Roberto Vecchioni e la lezione della parola: “Sul palco mi sento ancora libero”

Il cantautore milanese: mi spaventa lo scenario internazionale, ma resto ottimista sulla ragione umana. “Ho scelto di lavorare sul legame tra il linguaggio e le emozioni. La scuola? Purtroppo è peggiorata”

Apr 3, 2025 - 04:01
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Roberto Vecchioni e la lezione della parola: “Sul palco mi sento ancora libero”

Milano, 3 aprile 2025 – Dialogo col professore. Argomento? Il campionato di calcio, ovviamente. Poi c’è il resto. Come il recente libro L’orso bianco era nero. Storia e leggenda della parola, appassionato trattatello sul linguaggio (Piemme). O le nuove date del tour Tra il silenzio e il tuono: stasera a Lugano per poi spostarsi il 10 a Bergamo e il 17 a Brescia.

Vecchioni, perché indagare la parola?

"Sono quarant’anni che lo volevo fare! E non trovavo mai la chiave giusta. La materia è parecchio frequentata dagli studiosi. Ci sono tantissimi saggi accademici, a volte rompono un po’ le balle. Io ho cercato uno sguardo diverso".

Su cosa ha scelto di lavorare?

"Sulla parola applicata a quei campi dove è più forte il legame con l’emozione. Sono partito da lì. Per poi ragionare su come il linguaggio non sia un oggetto dell’oggi, estemporaneo. Ha una sua nascita, un’evoluzione, arriva a noi faticosamente, caratterizzandoci. Ma sono pagine in cui mi addentro anche in un’opera sconosciuta (e fondamentale) come Notti attiche di Aulo Gellio o nei misteri dell’enigmistica".

Di cui è grande appassionato.

"È così. Mi piace quella classica con tutti i suoi giochi, dai bisensi alle sciarade. Offrono un’immagine tangibile delle infinite possibilità d’incontro intorno a noi. Un universo ricchissimo. Che tendiamo a dimenticare. Come la nostra intelligenza, piuttosto trascurata".

La parola appare in sofferenza.

"Per svariate ragioni. A partire dal fatto che c’è un analfabetismo funzionale dilagante: si parla di circa il 40% degli italiani che non riesce a comprendere un testo in lettura. Ma non si dia la colpa alla scuola".

Ci mancherebbe.

"Ottimi insegnanti riempiono le nostre aule. Osserviamo invece una profonda stanchezza esistenziale nei più giovani. Per altro comprensibile. Sembra che tutto vada male, a chi viene voglia di spendere tempo sui libri? Anche se è difficile generalizzare e spesso si parla di contesti complessi, povertà economica e diversità culturale".

La politica sembra sfruttare questa fragilità in cerca di un facile consenso.

"Sì, è il centro della questione. E le dico che ormai faccio fatica a distinguere destra e sinistra. Come i sofisti, gli influencer o i pubblicitari, i politici cercano di mettere in luce un solo aspetto della situazione, quello che potrebbe attrarre il compratore, nascondendo tutto il resto. È l’idea di una parola elastica, di plastilina, che puoi tirare dove ti pare ma allungandosi perde di spessore".

Come insegnante ha visto un peggioramento?

"Sì, senza dubbio. Fino agli anni 90 c’è sempre stata una parte in grado di appassionarsi. Poi ho assistito a un crollo dell’attenzione. Ma i fattori sono infiniti, dovremmo scrivere un libro di 200 pagine sulla questione. C’è la tendenza a scivolare sulle cose, soffermandosi solo su ciò che viene considerato utile in quel momento. I ragazzi non pensano avanti e non si guardano indietro. Che poi è la filosofia del Paese che gli abbiamo costruito intorno".

La spaventa la scena internazionale?

"Moltissimo. Eppure rimango ottimista. Possiedo un’inossidabile fede nella ragione umana, capace di intervenire prima che si superi una soglia. Poi chissà, magari invece arriverà perfino uno peggio di Trump. Certo sembriamo tutti assaliti da qualcosa, pronti a difenderci con le unghie. C’è disagio".

Anche Milano rischia la bocciatura?

"Non riesco a bocciarla. Nemmeno di fronte alla sufficienza risicata di questi anni. C’è da dire che ormai è gigantesca, sembra un’esposizione universale delle tendenze umane, si trova un po’ di tutto. E poi è pretenziosa, se qualcosa va male diventa subito una bufera. Come si è visto in giunta. A volte mi sembra peggio di Montecitorio".

Mi sa che le viene più facile promuovere la sua Inter.

"Gli scrutini finali sono però ancora tutti da capire. In Champions ci aspettano Bayern e Barcellona, non sarà facile. Spero che il Napoli perda qualche colpo".

Vabbè, meglio tornare alle parole. Magari a quelle che la seducono.

"Libertà, amore, rispetto. Quello armonico, per il mondo. E le cose belle spesso possiedono lontane radici comuni. Concetti che evolvono e fanno stare bene".

Anche sul palco continua a divertirsi?

"Ogni volta è una battaglia con me stesso, vengo consunto dall’ansia. Il timore è di non riuscire a emozionare come nel concerto precedente. Una volta salito però cambia tutto. E lì ti senti in grado di fare qualsiasi cosa. Tanto che quando poi finisce ti senti pure cretino ad averlo pensato".

Siamo duplici.

"Sempre. Come L’albatro di Baudelaire, che quando vola in alto vive la sua vera natura. Ma una volta catturato, deve affrontare gli scherzi malvagi dei marinai. Ecco, io sul palco mi sento un po’ così: libero. Nonostante anche a terra non mi sia poi andata male...".