Accordo «storico» con gli Emirati: 40 miliardi e impulso al Piano Mattei

Visita in pompa magna dell’emiro Mohamed bin Zayed Al Nahyan, ospite del Forum tra Emirati Arabi e Italia inaugurato da Giorgia Meloni. Una giornata che ha visto chiudere oltre una trentina di accordi tra 200 operatori di entrambe le nazionalità per una somma di investimenti emirati che si avvicina ai 40 miliardi di euro. Presenti: Eni, Fincantieri, Leonardo, Sace, Cdp, Enel, Elettronica, Intesa, Tim, Newcleo ed F2i. «È una giornata che considero storica», ha detto il premier nel suo intervento. «A volte usiamo questa parola a sproposito, ma questo è uno dei casi in cui non è a sproposito parlare di giornata storica. Questo Business forum è una tappa fondamentale nel rapporto fra le nostre nazioni, nella prima visita di Stato di un presidente degli Emirati Arabi Uniti in Italia», ha aggiunto. «Abbiamo deciso di portare la collaborazione bilaterale a un livello mai sperimentato prima». Ma è la parte conclusiva del comunicato diffuso ieri a dare il senso più profondo della posizione geopolitica del Golfo. «Il presidente Meloni e Sheikh Mohamed bin Zayed», recita la nota, «hanno inoltre confermato, nel quadro del Piano Mattei per l’Africa, la volontà di rafforzare la cooperazione trilaterale con le nazioni del continente africano sulla base di un apposito partenariato istituito in occasione della visita nonché di accordi con il settore privato emiratino finalizzati ad agevolare co-investimenti nell’ambito energetico e dell’acqua nel continente africano». In parole più semplici, si intravede la forma del triangolo. Il tentativo ben avviato di gestire un futuro di partnership con uno dei Paesi sunniti (assieme all’Arabia di Mohammed bin Salman) più lanciato sia a livello regionale che a livello globale grazie al sostegno americano e israeliano. Vale la pena di ricordare in questo ambito che il piano Gaza, erroneamente sintetizzato dai media europei e italiani come bieca operazione immobiliare, in realtà perimetra un tentativo più ampio di rivedere l’intero equilibrio del Medio Oriente, affidando appunto ai sunniti una totale leadership tecnologica ed energetica. Se il piano Trump dovesse andare in porto, assisteremmo a una Gaza sotto il controllo saudita, un Libano magari spezzettato ma anch’esso sotto il controllo sunnita e un Egitto fortemente ridimensionato. In questo panorama, molto probabile, gli Emirati rappresentano la seconda stampella che punta a decuplicare gli investimenti in energia e sicurezza. Non solo Difesa, ma un concetto più ampio di controllo geopolitico di altri quadranti. Tra questi l’Africa. E qui rientrano in pieno il Forum di ieri e la triangolazione di cui abbiamo scritto sopra. L’Africa è ormai divisa tra russi, cinesi e turchi. I primi siederanno alle trattative di Riad sul futuro dell’Ucraina e in quella sede verrà rivista e ridiscussa la loro proiezione estera. La Cina è un tema difficile da decifrare, quello che è certo è gli emiratini puntano a ridurre l’egemonia turca. Non a caso gli accordi di ieri portano il livello di cooperazione verso un terzo step. Fino a dieci anni fa Abu Dahabi era un Paese che si limitava ad acquistare tecnologie. Adesso gestisce parternership bilaterali. Basta vedere la lista delle aziende presenti al Forum. Molte, nell’ambito sicurezza, hanno accordi o joint venture con i nuovi colossi locali come Edge.Però l’obiettivo non è solo sviluppare tecnologie europee su necessità mediorientali, ma anche fare da piattaforma per nuove customizzazioni e venderle in Africa o in altri Paesi terzi. Incontrato la scorsa settimana all’Idex (Fiera della Difesa di Abu Dhabi), Lorenzo Mariani, condirettore generale di Leonardo, ha spiegato con accuratezza le opportunità della presenza italiana nel Golfo. «Gli accordi con Edge vanno nella direzione dell’export», ha commentato, «e dimostrano l’accelerazione in corso su tutti i temi della sicurezza». Il manager, sollecitato sul Piano Mattei, ha tenuto a specificare che al momento le aziende italiane concorrono direttamente e indirettamente allo sviluppo delle infrastrutture in Africa. Basti pensare agli aeroporti. Ma non si esclude che in un secondo momento, quando i mercati saranno più maturi, si possa concorrere anche al mercato della Difesa e della sicurezza. Ecco perché a nostro avviso il mega accordo di ieri apparecchia nel medio termine un tavolo di nuove possibilità. Fondendo la tecnologie italiana e la disponibilità finanziaria degli emiratini si può fare leva e unire gli sforzi proprio nei Paesi interessati al Piano Mattei. Chissà se ieri, quando ha elogiato la leadership di Giorgia Meloni (l’ambito era quello del G7), Donald Trump non pensasse anche a queste nuove strade e obiettivi di triangolazione.

Feb 28, 2025 - 13:52
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Accordo «storico» con gli Emirati: 40 miliardi e impulso al Piano Mattei


Visita in pompa magna dell’emiro Mohamed bin Zayed Al Nahyan, ospite del Forum tra Emirati Arabi e Italia inaugurato da Giorgia Meloni. Una giornata che ha visto chiudere oltre una trentina di accordi tra 200 operatori di entrambe le nazionalità per una somma di investimenti emirati che si avvicina ai 40 miliardi di euro. Presenti: Eni, Fincantieri, Leonardo, Sace, Cdp, Enel, Elettronica, Intesa, Tim, Newcleo ed F2i. «È una giornata che considero storica», ha detto il premier nel suo intervento. «A volte usiamo questa parola a sproposito, ma questo è uno dei casi in cui non è a sproposito parlare di giornata storica. Questo Business forum è una tappa fondamentale nel rapporto fra le nostre nazioni, nella prima visita di Stato di un presidente degli Emirati Arabi Uniti in Italia», ha aggiunto. «Abbiamo deciso di portare la collaborazione bilaterale a un livello mai sperimentato prima».

Ma è la parte conclusiva del comunicato diffuso ieri a dare il senso più profondo della posizione geopolitica del Golfo. «Il presidente Meloni e Sheikh Mohamed bin Zayed», recita la nota, «hanno inoltre confermato, nel quadro del Piano Mattei per l’Africa, la volontà di rafforzare la cooperazione trilaterale con le nazioni del continente africano sulla base di un apposito partenariato istituito in occasione della visita nonché di accordi con il settore privato emiratino finalizzati ad agevolare co-investimenti nell’ambito energetico e dell’acqua nel continente africano». In parole più semplici, si intravede la forma del triangolo. Il tentativo ben avviato di gestire un futuro di partnership con uno dei Paesi sunniti (assieme all’Arabia di Mohammed bin Salman) più lanciato sia a livello regionale che a livello globale grazie al sostegno americano e israeliano. Vale la pena di ricordare in questo ambito che il piano Gaza, erroneamente sintetizzato dai media europei e italiani come bieca operazione immobiliare, in realtà perimetra un tentativo più ampio di rivedere l’intero equilibrio del Medio Oriente, affidando appunto ai sunniti una totale leadership tecnologica ed energetica. Se il piano Trump dovesse andare in porto, assisteremmo a una Gaza sotto il controllo saudita, un Libano magari spezzettato ma anch’esso sotto il controllo sunnita e un Egitto fortemente ridimensionato. In questo panorama, molto probabile, gli Emirati rappresentano la seconda stampella che punta a decuplicare gli investimenti in energia e sicurezza. Non solo Difesa, ma un concetto più ampio di controllo geopolitico di altri quadranti. Tra questi l’Africa. E qui rientrano in pieno il Forum di ieri e la triangolazione di cui abbiamo scritto sopra. L’Africa è ormai divisa tra russi, cinesi e turchi. I primi siederanno alle trattative di Riad sul futuro dell’Ucraina e in quella sede verrà rivista e ridiscussa la loro proiezione estera. La Cina è un tema difficile da decifrare, quello che è certo è gli emiratini puntano a ridurre l’egemonia turca. Non a caso gli accordi di ieri portano il livello di cooperazione verso un terzo step. Fino a dieci anni fa Abu Dahabi era un Paese che si limitava ad acquistare tecnologie. Adesso gestisce parternership bilaterali. Basta vedere la lista delle aziende presenti al Forum. Molte, nell’ambito sicurezza, hanno accordi o joint venture con i nuovi colossi locali come Edge.

Però l’obiettivo non è solo sviluppare tecnologie europee su necessità mediorientali, ma anche fare da piattaforma per nuove customizzazioni e venderle in Africa o in altri Paesi terzi. Incontrato la scorsa settimana all’Idex (Fiera della Difesa di Abu Dhabi), Lorenzo Mariani, condirettore generale di Leonardo, ha spiegato con accuratezza le opportunità della presenza italiana nel Golfo. «Gli accordi con Edge vanno nella direzione dell’export», ha commentato, «e dimostrano l’accelerazione in corso su tutti i temi della sicurezza». Il manager, sollecitato sul Piano Mattei, ha tenuto a specificare che al momento le aziende italiane concorrono direttamente e indirettamente allo sviluppo delle infrastrutture in Africa. Basti pensare agli aeroporti.

Ma non si esclude che in un secondo momento, quando i mercati saranno più maturi, si possa concorrere anche al mercato della Difesa e della sicurezza. Ecco perché a nostro avviso il mega accordo di ieri apparecchia nel medio termine un tavolo di nuove possibilità. Fondendo la tecnologie italiana e la disponibilità finanziaria degli emiratini si può fare leva e unire gli sforzi proprio nei Paesi interessati al Piano Mattei. Chissà se ieri, quando ha elogiato la leadership di Giorgia Meloni (l’ambito era quello del G7), Donald Trump non pensasse anche a queste nuove strade e obiettivi di triangolazione.