Elena Basile: un’analisi oggettiva delle dinamiche internazionali
L’elezione di Donald Trump a Presidente degli Stati Uniti ha determinato una frattura tra la nuova oligarchia al potere e gli apparati che sono comunemente chiamati dagli analisti indipendenti ‘Stato […]

L’elezione di Donald Trump a Presidente degli Stati Uniti ha determinato una frattura tra la nuova oligarchia al potere e gli apparati che sono comunemente chiamati dagli analisti indipendenti ‘Stato Profondo’. Per decenni il partito democratico e quello repubblicano statunitensi si sono alternati al Governo, esprimendo una variabile valoriale, ma condividendo essenzialmente i pilastri della politica estera ed economica. Man mano, infatti, che la democrazia statunitense diveniva una plutocrazia nella quale, per poter fare politica bisognava avere l’appoggio delle lobbies della finanza e della lobby di Israele, le differenze tra i due partiti, espressione di una oligarchia omogenea, concernevano i diritti civili, il gruppo LGTBQ, le divisioni tra un pensiero più tradizionalista e quello liberal.
I nuovi oligarchi, Trump, Musk, i rappresentanti dei petroliferi e delle startup che hanno bisogno di liquidità sono degli outsider rispetto agli apparati burocratici del dipartimento di Stato e del Pentagono, delle agenzie di sicurezza, delle agenzie per la cooperazione allo sviluppo come USAID, dei think tank come la National Endowment for Democracy ( NED). Sebbene siano stati eletti grazie alla lobby di Israele, ai sionisti cristiani ed evangelici, essi rappresentano i perdenti della globalizzazione, i “nowhere” da opporre agli “everywhere”, che in Europa si sono riversati nei partiti della destra radicale da Le Pen a Meloni, a Orban, a Vox, agli svedesi democratici, ai veri finlandesi, ai neonazisti olandesi, ad Alternative fur Deutchland, a Georgescu, il candidato rumeno a cui gli apparati dello Stato Profondo hanno tolto il diritto di candidarsi alle elezioni.
Il nuovo Presidente democraticamente eletto rappresenta il trash bianco rispetto a settori della finanza in lotta con i poteri piú a lungo radicati negli Stati Uniti come in Europa. Sono convinta che Romano Prodi e Paolo Gentiloni, per tanti anni a Bruxelles, Presidente della Commissione e Commissario europeo, conoscano il potere delle lobbies statunitensi e di quelle europee del business. Attraverso l’intelligence e le lobbies finanziarie, questi tradizionali potentati, che hanno trovato espressione nel Partito democratico americano e nei neo-consevatori repubblicani, hanno governato l’Europa dei popolari, liberali e socialisti, la maggioranza Ursula, sostenuta anche dalla destra che è al potere nei singoli Paesi, come ad esempio da FDI della Presidente Meloni.
Donald Trump, al fine di perseguire gli interessi nazionali statunitensi, tener conto di un debito insostenibile, della crisi industriale e della mancanza di competitività dell’economia americana, ha deciso di sconfessare le politiche neoconservatrici che sono state condotte dal partito democratico come da quello repubblicano. Victoria Nuland, che ha lavorato con i Cheney e i Bush, con i Clinton e gli Obama, artefice del colpo di Stato di piazza Maidan, divenuta in seguito capo della NED, può essere considerata un simbolo del potere trasversale neocon. Trump, non tanto per la sua brutale politica mediorientale, oppure per la sua politica antimmigrazione, o per un approccio mafioso alle dinamiche internazionali, ma soprattutto per essersi permesso una battaglia contro gli apparati neoconservatori del Deep State, è stato demonizzato nello spazio politico mediatico europeo. La maggioranza Ursula ha reagito unita per sabotare la pace in Ucraina e per continuare con una difesa tedesca, francese, assieme al Regno Unito, che non fa parte dell’UE, con l’esercito polacco, un braccio armato al servizio degli interessi non europei ma degli apparati dei DEM, espressione delle élites della finanza molto più radicate e potenti dei nuovi oligarchi come Musk.
Il riarmo dell’Europa di 800 miliardi, suggerito da Draghi ed eseguito dalla Von der Leyen, sostenuto dalla sua maggioranza e dalla destra radicale al governo, risponde al preciso obiettivo di costituire una macchina da guerra che possa essere messa al servizio degli apparati di potere, scombussolati dall’avvento dei nuovi oligarchi di Washington. Parlare di difesa europea in questi frangenti, come fanno Draghi, Tajani, Calenda, Prodi o Letta, falsifica i dati di fatto. Non vi è un interesse dei popoli europei in una UE che agisca in virtù di un organo non eletto, non democratico, che somma il potere legislativo a quello esecutivo: la Commissione Europea. Il PE non ha partiti trasversali che possano discutere in uno spazio pubblico europeo di tematiche europee. Il PE non ha poteri legislativi veri e propri. Il Consiglio dei Capi di Stato e di Governo imprime indirizzi politici a cui perviene secondo gerarchie tra Stati, al di fuori del mandato degli elettori nazionali. Il deficit democratico dell’architettura istituzionale europea, essenzialmente autocratica, è noto a tutti. Credo anche a Prodi e Gentiloni. Se in Europa prevalessero gli interessi dei popoli europei, la fine della guerra in Ucraina, un paese distrutto che ha già perso una generazione di giovani, e la mediazione con la Russia, (il grande vicino dell’Europa che resta in piedi nonostante le farneticazioni occidentali circa la possibilità della caduta di Putin e di uno smantellamento della federazione in staterelli sottomessi alle multinazionali occidentali), sarebbero obiettivi strategici di Bruxelles. L’UE, se fosse indipendente dalle lobbies delle armi e finanziarie, non avrebbe permesso il sabotaggio dei gasdotti e di una cooperazione economica ed energetica con Mosca a vantaggio delle classi lavoratrici europee. Non si sta quindi costruendo la difesa europea, ma una macchina da guerra al servizio di potentati che poco hanno a che vedere con l’interesse dei cittadini europei. Come ripetuto, la difesa europea potrà essere costruita nell’ambito di un’unione politica, federale, democratica, sociale europea, che per ora non è all’orizzonte, non con queste classi dirigenti.
L’appello di Michele Serra, giornalista satirico e autore radiotelevisivo, a una manifestazione per l’Europa è pervenuto in questo quadro, di scontro tra potentati dei DEM che vogliono la continuazione della guerra in Ucraina e i tentativi di mediazione dei nuovi oligarchi, democraticamente eletti, a Washington.
Essa, quindi, non è un appello neutro per l’ideale europeo, per quel sogno che tanti di noi condividono. È al contrario un sostegno alle lobbies, all’intelligence, alla burocrazia asservita a interessi non trasparenti e democratici. Spero che Michele Serra non se ne sia accorto. La discesa in piazza il 15 marzo da parte dei sindacati, di sinistra italiana e Rifondazione comunista, o di altre associazioni autenticamente impegnate per la pace e per un’Europa consona agli ideali di pace, prosperità, libertà (di stampa e di espressione, di essere ascoltati), di giustizia sociale, fungerà purtroppo da sostegno inconsapevole a questa opaca manovra politica.
Sarebbe importante che tutte le opposizioni all’establishment, che purtroppo col genocidio di Gaza e con la carneficina ucraina ha svelato il suo volto truce, scendessero in piazza. Lega, cattolici, comunisti, rossi e bruni, socialisti, Sinistra Italiana, Rifondazione e 5 stelle, i membri del PD che ragionano, i membri dei sindacati, la CGIL o quella parte che ragiona, dovrebbero manifestare uniti in piazza il 5 Aprile per la democrazia e l’Europa. Fossimo anche solo in tre, io ci sarò.