“I vestiti più sostenibili sono quelli che sono già nel tuo armadio”: la storia di Lee So-yeon, attivista contro la fast fashion
Lee So-yeon, una volta maniaca dello shopping compulsivo, ha vissuto un radicale cambiamento di prospettiva che l’ha portata a rivedere completamente il suo rapporto con la moda. In passato, infatti, acquistava nuovi vestiti quasi ogni giorno, attratta dalle offerte a basso costo delle grandi catene di fast fashion. Tuttavia un giorno, mentre lavorava negli Stati...

Lee So-yeon, una volta maniaca dello shopping compulsivo, ha vissuto un radicale cambiamento di prospettiva che l’ha portata a rivedere completamente il suo rapporto con la moda. In passato, infatti, acquistava nuovi vestiti quasi ogni giorno, attratta dalle offerte a basso costo delle grandi catene di fast fashion.
Tuttavia un giorno, mentre lavorava negli Stati Uniti, si imbatté in un cappotto invernale venduto a soli 1,50 dollari. Questo episodio la spinse a interrogarsi su come fosse possibile produrre e vendere un capo d’abbigliamento a un prezzo così ridotto.
Approfondendo il funzionamento dell’industria della fast fashion, Lee scoprì le drammatiche conseguenze di questo modello economico: salari da fame per le operaie tessili, danni ambientali significativi e un impatto negativo sulla salute mentale dei consumatori.
In Corea del Sud gli abiti usati sono ancora stigmatizzati
Sconvolta dalle sue scoperte, decise di interrompere del tutto l’acquisto di nuovi vestiti, optando invece per un guardaroba più essenziale, composto esclusivamente da capi di seconda mano ricevuti da amici e parenti. Tra i suoi pezzi preferiti c’è una giacca di pelle vintage che apparteneva a sua madre, simbolo di un approccio più consapevole alla moda.
Oggi Lee promuove l’idea che i vestiti più ecologici siano quelli che già possediamo. Attraverso iniziative come scambi di abiti con amici e la pubblicazione di un libro, cerca di diffondere la consapevolezza sull’importanza di valorizzare i capi per la loro storia, piuttosto che inseguire tendenze passeggere. Il suo messaggio si inserisce in un movimento globale in crescita che incoraggia l’uso di abbigliamento di seconda mano come alternativa sostenibile alla fast fashion.
L’industria della moda è infatti tra le più inquinanti al mondo, responsabile di circa il 10% delle emissioni globali di gas serra. Molti vestiti sono realizzati con materiali sintetici che impiegano centinaia di anni a decomporsi, aggravando il problema dei rifiuti tessili.
In Corea del Sud, dove gli indumenti usati sono ancora stigmatizzati, il cambiamento è lento, ma attivisti come Lee stanno cercando di sfidare questa mentalità. Con il suo esempio, dimostra che è possibile adottare un approccio più sostenibile alla moda, salvaguardando sia il pianeta che il benessere individuale.
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