Camminare ci curerà
Non occorre ripercorrere i milioni di passi degli asceti giapponesi per sentirsi meglio (e migliori). Bastano un qualunque sentiero e tanta voglia di connettersi con l’ambiente. Come scriveva Bruce Chatwin L'articolo Camminare ci curerà proviene da Montagna.TV.

Leggo di questo monaco buddista giapponese, RyoJun Shionuma il suo nome, che circa un quarto di secolo fa si è sottoposto a una pratica che a stento possiamo chiamare ascetica (il paragone più appropriato, per restare in area nipponica, sarebbe quello con i kamikaze): è il cosiddetto Sennichi Kaihogyo, che si traduce in “prova di circumdeambulazione dei mille giorni”. In pratica, si sceglie un luogo ripido e pericoloso, nel suo caso il monte Omine (1719 metri), e lo si percorre in lungo e in largo per quasi tre anni consecutivi: ogni giorno 48 chilometri di cammino, che ci sia sole o pioggia, che si stia bene o con l’influenza. Cibandosi quando si può (solo riso), dormendo quando si può. Uno dice, vabbè, se non ce la faccio mollo, sarò uno dei tanti che al Tor des Géants, per esempio, si arrendono a qualche cancelletto orario. E no, troppo facile: l’asceta che molla il Sennichi Kaihogyo deve pagare dazio. Deve fare harakiri. Vi sono venuti i brividi? Ascoltate quest’altra. Dopo che il nostro RyoJun è riuscito a portare a termine l’impresa, ha completato la sua pratica ascetica con un’altra, ancora più terribile ordalia: lo Shimugyo, prova delle quattro privazioni. Non si dorme, non si mangia, non si beve, non ci si siede né ci si sdraia, per nove giorni consecutivi. Dicono che le probabilità di arrivare vivi fino in fondo siano del 50%. RyoJun Shionuma ce l’ha fatta, se no non sarebbe qui a raccontarcela, e ora si gode la sua fama di Budda vivente e trascorre i suoi anni in umiltà nel suo tempietto, dispensando saggezza e cibo a chi va a trovarlo.
Noi di area cristiana, noi occidentali, queste cose non le facciamo. Preferiamo vivere. Ma nel nostro piccolo, la pratica ascetica del cammino la conosciamo bene. Ho già citato il Tor, che è sì una gara di velocità, ma per chi non ha velleità di podio si trasforma in un’esperienza psichica, e forse spirituale, fortissima. A cascata, tutte le manifestazioni di lunga durata (gli endurance trail), le Alte Vie, le traversate delle Alpi o gli infiniti sentieri degli Appalachi, contengono in sé un nocciolo duro di ascesi. Camminare è di per sé una pratica contemplativa, e non serve essere particolarmente religiosi per sperimentarlo. I pellegrinaggi, ma anche le guerre sante del Medioevo, si compivano a piedi, e il viaggio era occasione di espiazione e avvicinamento al divino. I cammini contemporanei, che si moltiplicano sulle nostre montagne, sulle tracce di qualche santo (Santiago, san Francesco, san Colombano, san Benedetto…) o di altri personaggi più secolari (Matilde di Canossa, i Partigiani, i Briganti e perfino il generale Rommel) hanno lo stesso scopo: contemplare il paesaggio per curare l’anima. O il corpo, dipende.
Qualcuno ricorda forse l’esperienza di Werner Herzog, il regista tedesco, che nel 1974 si mise in cammino da Monaco a Parigi convinto di poter contribuire così alla guarigione dell’amica Lotte Eisner, che era stata colpita dal cancro: qualche anno dopo ne scrisse anche un libro, Gehen im Eis (Sentieri nel ghiaccio, tradotto in Italia da Guanda). Fu un’avventura di 900 chilometri nella stagione meno favorevole, novembre, e il risultato fu che l’amica Lotte visse per altri dieci anni. Un altro libro che a quell’epoca ci ha convinto a rivalutare la pratica del cammino fu In Patagonia di Bruce Chatwin, che in seguito divenne il profeta in stile new age di ogni aspirante neo-nomade.
Una delle citazioni più belle di Chatwin, a proposito del camminare, è la seguente: “I haven’t got any special religion this morning. My God is the God of Walkers. If you walk hard enough, you probably don’t need any other god”. Il Dio dei Camminatori non è particolarmente spirituale, non è né cristiano né buddista. È un dio che vive dentro di noi, si accende con il primo passo e si rafforza con i passi seguenti. Consuma solo calorie, non è responsabile di emissioni nocive né di consumo del territorio. È più ecologico di qualsiasi altro mezzo di trasporto, delle auto e dei treni, delle funivie e delle reti multimodali, persino delle biciclette. Il Dio dei Camminatori è antico come l’uomo, è l’uomo. Se torniamo a venerarlo, forse ci curerà.
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