di vista, direi senza precedenti. Questa lotta è stata anche implementata nei progetti di comunicazione e di attività didattiche nelle scuole. Attraverso collaborazioni dirette con il Ministero della Cultura e quello dell’Istruzione e del Merito.
I due organi hanno introdotto l’educazione all’immagine nelle scuole, sottolineando come sia necessario costruire una cultura audiovisiva comune che debba essere veicolata anche attraverso il valore della tutela dei contenuti. È importante farlo anche con progetti che raccontano alle nuove generazioni cosa c’è dietro a una canzone, un film o una serie TV. Per capire meglio il valore di ciò che c’è dietro la macchina da presa».
C’è un confronto con altri Paesi europei su questo tema?
«L’Italia oggi è la Nazione con più strumenti di tutela e con un minor range di tempo necessario per il blocco di siti illegali. Forse anche a livello mondiale. In 30 minuti infatti riusciamo a fermare la messa online. In queste settimane, l’AGCOM ha anche avviato una nuova consultazione pubblica per poter allargare questo regolamento – oggi legato solo allo sport – alle prime visioni cinematografiche, alle dirette televisive non sportive e ad altri contenuti culturali.
Rimane allo stesso tempo da tenere in considerazione il fatto che la pirateria in Italia è molto diffusa. Il “pezzotto” ha avuto un effetto a catena piramidale che oggi lo ha reso noto ai più. Faccio l’esempio di un episodio che si è verificato realmente. Diversi cittadini hanno raccontato di essere andati a fare la spesa e, una volta arrivati in cassa, oltre a pagare il conto si sono visti offrire anche “pezzotto” dal cassiere. Questo fa capire quanto sia diffuso e remunerativo. Un allargamento che è direttamente proporzionale ai guadagni che ne derivano: basti pensare che in pochi anni è cresciuto moltissimo.
Per tentare di arginare la sua diffusione, l’industria audiovisiva ha sviluppato in tempi record modelli di business e tecnologie. Velocizzando l’intero processo e concludendolo anche nel giro di pochi mesi o giorni. Le industrie dei contenuti e delle emozioni come il cinema, la TV e lo sport sono quelle che, più di altre, hanno investito in tecnologia per far arrivare il contenuto al consumatore finale nel migliore dei modi, lanciando il cuore oltre l’ostacolo. Il digitale, in particolare, è una grande opportunità per tutti. Ma non sta funzionando proprio per colpa della pirateria e della diffusione di contenuti in maniera illegale».
Cosa ne pensa delle critiche a DAZN e di chi incolpa l’offerta insoddisfacente delle piattaforme legali per la diffusione della pirateria sportiva?
«A me sembra che alla base di qualsiasi motivazione ci sia il fatto che l’italiano ha a volte una tendenza a cercare scappatoie gratuite, anche se illecite, pur di risparmiare. Si parla tanto di prezzi alti. Ma va sottolineato che gli abbonamenti per gli eventi sportivi in Italia sono tra i più bassi in tutta Europa. Basta fare una verifica e controllare, per esempio, quanto pagano i tifosi in Inghilterra per seguire il calcio e le dirette sportive.
Poi certamente nel nostro Paese abbiamo un’infrastruttura telefonica che purtroppo spesso e volentieri ha dato problemi, perché non è riuscita a reggere la banda. Quindi la mole di contenuti trafficati sulle reti. Dal mio punto di vista, il problema è stato proprio che i mezzi tecnici non erano ancora all’altezza di servizi come quelli promessi da piattaforme come DAZN. Sicuramente possono capitare degli incidenti, ma il focus è un altro, secondo me, e va individuato nella cultura e nei comportamenti sociali.
Oggi col “pezzotto” paghi 10 euro al mese e accedi non solo alla piattaforma italiana, ma a qualsiasi piattaforma d’Europa. Addirittura, alcuni di questi servizi sono provvisti di un numero di telefono con il servizio clienti attivo tutto il giorno. Per questo parlo di una filiera illecita, che si è messa a fare concorrenza sleale a quella lecita».
Dal punto di vista normativo, ritiene che in Italia si stia facendo abbastanza?
«Su questo fronte, siamo a uno stadio decisamente avanzato. Basti pensare che, nell’ultimo anno e mezzo, la legge antipirateria è stata già aggiornata ben 2 volte per renderla pronta e al passo coi tempi. Questo perché, essendo una filiera illecita che va avanti, sviluppando e migliorando i suoi servizi, c’è bisogno di intervenire in maniera sempre diversa. Ed è necessario aggiornare la legge per dare all’AGCOM strumenti volti all’intervento repentino contro questo fenomeno».
Guardando al futuro, quali sono i prossimi passi nella lotta alla pirateria?
«Di sicuro posso dire che avremo un problema anche nei prossimi anni. Potremo sempre andare a cercare di ottimizzare gli strumenti di tutela, ma anche le tecnologie di questi cybercriminali saranno sempre più aggiornate. E il motivo è presto detto: il pirata agisce da uomo d’affari e deve sviluppare strategie tecnico-tecnologiche innovative. Per portare il contenuto rubato a casa degli italiani che gli pagano un abbonamento.
Non so nemmeno dire che cosa potrebbe succedere dall’oggi al domani, perché ogni giorno assistiamo a nuove evoluzioni. Ma questo fenomeno continuerà, c’è poco da fare. Quello che noi possiamo fare è cercare di mettere in condizione il nostro Paese. E noi titolari di diritti, di poterci difendere, per tamponare al meglio e più efficacemente un fenomeno criminale, gestito in maniera criminale, che mette a rischio aziende e posti di lavoro».©