Armi nucleari, il vertice Usa-Iran si tiene a Roma: perché è importante

Si tratta dei negoziati a più alto livello tra i due Paesi dal 2018, quando Trump decise di ritirare gli Stati Uniti dall'accordo sul nucleare con Teheran. Ma cosa vuole davvero?

Apr 14, 2025 - 13:47
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Armi nucleari, il vertice Usa-Iran si tiene a Roma: perché è importante

La ricetta del disimpegno degli Stati Uniti proposta da Trump coinvolge vari quadranti del mondo. Uno dei più strategici è il Medio Oriente, dove la perdurante violenza di Israele tiene alto il fuoco della guerra contro l’Iran e i suoi agenti di prossimità (Hamas, Hezbollah e Houthi). Tra i vari sconvolgimenti geopolitici inaugurati dal presidente americano, spicca anche la riapertura del dialogo con Teheran sulla questione nucleare. Dopo un primo round di colloqui in Oman, i due Paesi hanno scelto Roma come secondo teatro dei negoziati.

Quando e come è previsto l’incontro tra Usa e Iran a Roma

Le delegazioni dei due Paesi si incontreranno a Roma sabato 19 aprile. Come riportato da Axios, gli Usa si sono detti soddisfatti dell’andamento del primo round di negoziati tenuti a Muscat. Mantenendo sempre la posizione dell’Oman come mediatore dei colloqui, sono stati gli stessi americani a suggerire la capitale italiana come sede dell’incontro successivo. Un incontro che si differenzia dal primo anche dal punto di vista formale: mentre a Muscat si sono svolte trattative indirette, a Roma si opterà (tacitamente) per un colloquio diretto tra funzionari investiti dalle rispettive cancellerie.

C’è tuttavia chi sostiene che verrà mantenuto il formato “indiretto”. Eppure sabato scorso l’inviato speciale di Trump per il Medio Oriente, Steve Witkoff, ha intrattenuto un dialogo diretto col ministro degli Esteri iraniano, Abbas Araghchi, per ben 45 minuti. Molto più a lungo di quanto rivelato pubblicamente (si è solo parlato complessivamente di 2 ore e mezza circa di incontro). Lo stesso Iran ha preferito ridimensionare la portata della distensione coi nemici americani, per via delle pressioni interne esercitate dai sostenitori della linea dura anti-occidentale.

Perché Usa e Iran dialogano sul nucleare

Come la Russia, anche l’impero persiano resta un rivale strategico degli Usa, ma le contingenze hanno spinto Washington a stemperare anche il fronte iraniano. Almeno sul nucleare, con un grande obiettivo comune anche alle altre potenze: impedire che anche la Repubblica Islamica ottenga la bomba. Da questo principio scaturiscono tutte le tattiche, al netto dei minacciosi proclami di Donald Trump e delle speculazioni fuorvianti.

Si tratta del dialogo di più alto livello tra funzionari statunitensi e iraniani da otto anni a questa parte. Nel maggio 2018 fu lo stesso Trump a surriscaldare i rapporti con Teheran, ritirando gli Usa dall’accordo sul nucleare iraniano (Jcpoa) stipulato nel 2015 e reintroducendo le sanzioni secondarie sospese nel gennaio 2016. Assistiamo dunque all’ennesimo dietrofront del tycoon, le cui iniziative presidenziali vanno sempre più interpretate con lo schema affaristico del businessman: “punto forte e poi mi accordo”, come teorizzato nel suo celebre libro The Art of the Deal.

Cosa aspettarsi dai negoziati Usa-Iran sul nucleare

I colloqui di Muscat e Roma sono considerati un primo passo importante per stabilire se si possa raggiungere un accordo. Dal punto di vista geopolitico, occorre tuttavia ridimensionare le aspettative. Gli Usa restano fermamente ostili all’Iran, che nel frattempo ha stretto la rete di scambi e cooperazione strategica con gli altri grandi rivali della superpotenza: Russia e Cina. Per di più, seppur avvolta nel mistero di dati non certi, la capacità nucleare di Teheran e la crescente soglia di arricchimento dell’uranio preoccupano i decisori statunitensi.

In un momento di profonda stanchezza imperiale e di fibrillazione globale per la guerra dei dazi e la crisi della globalizzazione, gli Stati Uniti puntano a evitare che i nemici ne approfittino per diventare più forti. La questione principale sul tavolo è quale tipo di accordo ciascuna parte sarebbe disposta ad accettare.

Cosa vogliono (davvero) Iran e Stati Uniti

A marzo Trump aveva inviato una lettera diretta alla guida suprema dell’Iran, veicolata dagli Emirati Arabi Uniti, nella quale affermava di voler raggiungere un’intesa per impedire a Teheran di acquisire armi nucleari e per rassicurare la controparte su possibili attacchi militari da parte di Stati Uniti e Israele. Un altro obiettivo di Washington è ridimensionare la portata degli scambi tra Iran e Cina. Le sanzioni colpiscono anche i Paesi terzi che operano nel mercato petrolifero iraniano, primo fra tutti il Dragone. Che, assieme agli idrocarburi ottenuti sottocosto e a rate da Mosca, potrebbe potenziare il proprio settore militare e industriale oltre la soglia di pericolosità stabilita dagli americani.

La Repubblica islamica, da parte sua, spera in un accordo per limitare, ma non smantellare, il suo programma nucleare in cambio della revoca delle sanzioni occidentali. Una fonte anonima in Oman ha dichiarato all’agenzia di stampa Reuters che i colloqui avrebbero avuto come obiettivo dichiarato quello di allentare le tensioni regionali e garantire lo scambio di prigionieri.

Nel mezzo si inserisce però Israele, baluardo atomico foraggiato in Medio Oriente dagli americani proprio in funzione anti-iraniana. Dietro le quinte, i decisori dello Stato ebraico hanno proposto agli Usa il “modello Libico” come soluzione ideale: lo smantellamento completo del programma nucleare iraniano, seguito da un cambio di regime. Il premier Benjamin Netanyahu continua a fare pressione su Washington affinché mantenga questa strategia sul tavolo. Una soluzione che gli apparati statunitensi sembrano tuttavia non caldeggiare. Almeno per il momento, mentre la linea della “massima pressione” su Teheran resta irrinunciabile. Tutta questa serie di fattori, in conclusione, rende molto fragile e incerto il futuro di qualsiasi accordo tra Occidente e Iran.