Oscar, il carpet non è più red?

Alla Casa Bianca siede il presidente più sgraziato della storia statunitense e Hollywood non lo sbeffeggia come dovuto, inammissibile. Il carpet non è più red o almeno non lo è abbastanza. Il corsivo di Battista Falconi

Mar 4, 2025 - 08:49
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Oscar, il carpet non è più red?

Alla Casa Bianca siede il presidente più sgraziato della storia statunitense e Hollywood non lo sbeffeggia come dovuto, inammissibile. Il carpet non è più red o almeno non lo è abbastanza… Il corsivo di Battista Falconi

 

Sono divertenti e indicative, le lamentele per la mancanza di premi corretti politicamente agli ultimi Oscar. Ci siamo svegliati dalla notte delle statuette dorate scoprendo che i film più woke non hanno ottenuto i meritati riconoscimenti, meritati ovviamente in quanto woke. Alla Casa Bianca siede il presidente più sgraziato della storia statunitense e Hollywood non lo sbeffeggia come dovuto, inammissibile. Il carpet non è più red o almeno non lo è abbastanza.

Recriminazioni scontate dopo che per tanti decenni l’Accademia ha trasformato la premiazione in una passerella di sentimenti buoni, cioè dem, liberal. Disabili (con prestazioni superiori), malati, fragili (ma fortissimi), neurodivergenti e neurodiversi (non lamentiamoci se Milei ripristina imbecille e idiota) poveri (ma bellissimi), emarginati, gay, lesbiche, transgender, femministe, vittime, sfigati, pacifisti, difensori dei lavoratori hanno avuto i loro warholiani 15 minuti pop, abbondanti, con regolarità che quasi non ammette eccezioni. E proprio ora che ce n’è più bisogno, nulla?

Lo sconcerto riflette in parte, come già abbiamo accennato, il paradosso per cui Trump fa e dice alcune cose sostanzialmente progressiste, de sinistra: vuole la pace, difende aziende e lavoratori, promuove l’innovazione. Però con modi da bullo fascista. A cominciare dal curioso vezzo per cui le cose le fa davvero, dopo averle dette, anzi le fa nel momento stesso in cui le dice. Che poi, sui modi sicuramente rozzi di Donald ci sarebbe comunque da precisare: dopo giorni di tam tam sui social persino le articolesse della Stampa ammettono che Zelensky si è presentato a Washington con un’improvvisazione da parvenue che ricorda il “noio vulevan savuar”…

L’altra ragione di sgomento è che non accettiamo più lo scollamento tra la realtà e la sua rappresentazione, tema sul quale da diversi secoli si accapigliano signori come Arthur Schopenhauer, Friedrich Nietzsche, Luigi Pirandello e, più di recente, stuoli di neuroscienziati. Ce l’ha confermato in modo straziante Eleonora Giorgi, la cui diagnosi di cancro del pancreas è stata una condanna a morte senza possibilità di grazia che le ha offerto la possibilità di una magistrale interpretazione di coraggio, amore e serenità. (A proposito di storytelling, sarebbe utile per malati e medici rivedere la retorica sulla guarigione dai tumori, capire e spiegare bene i dati epidemiologici, il che non vuol dire non provare a fare del tutto per la ricerca e per le terapie).

Solo al fondo di questo scenario, c’è infine la ragione più banale. Negli States come in Italia (non è dappertutto così, in Francia la situazione è molto diversa) lo show biz è una roccaforte dell’egemonia culturale, quella che muove le grandi idee ma non sposta un voto. Perché la gente non capisce, si sa.