Luca Zaia: «Sul fine vita serve una legge nazionale. Presto una circolare in Veneto»

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Feb 14, 2025 - 07:45
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Luca Zaia: «Sul fine vita serve una legge nazionale. Presto una circolare in Veneto»

Sul fine vita serve una legge nazionale. Luca Zaia torna dopo l’iniziativa della Toscana a parlare di temi etici. Ricorda che le resistenze non sono solo nel centrodestra ma avverte: «Mai fatto guerre di religione, ma ho guardato sempre in faccia la realtà. Ricorda col Covid? Sono stato il primo a istituire la zona rossa, a chiudere tutto, carnevale di Venezia compreso, mentre altri organizzavano gli spritz…». E ricorda che «le cose che dico ora le sostengo da tempo. Tre anni fa vi dedicai buona parte del mio libro, I pessimisti non fanno fortuna … », dice in un’intervista a Repubblica.

La circolare

In Veneto Zaia vuole preparare un regolamento «una circolare, che dovrebbe fissare delle regole, in quanto il fine vita esiste già». Perché, spiega Zaia, «c’è la sentenza della Consulta del 2019. Stabilisce che un malato terminale può fare domanda se sono rispettati questi quattro requisiti: diagnosi infausta, mantenimento in vita da supporti, grave sofferenza fisica e psichica, libertà di scelta. In Veneto abbiamo avuto sette domande». La domanda, spiega, va fatta «alle aziende sanitarie. Poi a decidere è un comitato etico». Ne sono state accolte «rre, due sole delle quali sono arrivate fino in fondo. Manca una legge che stabilisca i tempi: entro quando bisogna rispondere al paziente? Chi può somministrare il farmaco? È come se per l’aborto non si fossero fissati i termini per l’interruzione della gravidanza». Della legge in Toscana pensa che «il governo la impugnerà. Ma il punto è che non possiamo fare venti leggi regionali diverse, tutte a rischio».

Quello che non si può fare

Quello che non si può fare, sostiene nel colloquio con Concetto Vecchio, è «nascondere la testa sotto la sabbia. Fare finta che il fine vita non ci sia». Anche perché i sondaggi sono favorevoli e la politica dovrebbe tenerne conto. Infine: «I malati terminali che chiedono l’accesso alla procedura di fine vita rifiutano le cure palliative, facendo una scelta intima e personale». E questo accade «perché la loro richiesta a un certo punto non ha più nulla a che fare col dolore insopportabile, ma con la dignità di quella condizione dell’ultima fase della loro vita».

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