Le donne non sono un barattolo di yogurt
Duemilaventicinque. La tecnologia è in crescita esponenziale in tutti i campi, l’intelligenza artificiale si prepara a rimpiazzarci e pare che siamo quasi pronti per andare su Marte. Tutto sembra modificarsi troppo velocemente, ma per fortuna certe cose non cambiano mai. Continuiamo infatti a leggere e ascoltare dichiarazioni qualunquiste e stereotipate rispetto alla salute mentale delle […] The post Le donne non sono un barattolo di yogurt appeared first on The Wom.


Duemilaventicinque. La tecnologia è in crescita esponenziale in tutti i campi, l’intelligenza artificiale si prepara a rimpiazzarci e pare che siamo quasi pronti per andare su Marte. Tutto sembra modificarsi troppo velocemente, ma per fortuna certe cose non cambiano mai. Continuiamo infatti a leggere e ascoltare dichiarazioni qualunquiste e stereotipate rispetto alla salute mentale delle donne. «Chi è più infelice dopo i 40 anni? Le donne belle. Non ricevono più complimenti». Così dichiara lo psichiatra e psicoterapeuta Raffaele Morelli al Corriere della Sera. Per fortuna, in questa ipotesi di futuro, c’è chi tiene aperto lo sguardo al passato. Perché le donne non sono un barattolo di yogurt.
«Chi è più infelice dopo i 40 anni? Le donne belle. Non ricevono più complimenti» (Raffaele Morelli)
Da dove nascono opinioni come questa?
Di certo Morelli non è il solo a pensare una cosa del genere, sicuramente non è stato lui a formulare l’ipotesi per cui la qualità di vita di una donna aumenti in modo proporzionale alle attenzioni che riceve dal sesso opposto. Si tratta infatti di uno stereotipo patriarcale duro a morire per cui il valore stesso di una donna si misura attraverso lo sguardo maschile.
Insomma, come donna hai senso di esistere solo se qualcuno (maschile intenzionale) ti guarda, ti apprezza, trova piacevole passare del tempo con te, non tanto per le tue idee quanto più per il tuo aspetto. Il concetto di male gaze (tradotto: sguardo maschile, appunto) è stato introdotto nel 1975 nell’ambito della critica cinematografica femminista e presto è diventato chiarissimo che quello specifico campo artistico non fosse altro che una rappresentazione mediale di una dinamica tristemente connaturata nella nostra società.
Dato che a bramare lo sguardo maschile ci viene insegnato da che siamo nella culla, succede che spesso finiamo per credere che sia un desiderio autentico, e quella sorta di approvazione patriarcale diventa tutto ciò per cui lavoriamo. Praticamente l’ingrediente segreto per una vita piena.
Le teorie femministe ci raccontano che per secoli questo desiderio indotto ha guidato i nostri comportamenti e, complice l’industria della bellezza con i suoi inarrivabili standard, ci ha tenute lontane dalla vita pubblica, dalla politica, dai luoghi in cui si prendono le decisioni perché troppo impegnate a farci belle, a risultare carine e compiacenti. D’altronde, chi la vuole una che al posto di dedicarsi alla cura del proprio corpo passa le sue giornate a discutere e dibattere? Una che magari poi si arrabbia e le vengono pure le rughe? Meglio che la politica la facciano gli uomini, fine della questione.
D’altronde, chi la vuole una che al posto di dedicarsi alla cura del proprio corpo passa le sue giornate a discutere e dibattere?
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Cosa si prova ad avere una data di scadenza
Tristemente, ci ritroviamo ad abitare una società maschilista che non solo ci insegna come dobbiamo essere, ma anche ad esserlo più a lungo possibile. Un’addomesticazione a lungo termine. Perché se da ragazzine è quasi scontato ricevere viscidi sguardi di approvazione, crescendo l’impegno per la manutenzione aumenta. Il passare del tempo deve essere camuffato, mascherato. Niente rughe, niente capelli bianchi, solo un corpo tonico e allenato a far finta di avere per sempre trent’anni. Non solo eternamente belle: eternamente giovani e belle. Anche senza quantificare il dispendio energetico ed economico che questa manipolazione di massa comporta, va da sé immaginare quanto sia complicato vivere in una società che, mentre non è disposta ad accettare nemmeno i cambiamenti fisiologici dei corpi femminili, incensa e celebra quelli maschili. La scrittrice e filosofa Susan Sontag lo chiamava proprio “Il doppio standard dell’invecchiamento” nell’omonimo testo del 1972. E così, mentre poco o nulla è cambiato, mentre gli uomini invecchiano liberamente come il vino buono e sfoggiano capelli brizzolati che fanno tanto uomo vissuto, a noi viene consegnata un’etichetta che segna la nostra data di scadenza. Come quel fastidioso barattolo di yogurt di cui puntualmente non sappiamo che farci.
Fortunatamente capita che, a un certo punto, nelle nostre vite arriva la consapevolezza di essere molto di più di un bel viso, inizia a prendere forma una scala di priorità che molto spesso non vede l’approvazione maschile nei suoi piani più alti. Scopriamo che il nostro valore non dipende da quanto e come ci guardano, ma da quello che portiamo nel mondo, dal modo in cui scegliamo di abitare lo spazio che ci circonda. È un processo di emancipazione che a volte arriva nelle nostre vite insieme alla scoperta del femminismo, altre volte è la semplice conseguenza di un percorso di crescita. Insomma, tutte cose che uno psichiatra e psicoterapeuta dovrebbe quantomeno aver sentito nominare. Invece, a quanto pare, si preferisce rilasciare, di tanto in tanto, dichiarazioni sbrigative sulla apparente infelicità femminile dopo i 40, come se ciò non fosse subordinato al modo in cui per tutta la vita la società e il suo mito della bellezza si impongono per manipolare le nostre scelte.
Il nostro valore non dipende da quanto e come ci guardano, ma da quello che portiamo nel mondo, dal modo in cui scegliamo di abitare lo spazio che ci circonda
Donne, sorelle, non facciamoci ingannare: la nostra felicità è del tutto indipendente dal modo in cui gli uomini ci guardano, dalle rughe che collezioniamo sul viso e dal numero di candeline sulla torta il prossimo anno. La nostra felicità è una questione politica, oltre che un atto di resistenza, perché riuscire a condurre una vita piena e felice in una società costruita per subordinarci a scelte altrui è rivoluzionario. E questa consapevolezza non scade mai.
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