Per i dipendenti pubblici stipendi "da fame": lo certifica l'ISTAT
lentepubblica.it L’ISTAT ha acceso un faro su una realtà che in molti vivono ma pochi denunciano con la dovuta forza: quella degli stipendi dei dipendenti pubblici, ormai ben lontani da standard dignitosi. Nella nota trimestrale pubblicata il 29 aprile 2025, l’Istituto nazionale di statistica ha messo nero su bianco un quadro che definire preoccupante è poco, […] The post Per i dipendenti pubblici stipendi "da fame": lo certifica l'ISTAT appeared first on lentepubblica.it.

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L’ISTAT ha acceso un faro su una realtà che in molti vivono ma pochi denunciano con la dovuta forza: quella degli stipendi dei dipendenti pubblici, ormai ben lontani da standard dignitosi.
Nella nota trimestrale pubblicata il 29 aprile 2025, l’Istituto nazionale di statistica ha messo nero su bianco un quadro che definire preoccupante è poco, soprattutto per chi lavora nelle amministrazioni pubbliche.
Secondo i dati, al termine del primo trimestre del 2025 risultano attivi 40 contratti collettivi nazionali che coprono poco più della metà dei lavoratori italiani, circa 6,9 milioni di persone. Tuttavia, il loro impatto sul monte salari complessivo non supera il 50,7%, segno di una distribuzione delle retribuzioni tutt’altro che equa.
E se già questo lascia intravedere una disparità evidente, la situazione si fa ancora più drammatica quando si guarda al comparto pubblico.
La situazione preoccupante degli stipendi dei dipendenti pubblici secondo l’ISTAT
Nel settore statale, la situazione retributiva ha ormai assunto i contorni di un blocco strutturale. La dinamica salariale, cioè l’andamento degli stipendi nel tempo, risulta paralizzata. I dati ISTAT relativi al primo trimestre del 2025 parlano chiaro: mentre nel settore privato si registra un aumento, seppur modesto, delle retribuzioni contrattuali, nel pubblico impiego questo incremento è praticamente inesistente. La macchina dei rinnovi contrattuali è ferma, bloccata da una politica che, nei fatti, ha abbandonato milioni di lavoratori del comparto pubblico al loro destino.
A pesare è soprattutto la mancata apertura delle trattative per il rinnovo dei contratti relativi al triennio 2025-2027. I contratti attualmente in vigore, infatti, si riferiscono al periodo 2022-2024 e sono formalmente già scaduti. Questo significa che, a oggi, nessun dipendente della Pubblica Amministrazione ha visto nemmeno un euro di aumento per l’anno in corso, mentre l’inflazione continua a mordere. Il risultato è un congelamento salariale di fatto, che penalizza in particolare le categorie più basse della piramide impiegatizia, già sottopagate.
Nel frattempo, nel settore privato – dove la contrattazione collettiva si muove con maggiore reattività – sono stati registrati aumenti nominali degli stipendi. Sebbene questi incrementi non siano ancora sufficienti a recuperare interamente la perdita di potere d’acquisto accumulata negli anni recenti, rappresentano comunque un segnale di movimento. Diversamente, nel pubblico, il silenzio sui tavoli negoziali si traduce in un’assenza totale di adeguamenti, con ricadute tangibili sulle condizioni di vita dei lavoratori.
I numeri: stipendi “reali” inferiori dell’8% a quelli del 2021
Il dato più allarmante, tuttavia, è quello sulle retribuzioni reali: l’ISTAT certifica che, al netto dell’inflazione, gli stipendi – sia pubblici che privati – sono ancora inferiori dell’8% rispetto a gennaio 2021. Ma mentre nel comparto privato si tenta, seppur lentamente, di chiudere il divario, nella pubblica amministrazione il recupero non è nemmeno cominciato. Chi lavora per lo Stato sta pagando il prezzo più alto di anni di immobilismo politico e scarsissima considerazione per il valore del lavoro pubblico.
Questo scenario si traduce in una perdita sostanziale di dignità salariale. Un docente, un infermiere, un impiegato comunale o un operatore dei servizi pubblici si ritrovano a gestire il proprio bilancio familiare con stipendi che, rispetto a quattro anni fa, valgono sensibilmente meno. E tutto questo mentre le bollette aumentano, i mutui si gonfiano, i prezzi dei beni di prima necessità crescono senza tregua. Non si tratta più soltanto di “non farcela a fine mese”, ma di uno smantellamento progressivo della funzione pubblica come lavoro sicuro e socialmente valorizzato.
A rendere la situazione ancora più paradossale è il fatto che proprio i lavoratori pubblici sono stati chiamati negli ultimi anni a sostenere lo Stato in momenti critici – dalla pandemia alla gestione dei fondi PNRR – spesso senza ricevere nulla in cambio se non riconoscimenti simbolici. Ora, privi di rinnovi contrattuali e con stipendi che non reggono il passo del caro vita, si trovano di fronte a un vero e proprio arretramento delle tutele economiche.
Occorre intervenire sul tema
La fotografia scattata dall’ISTAT conferma, dunque, ciò che i sindacati e molti lavoratori denunciano da tempo: chi opera nella Pubblica Amministrazione è penalizzato due volte. Da un lato, subisce l’erosione del potere d’acquisto a causa dell’inflazione. Dall’altro, deve fare i conti con una macchina contrattuale lenta, che lascia migliaia di dipendenti senza adeguamenti economici anche per anni.
Una situazione che si riflette direttamente sulla qualità dei servizi pubblici e sul morale del personale, sempre più demotivato e costretto a fare i conti con stipendi che, spesso, non bastano neppure a coprire le spese essenziali. Il termine “stipendi da fame”, dunque, non è più uno slogan sindacale, ma una triste realtà certificata da numeri ufficiali. E la responsabilità, a questo punto, non può più essere ignorata.
Il testo della nota ISTAT
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