Coca Cola sotto accusa: ti sveliamo come l’azienda ha nascosto per anni gli effetti nocivi delle sue bibite zuccherate
Negli ultimi decenni, numerose campagne sanitarie e studi scientifici hanno messo in luce i rischi collegati alle bibite zuccherate, spingendo sempre più consumatori a ridurne il consumo. Eppure, nonostante tutto, se ne continua a bere (l’americano medio, per esempio, continua a bere bevande zuccherate ancora oggi circa 350 ml al giorno). Per ogni persona che...

Negli ultimi decenni, numerose campagne sanitarie e studi scientifici hanno messo in luce i rischi collegati alle bibite zuccherate, spingendo sempre più consumatori a ridurne il consumo. Eppure, nonostante tutto, se ne continua a bere (l’americano medio, per esempio, continua a bere bevande zuccherate ancora oggi circa 350 ml al giorno). Per ogni persona che non ne beve affatto, ce n’è un’altra che ne consuma il doppio.
Secondo uno studio pubblicato su Nature Medicine a gennaio 2024, nel solo 2020 le bibite zuccherate sono state responsabili di 2,2 milioni di nuovi casi di diabete e 1,2 milioni di malattie cardiovascolari nel mondo.
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Ma allora perché continuiamo a bere qualcosa che ci fa ammalare?
La risposta sta in una storia di manipolazioni, pubblicità aggressive e alleanze strategiche raccontata nel libro “Sweet and Deadly” di Murray Carpenter, che ricostruisce decenni di strategie messe in atto da Coca Cola per screditare la scienza che lega il consumo di zuccheri a malattie gravi come diabete di tipo 2 e patologie cardiovascolari.
Una strategia alla “Big Tobacco”
Nel 2017 due Pastori statunitensi – William H. Lamar IV e Delman L. Coates dell’organizzazione no-profit Praxis Project – fecero causa a Coca Cola e all’American Beverage Association, accusandole di marketing ingannevole. La denuncia sosteneva che l’azienda fosse da tempo consapevole del legame tra zuccheri e malattie croniche, ma che avesse deliberatamente cercato di confondere l’opinione pubblica. Come accaduto anni prima con Purdue Pharma per l’OxyContin, si pensava che questa causa potesse finalmente cambiare le sorti del dibattito. Ma Coca Cola seppe giocare d’anticipo, smorzando ogni colpo con una sapiente rete di relazioni, sponsorizzazioni e dichiarazioni pubbliche studiate ad arte.
Il parallelo con l’industria del tabacco non è casuale: Coca Cola ha usato le stesse tattiche di disinformazione e, in certi casi, le ha persino precedute.
“Una caloria è una caloria”? No, non lo è
Uno dei messaggi più fuorvianti promossi da Coca Cola riguarda il concetto che “una caloria è una caloria”, ovvero che non importa da dove provenga: ciò che conta è solo il bilancio calorico finale. Una narrativa che ha permesso al brand di spostare l’attenzione dai suoi prodotti all’attività fisica del singolo consumatore.
Ma la scienza è chiara: le calorie non sono tutte uguali. Quelle provenienti da zuccheri liquidi, come le bibite gassate, non vengono metabolizzate come quelle contenute in cereali integrali, frutta o frutta secca, che forniscono anche fibre e micronutrienti. Insistere sul concetto di “bilancio energetico”, quindi, è fuorviante.
Nel 2014 Coca Cola ha anche sponsorizzato la nascita del Global Energy Balance Network, un’organizzazione pseudo-scientifica guidata da accademici delle Università del Colorado e della South Carolina. Uno dei principali volti, Steven Blair, affermava in video promozionali che l’obesità non fosse causata da cibo spazzatura o bibite, ma solo da uno squilibrio tra calorie in entrata e in uscita.
Poco dopo, il New York Times smascherò tutto: l’associazione era una facciata controllata e finanziata direttamente da Coca Cola, che voleva farla sembrare indipendente. L’allora CEO Muhtar Kent fu costretto a scrivere una pubblica lettera di scuse sul Wall Street Journal, intitolata “Faremo meglio”.
Le campagne pubblicitarie costruite ad arte e la disinformazione
La manipolazione della percezione pubblica è passata non solo attraverso ricerche costruite ah hoc, ma anche per campagne pubblicitarie costruite ad arte. In un post del 2013, poi rimosso, Coca-Cola si vantava di aver “rimosso 1.5 trilioni di calorie dal mercato USA“, grazie a nuove formulazioni e riduzioni delle porzioni.
Il post mostrava foto di ex rappresentanti del Governo e studiosi durante eventi apparentemente neutrali, come quelli promossi dall’Hudson Institute o dalla Healthy Weight Commitment Foundation (HWCF). Peccato che quegli eventi fossero finanziati proprio da Coca Cola, che aveva donato milioni di dollari alle stesse organizzazioni.
Una realtà ben diversa dalla narrazione promossa, insomma: la stessa Coca Cola, volendo, potrebbe eliminare in un attimo miliardi di calorie dal mercato, semplicemente ritirando le versioni full sugar dei suoi prodotti o smettendo di promuoverle. Invece fa l’opposto: continua a pubblicizzare e lanciare nuove varianti, come la recente Coca Cola Spiced, che in alcuni casi contiene più zucchero dell’originale.
Coca Cola, pur conoscendo praticamente da sempre gli effetti devastanti dello zucchero sulla salute pubblica, ha preferito investire miliardi di dollari in campagne fuorvianti, sponsorizzazioni accademiche e strategie di marketing, nel tentativo di minimizzare la percezione del rischio. Proprio come ha fatto l’industria del tabacco, ha scelto di proteggere i profitti a discapito della salute collettiva.
E oggi, mentre milioni di persone si ammalano, la multinazionale più iconica del mondo continua a vendere — e a convincere — che non è colpa sua.
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