Non solo Amazon o Nvidia. Investire sulle small cap Usa
NON SOLO APPLE, Amazon o la gettonatissima Nvidia. Chi investe sul mercato statunitense e vuole avere buoni rendimenti nel medio...

NON SOLO APPLE, Amazon o la gettonatissima Nvidia. Chi investe sul mercato statunitense e vuole avere buoni rendimenti nel medio e lungo periodo, oggi deve guardare soprattutto all’universo delle small cap, le società a piccola e media capitalizzazione. Questo, almeno, è ciò che pensa Louis Ubaka, portfolio manager del fondo CT(Lux) American Smaller Companies della casa di investimenti internazionale Columbia Threadneedle Investments. Per lui, che gestisce assieme al collega Nicolas Janvier un portafoglio di circa 50-80 azioni quotate sulle borse americane, il valore più grande sul listino oggi sta proprio nei titoli delle aziende a dimensione ridotta. Negli ultimi anni, va detto, le small cap hanno indubbiamente deluso le aspettative degli investitori. A macinare rialzi record sono stati infatti soprattutto i big di Wall Street come le cosiddette Magnifiche 7 (Microsoft, Alphabet, Tesla e Meta, oltre alle già citate Apple, Amazon e Nvidia), cioè i giganti del settore tecnologico che hanno stuzzicato le brame della comunità finanziaria. "Si tratta indubbiamente di ottime aziende, molto redditizie, che hanno saputo cogliere le tendenze di lungo termine", dice Ubaka, "tuttavia, le loro stime di crescita si stanno riducendo".
Contemporaneamente, fa notare il gestore di Columbia Threadneedle, l’incremento degli utili per azione delle small cap stimato dagli analisti per i prossimi due anni è di gran lunga superiore a quelle delle società a larga capitalizzazione. Questa previsione trae origine da un fattore importante: l’andamento generale dell’economia degli Stati Uniti, che continua a crescere a un ritmo superiore ad altre aree geografiche del Pianeta, soprattutto l’Europa. I trend che danno maggiore sprint al pil d’Oltreoceano per Ubaka continuano a persistere: gli Usa investono in infrastrutture, in tecnologie come l’intelligenza artificiale, nello sviluppo dei data center e anche nella transizione energetica, nonostante lo scetticismo del presidente Trump sull’economia green.
Senza dimenticare inoltre che la retromarcia della globalizzazione sta portando a quel processo che gli esperti di industria chiamano reshoring, cioè il ritorno nella madrepatria di produzioni che nei decenni scorsi erano state delocalizzate nei paesi emergenti dove il lavoro costa meno. Questo mix di ingredienti crea un contesto favorevole alle piccole e medie aziende americane che notoriamente hanno un business molto più concentrato sul mercato domestico e quindi sono al riparo, se non addirittura avvantaggiate, dalla nuova ondata di protezionismo doganale che si sta affermando su scala planetaria, partendo proprio dagli Stati Uniti. Mentre un gigante come Apple fa soldi in tutto il mondo e potenzialmente è più esposto agli effetti di una guerra commerciale innescata dai dazi voluti da Trump, le società a capitalizzazione ridotta hanno buone probabilità di continuare aa macinare ricavi e utili anche in un mondo più chiuso.
Tra i singoli settori, le preferenze di Ubaka si indirizzano sulle società del settore industriale ma anche su quelle del settore finanziario. Dopo il fallimento della Silicon Valley Bank del 2023, molti investitori temevano che il comparto bancario e finanziario subisse una regolamentazione via via più severa, con conseguente diminuzione della redditività per i player del settore. Ora, però, con l’amministrazione Trump questa prospettiva sembra svanire. Anzi, sembra più probabile che si vada nella direzione opposta, cioè verso una deregulation, creando anche un ambiente più favorevole a fusioni e acquisizioni nel mercato dei capitali.