Come riformare davvero la professione del medico di base
Medicina di base? Indispensabile fare un salto di qualità. Ecco come. L'intervento di Massimo Balducci

Medicina di base? Indispensabile fare un salto di qualità. Ecco come. L’intervento di Massimo Balducci
Il 5 febbraio il Sole 24 Ore pubblica un documento “riservato” del Ministero della Salute relativo a presunti progetti di ristrutturazione della nostra medicina di base. Da quello che si può dedurre dallo “scoop” del Sole 24 Ore i medici di base verrebbero tutti trasformati in dipendenti e assegnati alle cosiddette “case di comunità”, forse da intendersi come ridenominazione delle fantomatiche “case della salute”. La pandemia da Covid-19 ha messo in evidenza la debolezza della nostra medicina del territorio, laddove è risultato evidente che i sistemi che hanno reagito meglio alla pandemia hanno fatto perno sulla medicina del territorio.
Ci si deve dunque chiedere se la ristrutturazione prefigurata dal documento “rivelato” dal Sole 24 Ore (peraltro non smentito e, quindi, indirettamente avallato dal Ministero) sia in grado di potenziare la medicina del territorio. Per rispondere a questa domanda può essere utile un sommario raffronto con i sistemi al di sopra delle Alpi. Questo raffronto evidenzia due grandi differenze con la situazione che esiste oggi in Italia.
Innanzitutto sopra le Alpi non esiste la differenza tra medici ospedalieri e medici del territorio che esiste da noi. Il medico ospedaliero è un medico che presta la sua attività per alcune ore alla settimana in un ospedale e per il resto lavora sul territorio. Il medico è abituato a curare direttamente i suoi pazienti e non si limita, come da noi, prevalentemente ad esercitare una attività di smistamento dei pazienti, vuoi all’ospedale vuoi allo specialista del caso. Il medico, sopra le Alpi, interviene direttamente (anche con piccoli interventi di chirurgia) e “porta” il suo paziente all’ospedale solo quando sono necessarie strumentazioni non disponibili sul territorio. La dimensione “territorio” prevale nella concezione vigente sopra le Alpi al contrario di quanto capita da noi dove prevale, a partire dalla riforma della l. 833 del 1978, il ruolo del presidio ospedaliero attorno al quale “gira” tutto il sistema sanitario. Esempio eclatante della prevalenza della medicina del territorio rispetto a quella ospedaliera è rappresentato dall’Olanda dove si partorisce a casa e non in ospedale!
Sopra le Alpi (con l’esclusione parziale della Norvegia) il medico è un libero professionista e non è uno stipendiato più o meno burocratizzato. Medico libero professionista non significa “medicina privata”. I sistemi sanitari al di sopra delle Alpi sono saldamente pubblici e al malato non si chiede di pagare i costi della sua cura. Questi costi vengono coperti da un sistema generalmente definito del “terzo pagante”. Il sistema del “terzo pagante” presenta notevoli vantaggi rispetto al sistema italiano basato sul finanziamento dall’alto. Il sistema del “terzo pagante” riequilibra il rapporto medico/paziente dando al paziente il potere di scegliersi il medico da cui farsi curare mentre nel sistema basato sul finanziamento dall’alto il paziente deve prendere il medico che gli capita. Oggi nell’ospedale italiano siamo in questa situazione. O il paziente si fa curare dal medico di turno o, se vuole scegliersi il medico, deve pagare la prestazione (intra moenia o extra moenia). Attualmente in Italia i cittadini che abitano in ambiente urbano possono scegliersi il medico di base ma non lo specialista. Chi abita in ambiente rurale non può scegliersi nemmeno il medico di base. Il metodo del “terzo pagante” sgonfia i costi del controllo verticale di tipo burocratico. Nel sistema del “terzo pagante” il controllo è orizzontale e viene realizzato dai sanitari degli enti che pagano le fatture. Dove vige il sistema del “terzo pagante” non esiste il problema delle code. I punti di erogazione dei servizi vengono determinati dalla domanda e non dall’offerta, di modo che le strutture che erogano servizi non apprezzati dagli utenti o in dislocazioni geografiche non convenienti non hanno clienti e, quindi, vengono chiuse.
Dai tempi della onorevole Livia Turco in Italia ricorre, a intermittenza, il mito delle “case della salute” ora ridefinite “case di comunità”. Le case della salute “vere” esistono sopra le Alpi dove si basano su medici liberi professionisti (pagati con il sistema del “terzo pagante”) abituati a trattare i propri pazienti e non a svolgere una semplice funzione di smistamento. Sopra le Alpi, molti medici liberi professionisti si aggregano per condividere le spese di struttura. In alcuni casi questi medici condividono i dossier dei propri pazienti, di modo che i medici della stessa specializzazione appartenenti alla stessa maison de la santé possono prendersi il meritato riposo. Dove vige questo sistema non esiste il servizio di guardia medica notturna e festiva.
Attualmente i medici di base in Italia sono in un limbo tra “libera professione” e prestazione subordinata. Sono remunerati un tanto a paziente (non a prestazione), devono farsi carico della sede (ambulatorio) dove erogano la prestazione, degli strumenti che usano, devono remunerare chi li sostituisce quando sono assenti (vuoi per malattia, vuoi per ferie), hanno un obbligo di prestazioni orarie. In parole povere un ruolo molto ambiguo. La riforma prefigurata dallo scoop del Sole 24 Ore sembra voler rendere il medico del territorio un semplice dipendente. Non si affronta il problema del superamento della distinzione tra medico del territorio e medico ospedaliero. Non si affronta il problema di fare del medico del territorio un operatore che cura e non un semplice smistatore. Si prefigura il superamento dell’ultima possibilità di scelta che resta al paziente urbano togliendogli ogni residua possibilità di scegliersi il medico. Andremo anche sul territorio verso un sistema dove, se si vuol scegliere il medico, si deve rinunciare all’assistenza pubblica e ricorrere a medici privati, sulla farsa riga dell’intra moenia ospedaliero? In Toscana si stanno affermando varie strutture private che offrono prestazioni di medicina del territorio a pagamento.
La scoop del Sole 24 Ore fa riferimento al PNRR e alle risorse che sarebbero disponibili per creare le così dette “case di comunità”. Temo che qui si possa replicare la confusione che si sta realizzando a livello di asili nido. Il PNRR mette a disposizione ingenti somme per la costruzione delle strutture edili da destinare ad asili nido ma non si preoccupa del costo del funzionamento degli asili nido. Non posso fare a meno di ricordare che l’Amministrazione Comunale di Firenze gestisce varie centinaia di “posti” di asilo nido non utilizzati, non tanto perché non esistono bambini quanto perché la retta (derivata dal costo) dell’asilo nido comunale è notevolmente superiore a quella dell’asilo nido privato (dove i genitori preferiscono, ovviamente, iscrivere i propri figli).
La medicina del territorio in Italia è afflitta, negli ultimi anni, dal problema della carenza di medici. Non serve nascondersi dietro un dito. Questo problema è dovuto all’arroccamento della professione medica che ha forzato un numero chiuso in accesso ai corsi di medicina pesantemente sottodimensionato in modo da rafforzare la propria posizione negoziale nei confronti del SSN. Ovviamente bisognerà imparare a programmare l’accesso ai corsi di Medicina in funzione dei bisogni del sistema sanitario. Nel breve periodo, comunque, è possibile/necessario intervenire sulla fase dell’inserimento (onboarding). Al momento, quello che andrebbe fatto attiene alla fase di introduzione all’esercizio della professione dei medici, regolarmente iscritti all’albo professionale ma di fatto impediti ad esercitare la professione in attesa di una qualsivoglia specializzazione. Si tratta di una carenza del nostro sistema istituzionale a tutti i livelli: l’assenza di gestione della fase di onboarding del neo-professionista. Sopra le Alpi i giovani medici vengono subito inseriti nel sistema produttivo attraverso un periodo di affiancamento con un medico esperienziato. In questo modo si guadagnerebbero diverse migliaia di medici all’anno. Per non parlare del fatto che sopra le Alpi i corsi universitari sono molto più orientati all’apprendimento del “saper fare” concreto e non si limitano a fornire una cultura teorica.
I problemi della nostra sanità non possono essere affrontati a spezzoni. È l’architettura dell’intero sistema che va rivisto. Per fare questo bisogna superare schemi concettuali che si sono affermati a partire dalla legge 833 del 1978 (una legge che ha rappresentato un prezzo da pagare per avere il sostegno del PCI di Berlinguer nel turbolento anno dell’omicidio Moro). Altrimenti si finisce per riscaldare la minestra proposta dall’Onorevole Turco.