Perché a 70 anni dalla sua scomparsa Albert Einstein resta un enigma irrisolto
Albert Einstein è noto in tutto il mondo per aver rivoluzionato la nostra comprensione del cosmo, ma pochi sanno che il celebre scienziato aveva un profondo lato spirituale che torna oggi alla luce, in concomitanza con il settantesimo anniversario della sua morte, grazie al libro "Sono parte dell'infinito" di Kieran Fox, edito da Egea, di cui ospitiamo un estratto per la nostra rubrica domenicale Futuro da sfogliare

Settant’anni fa ci lasciava uno dei geni del Secolo breve: Albert Einstein. Qual è l’eredità che ha lasciato a tutti noi? Attingendo a conversazioni poco conosciute, a lettere pubblicate di recente e a nuove ricerche d’archivio, Kieran Fox col libro Sono parte dell’Infinito, edito da Egea, rivela ciò in cui Einstein credeva profondamente sottolineando perché la sua prospettiva è importante ancora oggi.
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Albert Einstein è un enigma. Questa è una strana affermazione da fare sul fisico più famoso di tutti i tempi, uno il cui nome e il cui volto sono universalmente noti, un uomo celebre per aver rivoluzionato la nostra visione del cosmo. Ma in sostanza, Einstein è ancora uno sconosciuto. Sebbene tutti lo riconoscano come la quintessenza del genio eccentrico, pochi sanno che il celebre scienziato aveva un profondo lato spirituale. La sua mente fenomenica cercava di scandagliare i confini più remoti dell’universo fisico, ma cercava anche di arrivare a una spiritualità con i piedi per terra, che vedesse il divino disseminato ovunque. Einstein sentiva che una forza meravigliosa era intessuta ovunque in tutte le cose, e questo profondo senso del sacro influenzò ogni aspetto della sua esistenza, dalla sua meravigliosa scienza al suo appassionato pacifismo. Alla base dei suoi infiniti sforzi volti a unificare la fisica e unire l’umanità c’era il desiderio di andare oltre ogni apparente dualità e mostrare che ognuno di noi è una parte dell’Infinito.

Einstein sognava di sbarazzarsi dei dogmi religiosi secolari e di arrivare a una nuova nozione dinamica del divino che ben si sposasse con una mentalità moderna. In un certo senso, oggi ci siamo riusciti: scienza e spiritualità sembrano più vicine che mai. I monaci buddisti si fanno esaminare il cervello con le macchine moderne; il Dalai Lama intrattiene regolarmente dialoghi con i ricercatori. E la meditazione consapevole è diventata un pilastro della salute mentale. Ovunque, i laici si impegnano con entusiasmo nella pratica spirituale. Ma siamo ancora molto lontani dal sentimento di riverenza che Einstein provava nei confronti della realtà. La rivoluzione che egli auspicava rimane incompiuta. La sua vita e la sua opera sono esaminate in moltissimi libri, ma la vera storia delle sue opinioni religiose deve ancora essere raccontata.
[…] All’origine della civiltà occidentale c’era un sistema in cui la scienza e la spiritualità erano le più strette compagne: un insegnamento trasformativo noto come hieros logos: la scienza sacra. Albert Einstein era un appassionato seguace di questa scienza sacra. Non solo ha abbracciato questa antica tradizione: l’ha mendata rendendola adatta all’era moderna, articolando un sistema spirituale che onorava le grandi menti dell’antichità senza ignorare gli enormi progressi della nostra epoca. Einstein voleva condividere le idee, dunque ne scrisse in modo divulgativo in alcune delle pubblicazioni più importanti del mondo. Ma nonostante la sua immensa fama e le sue ineguagliabili conquiste intellettuali, in vita il suo lato spirituale fu deriso e frainteso. E dopo la sua morte, ha subito un destino molto peggiore: il lato spirituale del più grande fisico della storia è stato praticamente dimenticato. Perché mai?
Forse perché è incomprensibile per i comuni mortali. È facile pensare che la filosofia di Einstein, come la sua fisica, sia proprio al di là della portata di quasi tutti noi. Ma la verità è molto peggio. Non è che Einstein è difficile, è che chiede troppo. Proprio come la sua scienza ha costretto i fisici a rivedere in modo radicale le nozioni di base riguardo alla trama della realtà, la sua spiritualità ci sfida a ripensare alle nostre idee profonde sulla natura e sulla funzione della religione. E sebbene molti oggi non si facciano problemi a criticare le fedi, la dottrina di Einstein richiede molto di più: ci costringe a confrontarci con i sublimi aspetti spirituali che animano l’impresa scientifica. Einstein insiste: vuole integrare l’apparentemente inconciliabile, una fusione di ragione e religiosità che chiamava «sentimento cosmico religioso». Ci vuole una grande immaginazione per apprezzare l’audace visione del mondo di Einstein; la sua splendida unità è qualcosa che la maggior parte di noi proprio non è pronta ad afferrare. Ma comprendere la sua religione cosmica non richiede alcuna professione di fede, o fede cieca, e di sicuro non richiede un’intelligenza fuori del comune.
Non che capire Einstein sia facile, intendiamoci. Comprendere davvero la sua religione cosmica significa conoscere i geni rivoluzionari che l’hanno anticipata e ispirata: Pitagora, Giordano Bruno e Baruch Spinoza in Occidente; Lao Tze, Buddha e gli autori delle Upanishad in Oriente. Non sono letture leggere. Ma la vera difficoltà non è tanto capire cosa hanno scritto; è capire cosa erano. Perché questi non erano solo pensatori o filosofi, poeti o protoscienziati. Tutti erano cercatori di verità, aspiranti all’iniziazione all’Infinito. Si aspettavano qualcosa di più delle semplici risposte alle domande; volevano la comunione con il cosmo, modificare la loro essenza più intima.
Chiunque speri di avvicinarsi a questi insegnamenti deve aprirsi allo stesso tipo di esperienza. È tanto facile credere che non esista nulla oltre il nostro fragile, piccolo ego, che esiste solo per un momento in un tempo infinito. Il cinismo, lo scetticismo e la faciloneria vogliono convincerci che è davvero così. Ma l’idea centrale della religione cosmica, e di tutti i sistemi analoghi che l’hanno preceduta, è che la coscienza può diventare molto più completa. La mente umana può essere plasmata fino a diventare uno strumento potente, uno specchio dell’Infinito. «Arriva un punto in cui la mente fa un salto», disse una volta Einstein, «e arriva su un piano superiore di conoscenza». Sapeva per esperienza personale che ogni cosa duratura, di valore, aveva origine in questo regno superiore, da dove ci era stata riportata da esseri che chiamava «i portatori di un livello superiore di coscienza». Nel corso della storia, «i grandi artisti, pionieri dell’etica e pensatori» hanno scandagliato i cieli e hanno contribuito a «elevare la società umana a un livello superiore di esperienza, visione, etica e comprensione». Quindi era ovvio che «lo stadio più alto della coscienza» fosse da considerare «l’ideale più alto». Era nostro dovere e nostro destino sviluppare la mente in modo da poter continuare a scoprire gli infiniti doni offerti dall’origine inesauribile di tutte le cose.
Einstein chiamava «arci-forza» l’energia eterna che sta alla base di tutto, e non la vedeva certo come un’assurdità New Age o un’entità teorica astratta. L’arci-forza era sempre con noi, manifesta ovunque, il più importante aspetto dell’esistenza fisica. Lui stesso fu il primo a fornire la prova scientifica di questo principio spirituale: la sua equazione immortale E = mc dimostra l’esistenza di una entità potente che permea tutto quanto, un’immensa energia rinchiusa dentro ogni atomo, in attesa solo di essere liberata. E proprio ai tempi di Einstein l’umanità è riuscita a sfruttare l’enorme potenziale di questa forza trascendentale. Il nostro desiderio più antico è stato esaudito: siamo diventati padroni di quello che lui chiamava il «potere fondamentale dell’universo» e abbiamo raggiunto poteri divini. E quando questa forza superiore è stata imbrigliata, è stata sigillata in un’arma orrenda usata per annientare centinaia di migliaia di esseri umani.
Einstein passò il resto della vita a pentirsi di aver «contribuito ad aprire questo vaso di Pandora». Nella nostra forsennata ricerca verso la comprensione della realtà, non ci eravamo mai veramente chiesti se al profondo celasse un lato oscuro. Ma era ormai evidente che l’energia onnipresente dell’Infinito era del tutto indifferente a noi. Il nostro nuovo potere sulla Natura comportava il moltiplicare le potenzialità di creare e distruggere, era demoniaco e divino. Saremmo mai degni di esercitare questi poteri impressionanti? È possibile, si chiedeva Einstein, «dirigere l’evoluzione psichica degli uomini in modo che diventino capaci di resistere alle psicosi dell’odio e della distruzione?».
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Nel mito greco, dopo che Pandora ha sbadatamente fatto uscire tutti i mali del mondo, un’ultima cosa rimane ancora in fondo al vaso: la speranza. E anche per Einstein rimaneva almeno un raggio di luce. Proprio come un «livello superiore di coscienza» aveva potenziato la nostra capacità di compiere sia il bene sia il male, la stessa esaltazione potrebbe liberarci «dalla schiavitù delle brame, dei desideri e delle paure egocentriche» e darci la saggezza necessaria per usare consapevolmente questo meraviglioso potere. «Man mano che l’uomo si rende conto delle stupende leggi che governano l’universo in perfetta armonia […] comincia a rendersi conto di quanto sia piccolo. Vede la meschinità dell’esistenza umana, con le sue ambizioni e i suoi intrighi, il suo credere che ‘io sono migliore di te’. Questo è l’inizio della religione cosmica in lui. L’amicizia e lo spirito di servizio diventano il suo codice morale».
Sia ben chiaro: Einstein chiedeva niente di meno che un nuovo tipo di coscienza. Chiedeva di espandere la mente fino al punto in cui il risveglio etico pareggia l’ingegno dell’intelletto, di avviare una rivoluzione interiore altrettanto radicale della trasformazione che lui aveva contribuito a causare nella sfera scientifica. «Spesso nei processi evolutivi una specie deve adattarsi a nuove condizioni per sopravvivere», diceva. Grazie alla padronanza della materia e al nuovo potere sulla Natura, era convinto che «la razza umana si trova[sse] di conseguenza in un nuovo habitat a cui deve adattare il suo pensiero». La chiave per continuare l’evoluzione era ciò che Einstein definiva «il tipo più alto di sentimento religioso». Una mente veramente cosciente vede che non siamo altro che piccoli nodi in una rete infinita di esseri, in cui tutti i corpi e i confini sono solo convenzioni. E per Einstein dovevamo rispecchiare questa unità metafisica di fondo nel pensiero, nella parola e nell’azione.