La Cedu condanna l’Italia per la detenzione al 41bis del boss Giuseppe Morabito: “Ha l’Alzheimer”
“La Corte non riesce a comprendere come una persona affetta da un indiscusso declino cognitivo, e persino a cui era stata diagnosticata la malattia di Alzheimer, e che non era in grado di comprendere la propria condotta o a seguito di un’udienza in tribunale, potesse al contempo mantenere una capacità sufficiente per mantenere o riprendere […] L'articolo La Cedu condanna l’Italia per la detenzione al 41bis del boss Giuseppe Morabito: “Ha l’Alzheimer” proviene da Il Fatto Quotidiano.

“La Corte non riesce a comprendere come una persona affetta da un indiscusso declino cognitivo, e persino a cui era stata diagnosticata la malattia di Alzheimer, e che non era in grado di comprendere la propria condotta o a seguito di un’udienza in tribunale, potesse al contempo mantenere una capacità sufficiente per mantenere o riprendere (a un’età così avanzata, dopo quasi vent’anni trascorsi sotto un regime particolarmente restrittivo) contatti significativi con un’organizzazione criminale”. Sono le ragioni per le quali la Corte europea dei diritti umani ha condannato l’Italia per aver continuato a tenere sotto il regime del 41bis Giuseppe Morabito detto “u Tiraddrittu”, il mammasantissima della ‘ndrangheta di Africo arrestato, dopo una lunga latitanza, nel 2004. Da sempre considerato un boss di primo piano, in realtà oggi sono 21 gli anni di carcere duro scontati da Morabito che di anni ne ha 92 anni e non si regge in piedi. Almeno dal 2020, stando a una perizia eseguita da un perito nominato dal Tribunale di Sorveglianza di Roma, l’anziano boss soffre di un “grave disturbo neurocognitivo vascolare, comunemente noto come demenza”.
“Sebbene non compromettesse ancora la sua capacità di svolgere le attività quotidiane di base, – si legge nella sentenza della Cedu – causava alterazioni del comportamento, confusione, perdita di memoria e deficit di attenzione. I test hanno dimostrato che non vi era alcuna simulazione dei sintomi, dimostrando piuttosto che il ricorrente (cioè Morabito, ndr) cercava di nascondere la sua malattia. Il perito ha, quindi, concluso che il deficit cognitivo del ricorrente comprometteva significativamente le sue capacità mentali”. Nel periodo successivo, sottolinea la Cedu, “i segni che suggerivano il declino cognitivo del ricorrente sono progressivamente aumentati. Mentre le note dei medici del carcere continuavano a indicare che Morabito appariva lucido e orientato, il 25 luglio 2022 è stato trasportato in ospedale in stato confusionale e gli è stata diagnosticata la malattia di Alzheimer”.
A causa di questa, nel 2019, è stato aggressivo con alcune guardie penitenziarie. A una di loro, dopo averla insultata, aveva lanciato anche un piatto che gli è costato un procedimento disciplinare, poi annullato perché non era stato “tenuto debitamente conto del deterioramento cognitivo” di Morabito. Per un’altra aggressione ai danni di un agente della penitenziaria, il 3 novembre 2022 il Tribunale di Milano non solo lo ha assolto “per infermità mentale”, prendendo atto “dell’incapacità del ricorrente di stare in giudizio”, ma anche “archiviato gli altri procedimenti penali a suo carico per fatti commessi in carcere nel 2017”. Stando a una relazione, datata ottobre 2022, il grave disturbo neurocognitivo era “in lenta progressione”. Davanti al perito, Peppe ‘u Tiradrittu’ “appariva lucido ma era parzialmente disorientato nel tempo, presentava perdita di memoria, ridotta capacità di ragionamento, deficit di attenzione e una ridotta capacità di concentrazione”.
Nella sentenza della Cedu, che copre il periodo fino al maggio 2023, ci sono alcuni stralci di quella perizia medica in cui si legge che Morabito “non era in grado di seguire le udienze in tribunale” e “non rappresentava alcun pericolo, data la sua demenza”. Per tutte queste ragioni, la Cedu ha accolto la richiesta dell’avvocato Giovanna Beatrice Araniti e ha rilevato la violazione, da parte dell’Italia, dell’articolo 3 della Convenzione che sancisce uno dei valori fondamentali della società democratica proibendo “in termini assoluti la tortura o le pene o i trattamenti inumani o degradanti, indipendentemente dalle circostanze e dal comportamento della vittima”.
In sostanza, la Corte “non è convinta che il Governo abbia dimostrato in modo convincente che, nelle particolari circostanze di questo caso, l’applicazione estesa del regime del 41bis fosse sufficientemente giustificata”. Alla luce delle “ampie prove del deterioramento dello stato cognitivo” di Giuseppe Morabito, infatti, la Corte europea dei diritti umani “ritiene significativo che le autorità nazionali non abbiano preso in considerazione l’opportunità di revocare o allentare alcune delle restrizioni aggiuntive per venire incontro alle potenziali esigenze del ricorrente, nonostante le richieste esplicite da lui presentate”.
“Mi auguro che venga dato ottemperanza a questa sentenza – ha commentato il legale di Giuseppe Morabito, l’avvocatessa Giovanna Beatrice Araniti – perché lasciare ancora un anziano con tali patologie in regime di 41 bis è semplicemente vergognoso. C’è un altro ricorso pendente in Cassazione che ha ad oggetto la revoca del 41 bis che sarà trattato a breve e contestualmente un procedimento pendente, su annullamento della Suprema Corte, per la concessione della detenzione domiciliare in luogo di cura. Mi auguro che si prenda atto di quello che oggi scrive la Cedu”.
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