Caso Diciotti, la Cassazione: “Il Governo risarcisca i migranti”. Meloni non ci sta: “Principio opinabile”
Le Sezioni Unite civili della Corte di Cassazione hanno condannato il Governo a risarcire i migranti trattenuti a bordo dalla nave Diciotti della Guardia Costiera, che li aveva soccorsi in mare nel 2018, a cui l’esecutivo giallo-verde dell’allora presidente del Consiglio Giuseppe Conte e del vicepremier e ministro dell’Interno Matteo Salvini vietò lo sbarco nel […]

Le Sezioni Unite civili della Corte di Cassazione hanno condannato il Governo a risarcire i migranti trattenuti a bordo dalla nave Diciotti della Guardia Costiera, che li aveva soccorsi in mare nel 2018, a cui l’esecutivo giallo-verde dell’allora presidente del Consiglio Giuseppe Conte e del vicepremier e ministro dell’Interno Matteo Salvini vietò lo sbarco nel porto di Catania. Una decisione che ha sollevato le proteste dell’attuale premier Giorgia Meloni che, parlando di “principio risarcitorio assai opinabile”, ha contestato l’obbligo di “risarcire – con i soldi dei cittadini italiani onesti che pagano le tasse – persone che hanno tentato di entrare in Italia illegalmente, ovvero violando la legge dello Stato”.
La Cassazione ha accolto il ricorso presentato dai naufraghi salvati in mare dalla Guardia Costiera e trattenuti a bordo della nave Diciotti dal 16 al 25 agosto 2018 per i danni non patrimoniali “patiti”, come si legge nel ricorso, “in occasione dell’illegittima restrizione della libertà personale a causa “del mancato consenso all’attracco nei porti italiani, del mancato consenso allo sbarco sulla terra ferma e per il forzato ed arbitrario trattenimento nel porto di Catania’’.
La Corte di Cassazione ha riconosciuto il danno ai ricorrenti e rinviato al giudice di merito la decisione sulla quantificazione del danno, annullando così la sentenza della Corte d’appello di Roma del 13 marzo 2024 che aveva negato il risarcimento, “pur ritenendo sussistere la giurisdizione ordinaria per essersi trattato non di un atto politico, ma di un atto amministrativo, pienamente sindacabile, aveva tuttavia respinto nel merito la domanda degli appellanti in difetto della colpa della pubblica amministrazione”.
L’ordinanza della Cassazione: “I giudici possono sindacare sul divieto di sbarco e il soccorso in mare è un dovere”
“Va certamente escluso”, si legge nell’ordinanza dei giudici, “che il rifiuto dell’autorizzazione allo sbarco dei migranti soccorsi in mare protratto per dieci giorni possa considerarsi quale atto politico sottratto al controllo giurisdizionale”. “Non lo è perché non rappresenta un atto libero nel fine, come tale riconducibile a scelte supreme dettate da criteri politici concernenti la costituzione, la salvaguardia o il funzionamento dei pubblici poteri nella loro organica struttura e nella loro coordinata applicazione”.
“Non si è di fronte, cioè, ad un atto che attiene alla direzione suprema generale dello Stato considerato nella sua unità e nelle sue istituzioni fondamentali. Si è in presenza, piuttosto, di un atto che esprime una funzione amministrativa da svolgere, sia pure in attuazione di un indirizzo politico, al fine di contemperare gli interessi in gioco e che proprio per questo si innesta su una regolamentazione che a vari livelli, internazionale e nazionale, ne segna i confini”, spiegano i magistrati. “Le motivazioni politiche alla base della condotta non ne snaturano la qualificazione, non rendono, cioè, politico un atto che è, e resta, ontologicamente amministrativo. Non vi è dunque difetto assoluto di giurisdizione”.
“L’azione del Governo, ancorché motivata da ragioni politiche, non può mai ritenersi sottratta al sindacato giurisdizionale quando si ponga al di fuori dei limiti che la Costituzione e la legge gli impongono, soprattutto quando siano in gioco i diritti fondamentali dei cittadini (o stranieri), costituzionalmente tutelati”, sottolinea l’ordinanza, che definisce il soccorso in mare “un preciso dovere”.
“L’obbligo del soccorso in mare corrisponde ad una antica regola di carattere consuetudinario, rappresenta il fondamento delle principali convenzioni internazionali, oltre che del diritto marittimo italiano e costituisce un preciso dovere per tutti i soggetti, pubblici o privati, che abbiano notizia di una nave o persona in pericolo esistente in qualsiasi zona di mare in cui si verifichi tale necessità; come tale esso deve considerarsi prevalente su tutte le norme e gli accordi bilaterali finalizzati al contrasto dell’immigrazione irregolare’’, spiegano i giudici, che ribadiscono inoltre come, dopo aver salvato i naufraghi in mare, lo sbarco debba avvenire “nel più breve tempo ragionevolmente possibile”.
“Lo Stato responsabile del soccorso deve organizzare lo sbarco ‘nel più breve tempo ragionevolmente possibile’ (Convenzione SAR, capitolo 3.1.9), fornendo un luogo sicuro in cui terminare le operazioni di soccorso”, si legge nell’ordinanza. “Per ‘luogo sicuro’ si intende un ‘luogo’ in cui sia garantita non solo la ‘sicurezza’– intesa come protezione fisica – delle persone soccorse in mare, ma anche il pieno esercizio dei loro diritti fondamentali, tra i quali, ad esempio, il diritto dei rifugiati di chiedere asilo”. Un principio, spiegano i magistrati, sottoposto certamente alla “discrezionalità tecnica” degli Stati ma con una serie di limiti.
“In capo agli Stati residua un margine di ‘discrezionalità tecnica’ solo ai fini dell’individuazione del punto di sbarco più opportuno, tenuto conto del numero dei migranti da assistere, del sesso, delle loro condizioni psicofisiche nonché in considerazione della necessità di garantire una struttura di accoglienza e cure mediche adeguate”, sottolineano i giudici, secondo cui il “trattenimento a bordo” dei migranti non può qualificarsi come un atto politico finalizzato al contrasto all’immigrazione illegale.
“È escluso che il trattenimento a bordo della nave costiera di migranti non ancora compiutamente identificati (e potenzialmente titolari del diritto di asilo ex art. 10, terzo comma della Costituzione) possa essere inquadrato nell’ambito di procedimenti di espulsione o di estradizione”, si legge nell’ordinanza. “Non può nemmeno ipotizzarsi che detto trattenimento possa trovare copertura sovranazionale quale misura (assimilabile all’arresto o alla detenzione regolare) finalizzata a impedire l’ingresso illegale nel territorio”.
La reazione del governo e della maggioranza
“Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno condannato il governo a risarcire un gruppo di immigrati illegali trasportati dalla nave Diciotti perché il governo di allora, con Ministro dell’Interno Matteo Salvini, non li fece sbarcare immediatamente in Italia. Lo fanno affermando un principio risarcitorio assai opinabile, quello della presunzione del danno, in contrasto con la giurisprudenza consolidata e con le conclusioni del Procuratore Generale”, ha reagito sui social la premier Giorgia Meloni.
“In sostanza, per effetto di questa decisione, il Governo dovrà risarcire – con i soldi dei cittadini italiani onesti che pagano le tasse – persone che hanno tentato di entrare in Italia illegalmente, ovvero violando la legge dello Stato italiano.Non credo siano queste le decisioni che avvicinano i cittadini alle istituzioni, e confesso che dover spendere soldi per questo, quando non abbiamo abbastanza risorse per fare tutto quello che sarebbe giusto fare, è molto frustrante”.
“Assurdo”, ha commentato sui social la Lega – Salvini Premier . Paghino questi giudici di tasca loro, se amano tanto i clandestini”. Contrario all’ordinanza anche il vicepremier, ministro degli Esteri e leader di Forza Italia, Antonio Tajani: “Credo che il dovere del Governo è di difendere i confini nazionali, ma se tutti gli immigrati irregolari chiedessero un risarcimento così facciamo fallire le casse dello Stato. È una sentenza che non condivido: non ne condivido le basi giuridiche”.