DCA e non solo: se la mercificazione del dolore corre sui social
Leila Kaouissi conta oltre mezzo milione di follower sui suoi canali social. Si tratta di persone che spesso le hanno offerto sostegno, ma che allo stesso tempo le hanno creato situazioni di ulteriore disagio: non sono mancati infatti commenti aggressivi e di odio riguardanti la sua condizione. La madre è spesso intervenuta per difendere la […] The post DCA e non solo: se la mercificazione del dolore corre sui social appeared first on The Wom.


Leila Kaouissi conta oltre mezzo milione di follower sui suoi canali social. Si tratta di persone che spesso le hanno offerto sostegno, ma che allo stesso tempo le hanno creato situazioni di ulteriore disagio: non sono mancati infatti commenti aggressivi e di odio riguardanti la sua condizione. La madre è spesso intervenuta per difendere la figlia, raccontando le difficoltà quotidiane che la famiglia affronta nel gestire la malattia di Leila; ma nulla può dinnanzi alla rabbia del web.
Il percorso difficile di Leila Kaouissi
Nei suoi post Leila racconta la sua quotidianità con la malattia, a casa e in ospedale, mostrando le sue difficoltà e le sue piccole vittorie. Su TikTok crescono i follower e i like, mettendo Leila sempre più sotto i riflettori.
La storia di Leila ha una svolta critica il 9 gennaio 2023, quando scappa di casa. La madre ha raccontato che la ragazza era uscita per fare degli acquisti e, nel pomeriggio, non era più tornata. Il padre, preoccupato, ha denunciato la scomparsa alle forze dell’ordine. Poche ore dopo, la madre ha rassicurato i suoi follower, confermando che Leila era stata ritrovata, ma senza fornire ulteriori dettagli. La fuga sembra essere stata legata al suo rifiuto di tornare in un reparto psichiatrico, dove era stata ricoverata poco prima delle vacanze natalizie. La madre, visibilmente provata, ha raccontato di come Leila non volesse tornare in ospedale, dove la sua condizione era peggiorata, ma ha anche sottolineato di non volerla costringere ad andare in un reparto psichiatrico che lei stessa considera dannoso.
La testimonianza della madre Lisa Douhabi
Lisa Douhabi ha condiviso la sua esperienza in un’intervista, spiegando che lei e il marito assistono la figlia 24 ore su 24 da sei anni, e che la situazione si è complicata dopo il compimento dei 18 anni di Leila. La maggiore autonomia della ragazza ha reso più difficile monitorare la sua salute mentale, e la madre ha fatto sapere che, nonostante i numerosi ricoveri, la sua condizione continuava a peggiorare. L’uso di TikTok da parte di Leila è stato oggetto di discussione nella famiglia, con il padre che non approva la visibilità della figlia sui social, mentre Lisa ha sottolineato che nessun medico ha sconsigliato l’uso della piattaforma.
TikTok: Un palco per la sofferenza?
La storia di Leila non è unica: sempre più giovani si rivolgono ai social per raccontare la loro lotta contro i disturbi del comportamento alimentare (DCA). Mentre alcuni vedono nella condivisione della propria esperienza un modo per trovare supporto e connessione con chi sta affrontando situazioni simili, per altri può essere pericoloso.
La narrazione pubblica dei DCA rischia di creare una cultura della spettacolarizzazione della sofferenza
Leila, con i suoi video e post su TikTok, è diventata un’icona per molte ragazze che vedono in lei un esempio, ma anche un prodotto consumato da migliaia di utenti che validano la sua malattia con il loro voyeurismo.
Una critica alla cultura della spettacolarizzazione
Negli ultimi giorni, la situazione di Leila è degenerata, con contenuti sempre più morbosi che invadono i social media. Gli utenti di TikTok non solo commentano lo stato di salute di Leila, ma sembrano desiderare di assistere alla sua malattia come se fosse uno spettacolo. La tragica diretta condivisa ultimamente dalla madre ha scatenato un’ondata di contenuti che parlano del corpo di Leila, della sua famiglia e della sua vita privata. In molti, senza alcuna competenza medica, si sono lanciati in analisi e speculazioni sulla sua condizione, con video e commenti che non fanno altro che alimentare la spirale di sofferenza della ragazza. Questa dinamica è particolarmente pericolosa non solo per Leila, ma anche per tutte le persone che soffrono di DCA e che si trovano a vivere sotto i riflettori dei social media.
La mercificazione della sofferenza
La storia di Leila Kaouissi mette in luce una realtà inquietante: quella della mercificazione del dolore umano attraverso i social media.
Leila è diventata, suo malgrado, un prodotto di intrattenimento, consumato da milioni di persone che seguono il suo percorso come se fosse una serie televisiva
Ma la realtà è ben più complessa e dolorosa: dietro a ogni post, a ogni video, ci sono anni di sofferenza e un corpo che si consuma sotto gli occhi di chi non ha empatia. TikTok, piuttosto che fermare questa spirale, amplifica il dolore di Leila e di altri giovani come lei, rendendo la loro sofferenza un affare pubblico.
È quindi fondamentale interrogarsi sul ruolo che i social media svolgono nella vita delle persone che affrontano malattie mentali e disturbi alimentari
Se da una parte la condivisione può essere un modo per trovare supporto, dall’altra può diventare un meccanismo di autoesposizione pericoloso, che rende la sofferenza un palcoscenico per un pubblico voyeuristico.
È importante ricordare che dietro ogni schermo ci sono esseri umani che meritano empatia, privacy e soprattutto rispetto.
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