Criptovalute ed evasione fiscale: la Guardia di Finanza sequestra 11 milioni di euro

È possibile evadere il fisco a mezzo di Bitcoin? Eccome. Per la prima volta in Italia i finanzieri del Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria di Ravenna, in collaborazione con il Nucleo Speciale Tutela Privacy e Frodi Tecnologiche di Roma, hanno disvelato un’ingente evasione fiscale realizzata attraverso investimenti in criptovalute.L’indagato (originario del faentino) è stato smascherato anche grazie ai moderni software di blockchain analysis, che, adoperati dal Nucleo Speciale Tutela Privacy e Frodi Tecnologiche, hanno permesso di individuare una serie di portafogli di criptovalute molto ingenti, riuscendo ad attribuirli all’indagato, un esperto e abile trader. Dopo accertamenti, la GdF ha potuto verificare che il trader non solo non aveva adempiuto agli obblighi in materia di monitoraggio fiscale, ma ometteva anche di dichiarare ai fini reddituali le enormi plusvalenze realizzate grazie al trading di criptovalute. La GdF ha quindi proceduto al sequestro di Bitcoin e Avalanche (due tipi di cripto) per un valore di 11 milioni di euro.Ma non finisce qui, il trader indagato, che ha da subito collaborato con le autorità, non si limitava al semplice guadagno derivato dalla compravendita di cripto. L’importante disponibilità di cripto raggiunta, per un valore di 270 milioni di euro, consentiva al trader di porre la sua somma a garanzia della validità delle transazioni effettuate sulla rete da terze parti (un fenomeno che prende il nome di staking). In questa maniera l’interessato riceveva degli interessi sulla sua somma e otteneva un reinvestimento ciclico. Per fare chiarezza su questo prima operazione relativa al mondo delle criptovalute, Panorama ha sentito il Tenente Colonnello della GdF Andrea Gobbi.Qual è la differenza fra la più “classica” evasione fiscale e questa nuova variante effettuata a mezzo di criptovalute?La differenza deriva dal fatto che le criptovalute sono contenute in portafogli che sono al di fuori del sistema bancario ordinario, quindi sono praticamente irrintracciabili. Nell’ambito di questa operazione l’individuazione è stata fatta grazie al lavoro dei colleghi specializzati nell’analisi della blockchain [il database su cui sono registrate tutte le cripto e le relative transazioni, Ndr], che hanno individuato questi grossi portafogli anonimi a Ravenna. Tramite l’incrocio di vari elementi si è riusciti a individuare questo trader professionista. Giova ricordare che il possesso di criptovalute è equiparato al possesso di conti correnti esteri, è come se detenessi all’estero questi capitali.Come guadagnava?L’indagato era un trader esperto. Guadagnava dal trading fra una criptovaluta e l’altra, da un Bitcoin a un Avalanche, da un Avalanche a un Ethereum. Quindi i proventi derivavano dal cambio di valore fra una cripto e l’altra. Abbiamo ricostruito 24 milioni di plusvalenze, effettuando un sequestro preventivo di 11 milioni di euro in criptovalute. E i 270 milioni che l’indagato possedeva non sono stati utilizzati?Indirettamente, l’ingente somma era stata bloccata e messa “a garanzia” delle operazioni di altri soggetti, un fenomeno noto come “staking”. In pratica una determinata somma di cripto viene vincolata per un periodo di tempo determinato (un mese, due mesi, o quello che più si preferisce). Per la durata di quel periodo la somma vincolata non può essere toccate, al termine si riceve un interesse, ottenendo una plusvalenza.Quindi tutti i proventi restavano online?Si, il soggetto li convertiva in euro solamente quando voleva usarli per le sue spese.Ma cosa si può comprare con le cripto?Ad oggi dipende anche dal Paese preso in esame. Ci sono Paesi, in particolare sudamericani, che stanno provando ad introdurre le criptovalute come moneta vera e propria. Da privato cittadino si può pagare nei negozi che accettano i pagamenti in criptovaluta, utilizzando un sistema simile ad Apple Pay o Google Pay, traslando le cripto da un portafoglio all’altro. Oppure, ci sono alcuni istituti bancari stranieri che permettono di avere carte di credito (l'indagato ne aveva una), in questo modo il pagamento avviene come se si utilizzasse una normale carta di credito, la banca provvede a dare i soldi dovuti all’esercente e preleva la corrispettiva somma di criptovaluta dal portafoglio del cliente, trattenendo una commissione. Tutte queste operazioni sarebbero quasi irrintracciabili, perché non si saprebbe chi possiede questo tipo di carta di credito.Tutto questo anonimato non rischia di facilitare il compimento di truffe?Si, il rischio di truffe è reale. La persona che vuole usufruire di criptovalute utilizza una piattaforma per convertire i suoi euro in cripto. Il punto è che spesso lo fa utilizzando piattaforme aperte su server basati in Paesi dall’altra parte del mondo, magari anche poco collaborativi con l’Italia. Se chi gestisce il server decide di far sparire tutto e intascarsi i soldi investiti, come può la persona truffata recuperare i suoi soldi? Non può.

Feb 28, 2025 - 22:33
 0
Criptovalute ed evasione fiscale: la Guardia di Finanza sequestra 11 milioni di euro


È possibile evadere il fisco a mezzo di Bitcoin? Eccome. Per la prima volta in Italia i finanzieri del Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria di Ravenna, in collaborazione con il Nucleo Speciale Tutela Privacy e Frodi Tecnologiche di Roma, hanno disvelato un’ingente evasione fiscale realizzata attraverso investimenti in criptovalute.

L’indagato (originario del faentino) è stato smascherato anche grazie ai moderni software di blockchain analysis, che, adoperati dal Nucleo Speciale Tutela Privacy e Frodi Tecnologiche, hanno permesso di individuare una serie di portafogli di criptovalute molto ingenti, riuscendo ad attribuirli all’indagato, un esperto e abile trader.

Dopo accertamenti, la GdF ha potuto verificare che il trader non solo non aveva adempiuto agli obblighi in materia di monitoraggio fiscale, ma ometteva anche di dichiarare ai fini reddituali le enormi plusvalenze realizzate grazie al trading di criptovalute. La GdF ha quindi proceduto al sequestro di Bitcoin e Avalanche (due tipi di cripto) per un valore di 11 milioni di euro.

Ma non finisce qui, il trader indagato, che ha da subito collaborato con le autorità, non si limitava al semplice guadagno derivato dalla compravendita di cripto. L’importante disponibilità di cripto raggiunta, per un valore di 270 milioni di euro, consentiva al trader di porre la sua somma a garanzia della validità delle transazioni effettuate sulla rete da terze parti (un fenomeno che prende il nome di staking). In questa maniera l’interessato riceveva degli interessi sulla sua somma e otteneva un reinvestimento ciclico.

Per fare chiarezza su questo prima operazione relativa al mondo delle criptovalute, Panorama ha sentito il Tenente Colonnello della GdF Andrea Gobbi.

Qual è la differenza fra la più “classica” evasione fiscale e questa nuova variante effettuata a mezzo di criptovalute?

La differenza deriva dal fatto che le criptovalute sono contenute in portafogli che sono al di fuori del sistema bancario ordinario, quindi sono praticamente irrintracciabili. Nell’ambito di questa operazione l’individuazione è stata fatta grazie al lavoro dei colleghi specializzati nell’analisi della blockchain [il database su cui sono registrate tutte le cripto e le relative transazioni, Ndr], che hanno individuato questi grossi portafogli anonimi a Ravenna. Tramite l’incrocio di vari elementi si è riusciti a individuare questo trader professionista. Giova ricordare che il possesso di criptovalute è equiparato al possesso di conti correnti esteri, è come se detenessi all’estero questi capitali.

Come guadagnava?

L’indagato era un trader esperto. Guadagnava dal trading fra una criptovaluta e l’altra, da un Bitcoin a un Avalanche, da un Avalanche a un Ethereum. Quindi i proventi derivavano dal cambio di valore fra una cripto e l’altra. Abbiamo ricostruito 24 milioni di plusvalenze, effettuando un sequestro preventivo di 11 milioni di euro in criptovalute.

E i 270 milioni che l’indagato possedeva non sono stati utilizzati?

Indirettamente, l’ingente somma era stata bloccata e messa “a garanzia” delle operazioni di altri soggetti, un fenomeno noto come “staking”. In pratica una determinata somma di cripto viene vincolata per un periodo di tempo determinato (un mese, due mesi, o quello che più si preferisce). Per la durata di quel periodo la somma vincolata non può essere toccate, al termine si riceve un interesse, ottenendo una plusvalenza.

Quindi tutti i proventi restavano online?

Si, il soggetto li convertiva in euro solamente quando voleva usarli per le sue spese.

Ma cosa si può comprare con le cripto?

Ad oggi dipende anche dal Paese preso in esame. Ci sono Paesi, in particolare sudamericani, che stanno provando ad introdurre le criptovalute come moneta vera e propria. Da privato cittadino si può pagare nei negozi che accettano i pagamenti in criptovaluta, utilizzando un sistema simile ad Apple Pay o Google Pay, traslando le cripto da un portafoglio all’altro. Oppure, ci sono alcuni istituti bancari stranieri che permettono di avere carte di credito (l'indagato ne aveva una), in questo modo il pagamento avviene come se si utilizzasse una normale carta di credito, la banca provvede a dare i soldi dovuti all’esercente e preleva la corrispettiva somma di criptovaluta dal portafoglio del cliente, trattenendo una commissione. Tutte queste operazioni sarebbero quasi irrintracciabili, perché non si saprebbe chi possiede questo tipo di carta di credito.

Tutto questo anonimato non rischia di facilitare il compimento di truffe?

Si, il rischio di truffe è reale. La persona che vuole usufruire di criptovalute utilizza una piattaforma per convertire i suoi euro in cripto. Il punto è che spesso lo fa utilizzando piattaforme aperte su server basati in Paesi dall’altra parte del mondo, magari anche poco collaborativi con l’Italia. Se chi gestisce il server decide di far sparire tutto e intascarsi i soldi investiti, come può la persona truffata recuperare i suoi soldi? Non può.