Dilazione del TFS/TFR: il Tar Marche rimette la questione alla Consulta

lentepubblica.it Il Tar Marche, con l’ordinanza 105/2025, ha deciso di sottoporre nuovamente alla Corte Costituzionale la questione della dilazione nel pagamento del trattamento di fine servizio (TFS) e del trattamento di fine rapporto (TFR) per i dipendenti pubblici. Già nel giugno 2023, la Consulta aveva definito questa prassi un “vulnus costituzionale” e aveva sollecitato (invano) il […] The post Dilazione del TFS/TFR: il Tar Marche rimette la questione alla Consulta appeared first on lentepubblica.it.

Feb 28, 2025 - 14:08
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Dilazione del TFS/TFR: il Tar Marche rimette la questione alla Consulta

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Il Tar Marche, con l’ordinanza 105/2025, ha deciso di sottoporre nuovamente alla Corte Costituzionale la questione della dilazione nel pagamento del trattamento di fine servizio (TFS) e del trattamento di fine rapporto (TFR) per i dipendenti pubblici.


Già nel giugno 2023, la Consulta aveva definito questa prassi un “vulnus costituzionale” e aveva sollecitato (invano) il Parlamento a un intervento prioritario.

Il caso oggetto della pronuncia dei giudici amministrativi nasce dal ricorso di un ex dirigente della Polizia di Stato, in pensione dal 2022, il quale ha chiesto che il suo TFS venisse erogato in un’unica soluzione, anziché in tre rate distribuite nel tempo. Il Tar, riconoscendo la rilevanza delle questioni sollevate, ha ritenuto necessario sottoporre nuovamente alla Corte Costituzionale la compatibilità della normativa vigente con i principi sanciti dall’art. 36 della Costituzione, che tutela il diritto a una retribuzione proporzionata e sufficiente.

Il quadro normativo e il percorso evolutivo della disciplina sul TFS

Il trattamento di fine servizio dei dipendenti pubblici è stato oggetto di numerosi interventi legislativi, i quali hanno progressivamente introdotto misure volte a dilazionarne la corresponsione. Inizialmente, il DPR n. 1032/1973 prevedeva che il pagamento dovesse avvenire immediatamente dopo la cessazione del rapporto di lavoro e comunque non oltre quindici giorni. Successivamente, con il d.l. n. 79/1997, il termine è stato esteso a sei mesi e con il d.l. n. 138/2011 e la legge n. 147/2013 è stato ulteriormente prolungato fino a ventiquattro mesi, ridotti a dodici per coloro che cessano il servizio per limiti di età.

Queste misure, inizialmente giustificate da esigenze di contenimento della spesa pubblica, sono divenute nel tempo strutturali, sollevando dubbi di legittimità costituzionale, soprattutto in considerazione dell’assenza di meccanismi compensativi come la rivalutazione monetaria delle somme differite.

La posizione della Corte Costituzionale: il monito al legislatore e l’assenza di riforme

Il Tar Marche fonda gran parte del suo ragionamento sulle pronunce della Corte Costituzionale, in particolare sulle sentenze n. 159 del 2019 e n. 130 del 2023.

Nella sentenza del 2019, la Corte aveva riconosciuto che il TFS costituisce una retribuzione differita e che la sua corresponsione tempestiva è essenziale per garantire la proporzionalità e l’adeguatezza della retribuzione, come stabilito dall’art. 36 Cost. Tuttavia, aveva ritenuto che il differimento del pagamento fosse giustificato in caso di cessazione anticipata dal servizio, in quanto finalizzato a scoraggiare l’uscita prematura dal lavoro. In quella sede, la Corte aveva invitato il legislatore a riformare la disciplina per evitare un “vulnus” ai principi costituzionali, senza però dichiarare l’illegittimità delle norme in vigore.

Nella successiva pronuncia del 2023, la Corte ha ribadito l’urgenza di una riforma, sottolineando l’inerzia del legislatore che, nelle more, non aveva adottato misure adeguate per sanare la situazione. La sentenza ha evidenziato che la dilazione nei pagamenti, ormai divenuta una misura strutturale e non più transitoria, incide in modo sproporzionato sui diritti dei lavoratori, violando i principi di ragionevolezza e proporzionalità. La Corte ha inoltre sottolineato come il mancato riconoscimento della rivalutazione monetaria delle somme erogate in ritardo aggravi ulteriormente il pregiudizio subito dai dipendenti pubblici.

Pur riconoscendo la necessità di contemperare il diritto dei lavoratori con le esigenze di bilancio dello Stato, la Corte ha ribadito che spetta al legislatore individuare un meccanismo equo che garantisca un riequilibrio tra le esigenze finanziarie e il diritto alla tempestiva erogazione del TFS.

Il ragionamento del Tar Marche e la nuova rimessione alla Corte Costituzionale

Il Tar, nel valutare il caso concreto, ha ritenuto che la normativa vigente continui a violare i principi costituzionali evidenziati dalla Corte. Il Tar Marche nota che con l’ultima pronuncia la Consulta ha “adottato una c.d. sentenza monito, ossia ha accertato l’incostituzionalità delle norme di legge sottoposte al suo giudizio, ma non l’ha dichiarata formalmente sul presupposto che la riforma organica della materia compete solo al legislatore, venendo in rilievo vari interessi di rango costituzionale la cui ottimale composizione implica delicate valutazioni di ordine politico, relative anzitutto al procacciamento della provvista finanziaria necessaria per ricondurre il sistema alla legittimità costituzionale”.

Poiché il legislatore è rimasto inerte nonostante i richiami, il Tribunale ha ritenuto necessario sollevare nuovamente la questione di legittimità costituzionale davanti alla Consulta, con particolare riferimento agli artt. 3, co. 2, del d.l. n. 79/1997 e 12, co. 7, del d.l. n. 78/2010.

L’ordinanza evidenzia come il meccanismo attuale imponga un sacrificio ai dipendenti pubblici collocati in quiescenza senza che vi siano più giustificazioni emergenziali.

Il Tar sottolinea inoltre che il sistema alternativo introdotto per mitigare gli effetti della dilazione (anticipazione del TFS attraverso finanziamenti bancari) non rappresenta una soluzione efficace, poiché trasferisce l’onere economico sui lavoratori anziché eliminare il problema alla radice.

L’elemento centrale del ragionamento del TAR è che la dilazione del pagamento, combinata con l’assenza di rivalutazione monetaria, compromette il diritto alla retribuzione adeguata e proporzionata, generando una perdita economica concreta per i lavoratori.

Questa situazione, prolungata nel tempo senza interventi correttivi, si traduce in una violazione sostanziale dell’art. 36 Cost., poiché il trattamento economico differito perde progressivamente valore a causa dell’inflazione e dell’assenza di aggiornamenti monetari.

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