Israele: la sintesi non è la media

di Noemi Di SegniPresidente dell’Unione delle Comunità ebraiche italiane (UCEI)La settimana che si chiude è stata scandita dal dolore e dallo sdegno connessi alla restituzione di otto salme di ostaggi, tra cui Shiri, Ariel e Kfir Bibas z.l. dopo mesi e mesi di speranza infranta. Oggi altri strazianti minuti di attesa, le smentite e poi le conferme. I funerali l’altro ieri e ancora oggi. A questo si aggiunge l’inconcepibile calcolo di corrispondenza nel rilascio di 300 terroristi e gli attentati sventati e quello purtroppo riuscito nella giornata di ieri, i dettagli che emergono sulle violenze e le torture subite nella prigionia da parte degli ostaggi ed in chiusura la pubblicazione dell’indagine sconvolgente sulle falle e sottovalutazioni da parte della filiera intelligence dell’esercito, che aggiunge alla rabbia il senso di smarrimento. Una settimana che annuncia quelle prossime con l’atteso ritorno di altre salme e altri ostaggi parimenti torturati. I massacri del 7 ottobre 2023 e 511 giorni che hanno immerso Israele nella più grande tragedia dopo la shoah, isolata in diversi modi nell’affrontare una sfida esistenziale. Dilemmi morali che dal primo giorno si sono sempre più acuiti e intorno ai quali la dialettica interna e il confronto politico sono molto accesi: la gestione delle trattative per il rilascio degli ostaggi, la sicurezza nelle aree interne con popolazione palestinese e araba, il piano del “giorno dopo”, le scelte che riguardano la guerra, la partecipazione allo sforzo di difesa del settore ultrareligioso, e molte altre. E noi assieme ad Israele soffriamo queste vicende e quelle che riguardano la distorsione e l’odio nelle nostre città e gli spazi pubblici e privati frequentati quotidianamente. Leggere l’appello pubblicato su Repubblica lo scorso mercoledì dai 270 firmatari, così come in precedenza interventi dello stesso tono, fa capire che il grido di dolore e di preoccupazione non lo si vuole più soffocare. Che si legge la realtà di oggi con profonda convinzione, che il destino di Israele dipende da determinate scelte e cambiamenti. Ma fa anche molto male perché di tutto quello che c’è come pensiero e trasporto dietro la firma non arriva nulla ad un lettore italiano medio. Non si comprende la complessità di Israele, non si comprende la lacerazione interna e la preoccupazione, non si legge il volto bello e caldo di Israele rigato dalle lacrime e dal lutto, non si legge la prontezza e la solidarietà per portare ristoro, consolazione e con non si coglie la dimensione di fatti denunciati. Un appello circoscritto e conciso che sceglie esattamente quelle poche parole più terribili di cui da mesi viene Israele tutta ed ogni ebreo accusati. Poche parole che riecheggiano le distorsioni e la disinformazione contro cui ci sgoliamo da mesi e da anni. Poche parole che non hanno raccolto applausi dagli odiatori per constatare l’esistenza di ebrei più bravi e buoni di altri, ma solo odio. Poche accuse siglate anche con marchio ebraico (più o meno Doc). Anzi, facendo quasi pensare che siano tutti gli ebrei a pensarla così e che siano anche portatori di una rappresentanza istituzionale. E questo fa male.E se non fosse stato firmato da ebrei ed ebree non lo avrebbe forse letto nessuno. Chi dall’esterno ha espresso condivisione evidentemente è stato ampiamente influenzato dalla propaganda mediatica perché criticare il governo israeliano si può fare efficacemente anche senza usare queste forme.E ci tengo a sottolineare ancora una volta che, come UCEI e come comunità, abbiamo più volte sottolineato che gli atti di vandalizzazione e violenza compiuti da ebrei verso altre persone (palestinesi, arabi, religiosi della chiesa, altri ebrei) non possono essere in alcun modo giustificati né legittimati da ministri o altri portatori di cariche istituzionali o militari. Non rispecchiano nessun valore ebraico e anzi, quando compiuti con la kippà in testa o vestendo il talled, sono un grave abuso della religione. Chi compie questi atti sono pochi e isolati soggetti ma la mia pretesa di moralità è che non ce ne sia neanche uno. Se i terroristi di Hamas sono migliaia e seguono in base all’indottrinamento coranico un mandato per uccidere questo ci riguarda in termini di sicurezza e per arginare un nuovo 7 ottobre, ma in alcun modo non possiamo fare passare messaggio espliciti o subliminali che affiancano un ebreo ad un terrorista di Hamas. E ribadisco ancora una volta che il dolore per i civili, i bambini che la guerra a Gaza ha generato come vittime sono anche quello mio, nostro come sofferenza assolutamente non negata o sminuita. Restano i però che non possono essere taciuti. Israele non ha scelto di attaccare prima del 7 ottobre e risponde ad un attacco e massacro subito. La popolazione palestinese è vittima e scudo dell’assetto militare in cui è intrappolata ed è quello di Hamas o altri gruppi che comandano il territorio. Non di una occupazione. Il destino del popolo palestinese non dipende solo da Israele ma da molti a

Mar 1, 2025 - 10:12
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Israele: la sintesi non è la media


di Noemi Di Segni
Presidente dell’Unione delle Comunità ebraiche italiane (UCEI)

La settimana che si chiude è stata scandita dal dolore e dallo sdegno connessi alla restituzione di otto salme di ostaggi, tra cui Shiri, Ariel e Kfir Bibas z.l. dopo mesi e mesi di speranza infranta. Oggi altri strazianti minuti di attesa, le smentite e poi le conferme. I funerali l’altro ieri e ancora oggi. A questo si aggiunge l’inconcepibile calcolo di corrispondenza nel rilascio di 300 terroristi e gli attentati sventati e quello purtroppo riuscito nella giornata di ieri, i dettagli che emergono sulle violenze e le torture subite nella prigionia da parte degli ostaggi ed in chiusura la pubblicazione dell’indagine sconvolgente sulle falle e sottovalutazioni da parte della filiera intelligence dell’esercito, che aggiunge alla rabbia il senso di smarrimento. Una settimana che annuncia quelle prossime con l’atteso ritorno di altre salme e altri ostaggi parimenti torturati. I massacri del 7 ottobre 2023 e 511 giorni che hanno immerso Israele nella più grande tragedia dopo la shoah, isolata in diversi modi nell’affrontare una sfida esistenziale. Dilemmi morali che dal primo giorno si sono sempre più acuiti e intorno ai quali la dialettica interna e il confronto politico sono molto accesi: la gestione delle trattative per il rilascio degli ostaggi, la sicurezza nelle aree interne con popolazione palestinese e araba, il piano del “giorno dopo”, le scelte che riguardano la guerra, la partecipazione allo sforzo di difesa del settore ultrareligioso, e molte altre. E noi assieme ad Israele soffriamo queste vicende e quelle che riguardano la distorsione e l’odio nelle nostre città e gli spazi pubblici e privati frequentati quotidianamente. Leggere l’appello pubblicato su Repubblica lo scorso mercoledì dai 270 firmatari, così come in precedenza interventi dello stesso tono, fa capire che il grido di dolore e di preoccupazione non lo si vuole più soffocare. Che si legge la realtà di oggi con profonda convinzione, che il destino di Israele dipende da determinate scelte e cambiamenti. Ma fa anche molto male perché di tutto quello che c’è come pensiero e trasporto dietro la firma non arriva nulla ad un lettore italiano medio. Non si comprende la complessità di Israele, non si comprende la lacerazione interna e la preoccupazione, non si legge il volto bello e caldo di Israele rigato dalle lacrime e dal lutto, non si legge la prontezza e la solidarietà per portare ristoro, consolazione e con non si coglie la dimensione di fatti denunciati.

Un appello circoscritto e conciso che sceglie esattamente quelle poche parole più terribili di cui da mesi viene Israele tutta ed ogni ebreo accusati. Poche parole che riecheggiano le distorsioni e la disinformazione contro cui ci sgoliamo da mesi e da anni. Poche parole che non hanno raccolto applausi dagli odiatori per constatare l’esistenza di ebrei più bravi e buoni di altri, ma solo odio. Poche accuse siglate anche con marchio ebraico (più o meno Doc). Anzi, facendo quasi pensare che siano tutti gli ebrei a pensarla così e che siano anche portatori di una rappresentanza istituzionale. E questo fa male.E se non fosse stato firmato da ebrei ed ebree non lo avrebbe forse letto nessuno. Chi dall’esterno ha espresso condivisione evidentemente è stato ampiamente influenzato dalla propaganda mediatica perché criticare il governo israeliano si può fare efficacemente anche senza usare queste forme.

E ci tengo a sottolineare ancora una volta che, come UCEI e come comunità, abbiamo più volte sottolineato che gli atti di vandalizzazione e violenza compiuti da ebrei verso altre persone (palestinesi, arabi, religiosi della chiesa, altri ebrei) non possono essere in alcun modo giustificati né legittimati da ministri o altri portatori di cariche istituzionali o militari. Non rispecchiano nessun valore ebraico e anzi, quando compiuti con la kippà in testa o vestendo il talled, sono un grave abuso della religione. Chi compie questi atti sono pochi e isolati soggetti ma la mia pretesa di moralità è che non ce ne sia neanche uno. Se i terroristi di Hamas sono migliaia e seguono in base all’indottrinamento coranico un mandato per uccidere questo ci riguarda in termini di sicurezza e per arginare un nuovo 7 ottobre, ma in alcun modo non possiamo fare passare messaggio espliciti o subliminali che affiancano un ebreo ad un terrorista di Hamas. E ribadisco ancora una volta che il dolore per i civili, i bambini che la guerra a Gaza ha generato come vittime sono anche quello mio, nostro come sofferenza assolutamente non negata o sminuita. Restano i però che non possono essere taciuti. Israele non ha scelto di attaccare prima del 7 ottobre e risponde ad un attacco e massacro subito. La popolazione palestinese è vittima e scudo dell’assetto militare in cui è intrappolata ed è quello di Hamas o altri gruppi che comandano il territorio. Non di una occupazione.

Il destino del popolo palestinese non dipende solo da Israele ma da molti altri paesi arabi e delle logiche tribali o mediorientali di cui anche si fa fatica a fare comprendere complessità sulle pagine dei nostri giornali. Tutelare diritti è importante e doveroso e su questo sappiamo bene quanto sia acceso anche il dibattito sul sistema giudiziario in Israele, ma questo non può fare dimenticare che il mostro terrorista è stato capace di organizzarsi e strutturarsi al meglio con l’aiuto dell’Iran e con lo stesso aiuto ce lo ritroveremo qui nei nostri atenei o forse anche partiti. E continuiamo a non capire (o a non fare capire) che le parole “democrazia” “stato” “libertà” “costituzione” hanno per noi un significato firmato anche con il sangue ebraico e la Shoah, e per l’Iran e i suoi inviati tutt’altro. Su questo forse si avrebbe senso firmare un appello, per l’Onu, Croce Rossa e molti altri silenti e non vedenti. Fa parimenti male leggere che esponenti delle nostre comunità possano assumere toni così violenti ed inviare minacce a diversi firmatari. Persone che non possono sentirsi limitate nell’esprimere il loro punto di vista, forse minoritario ma che esiste. Senza una diversità di opinioni e di idee non sarebbe esistito l’ebraismo, le nostre comunità e quel meraviglioso patrimonio di saperi di cui andiamo tanto fieri quando ci presentiamo davanti alle istituzioni del nostro Paese e a livello internazionale. Sono opinioni su temi politici e di identità ebraica, non regole di come si compie un determinato precetto religioso su cui solo alcuni sono preposti a fornire risposte (e anche su ogni precetto si dibatte nella tradizione talmudica come debba essere compiuto). Fa male dover dire l’ovvio: la comunità non appartiene ad un ristretto gruppo che decide chi sì e chi no ne può fare parte in base al proprio credo politico.

Come Presidente e per la responsabilità che implica una rappresentanza istituzionale è mio dovere ascoltare e cercare di fare una sintesi quando sono chiamata a fare una riflessione o commento all’esterno. Fare sintesi non significa esprimere la mia personale opinione, non significa riuscire a mettere in due frasi dieci opinioni diverse ed esprimere la media o la mediana, ma significa scegliere di dire qualcosa che possa trasmettere all’esterno lo spirito essenziale di una determinata situazione e gli aspetti su cui non ci si può appiattire o eludere. Ecco, in questo concetto di sintesi non possono entrare gli estremi: quel modo distorto e irresponsabile di esprimersi contro il governo di Israele senza articolare un pensiero che aiuta a capire la direzione auspicata e quali sono i nodi e le complessità, e parimenti quel modo irresponsabile e veemente di minacciare, deridere correligionari e rappresentanti delle istituzioni ebraiche.Restano fuori dalla sintesi coloro che pensano di farsi giustizia da soli organizzando atti dimostrativi con modi e slogan offensivi e degenerati che imitano il linguaggio propal. Noi non siamo capaci di esprimerci diversamente.

Restano fuori dalla sintesi e fuori dal raggio dell’ascolto posizioni che non sono pensiero profondo, ma pretesti per polemizzare o farsi da soli le campagne elettorali, o su altri versanti populiste e generatrici di audience e forse anche di interessi personali.
Il rispetto e la dignità sono valori ebraici e se vogliamo ribadire quanto sia essenziale il contributo ebraico a questo Paese cerchiamo di ricordarcelo. Forse anche dialogando non convinceremo gli altri delle nostre certezze ma lo spazio per poterle esprimere non può essere negato. Io personalmente di certezze ne ho davvero poche e vivo dal 7 ottobre con moltissimi punti interrogativi sull’oggi e sul domani. Una certezza che devo sì ribadire ogni mattina è quella di rispondere con la vita al progetto di sterminio e di morte, con la cultura della vita alle armi e al massacro. Ciascuno di noi nel privato o nel contesto istituzionale al quale prende parte può dare un segnale di attenzione e di impegno per affermare questa scelta che omaggia la vita, la convivenza, forse aggiungo anche più serena coesione e unità comunitaria. L’appello che firmo è questo: ci attendono giorni duri e difficili a cui dedicare prontamente il nostro supporto alle tantissime famiglie che necessitano soccorso e aiuto per riprendere e proseguire la vita, ricostruire e fare rimarginare le ferite, nei numerosi kibbutz e nella città di frontiera in Israele.
Shabbat shalom

Noemi Di Segni

Presidente dell’Unione delle Comunità ebraiche italiane (UCEI)