Perché Zelensky sta sbagliando. L’analisi di Punzi

Lo scontro Trump-Zelensky, gli obiettivi dell'amministrazione americana, il futuro della Nato e non solo. Conversazione con Federico Punzi, direttore di Atlantico Quotidiano, esperto di politica estera e americana

Mar 2, 2025 - 10:25
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Perché Zelensky sta sbagliando. L’analisi di Punzi

Lo scontro Trump-Zelensky, gli obiettivi dell’amministrazione americana, il futuro della Nato e non solo. Conversazione con Federico Punzi, direttore di Atlantico Quotidiano, esperto di politica estera e americana

“Vance alza la voce e scatena la lite”, ha scritto ieri il Corriere della sera. È andata così?

No, decisamente no. Si è parlato anche di un agguato premeditato. Zelensky è stato messo al suo posto brutalmente, è vero. Ma prima di quei 7-8 minuti che hanno visto tutti, ce ne sono altri 40 da vedere per farsi un’idea non parziale e obiettiva. E in quei 40 minuti non c’è nessun clima da “agguato”. Al contrario, proprio perché c’era un accordo pronto da firmare sul tavolo, Trump è stato molto paziente, subendo senza reagire continue interruzioni e puntualizzazioni da parte di Zelensky, che sottintendono come il negoziato con Putin sia inutile. Da qui la conclusione del presidente Trump che Zelensky “non è pronto per la pace”. Anche quando il presidente ucraino ha polemicamente chiesto al vice J.D. Vance “di che tipo di diplomazia stai parlando J.D.?”, Trump non si è intromesso.

E la rottura quando c’è stata?

La rottura si è consumata quando Zelensky ha fatto ricorso ad un suo tipico argomento, una sorta di “domani toccherà a voi”: “Avete un bell’oceano in mezzo e non la sentite ora [la guerra], ma la sentirete in futuro”. L’esatto contrario del messaggio di Trump agli americani: no alle guerre infinite. Comunque, ripeto, erano 40 minuti che Zelensky in ogni intervento contestava l’idea stessa della via diplomatica. Alla fine il clima si è deteriorato e c’è stata la reazione.

Che succede ora?

Zelensky deve essersi accorto della cazzata alla luce delle sue parole di ieri e sono abbastanza certo che nonostante le dichiarazioni pubbliche molti leader europei gli abbiano consigliato di ricucire. Ma non so se a questo punto sia possibile ristabilire il clima di fiducia necessario per affrontare i pericolosi tornanti che ci aspettano nel negoziato con Putin.

Comunque non è stata una bella pagina di diplomazia e di negoziazione con l’amministrazione Usa che sculaccia in diretta mondiale il presidente di un Paese aggredito dalla Russia. Almeno su questo deve convenire…

Certo, non è stata una bella scena. Molta amarezza. Non vedo però come Trump e Vance potessero far finta di niente mentre Zelensky picconava l’idea stessa di un negoziato con Putin. Cosa avrebbero scritto i giornali, soprattutto americani, se non avessero reagito? Ora, si possono avere mille perplessità e sono il primo a ritenere che le preoccupazioni di Zelensky, la sua richiesta di solide garanzie di sicurezza, anche dagli Usa come backstop, sono del tutto fondate. Dirò di più, non trovo corretta la visione dell’amministrazione Usa sulla causa della guerra che sarebbe principalmente l’ingresso di Kiev nella Nato. Ma gli errori di Zelensky sono di grammatica politica, di metodo.

In che senso?

Erano tutti rilievi fondati che avrebbero meritato di essere approfonditi in altra sede, non a favore di telecamere. Puoi fare una battuta, come Macron e Starmer, ma non puoi trasformare l’incontro in un contraddittorio. In questo genere di incontri con la stampa, nello Studio Ovale, di solito i leader mostrano la loro sintonia, ponendo l’accento su ciò che li unisce, non sui punti di disaccordo, che vengono invece smussati. A maggior ragione se è prevista la firma di un accordo. Pur essendo in disaccordo con Trump su molti aspetti, la prima cosa che hanno fatto Macron e Starmer al cospetto di Trump è stata esprimere apprezzamento per i suoi sforzi di pace. Che ci credano o no, hanno fatto capire di voler remare nella stessa direzione, di non mettersi di traverso.

Ma cosa c’è dietro la rottura plateale? Era stato raggiunto o no un accordo sulle terre rare, o meglio sulle risorse minerarie? O non era stata trovata la quadra sulla sicurezza dell’Ucraina post tregua o pace?

Era stato raggiunto l’accordo sulle risorse minerarie, un accordo quadro che aveva comunque bisogno di ulteriore lavoro per definire i dettagli. Si trattava quindi di dire sì ad un primo passo, praticamente un memorandum. Ma il punto politico è che Zelensky vorrebbe garanzie di sicurezza prima di sedersi al tavolo, mentre Trump vuole prima che lui si impegni in buona fede per la pace e teme che offrirgli garanzie di sicurezza prima possa incoraggiarlo a non impegnarsi nel negoziato. Ma allora perché volare a Washington a firmare l’accordo? Trump ha spiegato che ciò che lo preoccupa è chiudere l’accordo, le garanzie di sicurezza sono la parte facile, da vedere dopo, e che l’accordo sulle risorse minerarie è già una sicurezza implicita, dal momento che ci sarà personale Usa in Ucraina e diversi milioni di buoni motivi per non abbandonarla. L’accordo, che intendiamoci a mio avviso non soddisfa in pieno la richiesta di garanzie di sicurezza, è una mossa intelligente di Trump, perché impegna a lungo termine gli Usa in Ucraina in un modo accettabile per la sua base elettorale (interesse economico: America First) e difficilmente contestabile da parte del Cremlino, non riguardando il settore della difesa.

L’atteggiamento fiero di Zelensky implica il fatto che avvertiva di avere il sostegno comunque dell’Ue e del Regno Unito? E nel caso di disimpegno degli Usa saranno sufficienti questi appoggi per l’Ucraina?

Non credo che Zelensky creda di poter fare a meno del sostegno Usa. E in questi tre anni si è rivolto in modo altrettanto duro con l’Europa per la sua riluttanza a mandare armi. Non escludo però che la santificazione europea possa averlo portato a sopravvalutare la sua leva, mentre in questi giorni gli europei sembrano volerlo usare come arma contundente contro Trump.

Dove sta sbagliando Zelensky?

Zelensky in questi anni si è dimostrato abile e coraggioso, ma sta faticando ad accettare dal punto di vista prima di tutto psicologico, emotivo, la nuova fase che si è aperta. L’altra sera più volte Trump ha cercato di spiegare che si vede come mediatore, quindi non è allineato né a Putin né all’Ucraina, mentre Zelensky ribadiva di volere l’America al suo fianco. Ma in questa fase, se si vuole far partire un negoziato, Trump deve assumere una retorica appropriata nei confronti della Russia, che inevitabilmente suona come riabilitazione. Ma questo il presidente ucraino non riesce nemmeno a concepire, vede già come un tradimento la telefonata a Putin.

In effetti le avvisaglie sulla volontà di Trump di porre fine al conflitto erano chiare viste le dichiarazioni recenti e in campagna elettorale del presidente eletto, ma è utile per l’immagine dell’America umiliare e cacciare Zelensky dalla Casa Bianca?

Primo, erano ben più di avvisaglie, era un impegno elettorale. Se il presidente appena eletto di un Paese alleato di cui non puoi fare a meno, né per la guerra, né per la pace, vuole la sua occasione, non puoi opporgli un rifiuto di principio: con Putin è inutile trattare perché è un criminale che non rispetta alcun accordo e i precedenti tentativi sono falliti. Trump ha tutto il diritto di provarci, gli Usa se lo sono pagato in un certo senso, e di ritenere di essere più efficace e persuasivo dei suoi predecessori. Quindi intanto ti mostri pronto a salire a bordo. Ti siedi al tavolo e vai a vedere le carte. Anche perché non si può escludere – anzi ne sono abbastanza convinti – che al dunque sarebbe Putin a frapporre gli ostacoli maggiori. Per esempio, opponendosi alle garanzie di sicurezza per l’Ucraina che Trump ritiene la parte facile dell’affare.

Ripeto: è utile per l’immagine dell’America umiliare e cacciare Zelensky dalla Casa Bianca?

Secondo: no, certo no. È stato un danno anche per la Casa Bianca ed è per questo che non mi convince la teoria della premeditazione. Trump vede allontanarsi le prospettive di pace, quella pace in breve tempo su cui ha in parte costruito la sua rielezione. Con il senno di poi si può tranquillamente affermare che l’incontro di venerdì non avrebbe dovuto tenersi, era assolutamente prematuro. Non c’erano le condizioni.

Chi ha sbagliato?

Qualcuno dell’amministrazione Usa avrebbe dovuto accorgersene. Probabilmente, almeno così raccontano i retroscena, erano stati gli ucraini a spingere e gli americani hanno avuto il timore che rifiutare avrebbe reso i rapporti più tesi e dato il via a interpretazioni maligne da parte dei media. E qui il mistero si infittisce, perché se sono stati gli ucraini a chiederlo, il comportamento di Zelensky è ancora più inspiegabile. Ripeto, non si è limitato a delle puntualizzazioni fattuali – Trump le ha tollerate, anche da Macron e Starmer, come tutti hanno notato – né a ribadire l’importanza delle garanzie di sicurezza. No, ha continuamente attaccato la via diplomatica in quanto tale.

Un uomo della finanza in Italia ha scritto: “Ragionando come un fondo di private equity gli Usa, secondo Trump, hanno investito in giro per il mondo e adesso rivogliono indietro i loro soldi, un dividendo monster, che tutti i beneficiari dovranno pagare”. È questa in sostanza l’impostazione di Trump?

Un approccio transazionale è stato definitivo. Da una parte sì, perché usa una retorica da uomo d’affari. Ma non va dimenticato che nelle sue richieste ci sono ragioni profonde sposate anche dalle precedenti amministrazioni, sebbene appunto non con l’approccio spesso brutale e sgradevole dell’imprenditore che vuole rientrare dell’investimento e riduce tutto in termini di soldi. Ma al dunque, non sta lì con il bilancino come potrebbe apparire, tanto vi ho dato, tanto dovete restituire.

L’elettorato trumpiano condivide?

Trump esprime il malcontento profondo di una stragrande maggioranza di americani, non solo MAGA o conservatori, che non sono più disposti a pagare il conto per la sicurezza e il benessere altrui e oltretutto essere anche bacchettata. Deve esserci un riequilibrio, con le buone o con le cattive. Anche perché da ormai una cinquantina d’anni l’Europa è un continente ricco che dovrebbe essere in grado di provvedere alla sua difesa almeno convenzionale. Parliamo di difesa, ovviamente, ma anche di commercio. Gli americani non sono più disponibili a perdere tessuto produttivo e posti di lavoro sull’altare della globalizzazione “alla cinese” di questi vent’anni.

Non è indicativo di perplessità e critiche anche in ambienti conservatori americani il commento di Frum su The Atlantic? Ecco uno dei passi salienti: “Trump e Vance hanno rivelato agli americani e agli alleati dell’America il loro allineamento con la Russia, e la loro animosità verso l’Ucraina in generale e il suo presidente in particolare. La verità è brutta, ma è necessario affrontarla. L’incontro di oggi ha smentito qualsiasi affermazione secondo cui la politica di questa amministrazione è guidata da uno sforzo strategico per promuovere gli interessi degli Stati Uniti, per quanto fuorviante. Trump e Vance hanno mostrato nello Studio Ovale un odio altamente personale. Non c’è stato alcuno sforzo qui per sostenere gli interessi americani”

David Frum è un never-Trump viscerale, non mi sorprende. Un fenomeno consistente tra gli intellettuali conservatori su entrambe le sponde dell’Atlantico ma alla prova dei fatti marginale nell’elettorato conservatore. Credo che il suo commento sia pesantemente condizionato dal pregiudizio anti-Trump. Non credo ad un allineamento con la Russia. Semmai, un engagement nel tentativo di raffreddare l’amicizia strategica Russia-Cina, definita “senza limiti” da Xi Jinping. Si sente spesso ripetere come grande esercizio di realismo politico l’idea di riavvicinarsi alla Russia per separarla dalla Cina, il capolavoro diplomatico di Nixon e Kissinger al contrario. Questo può starci nelle intenzioni dell’amministrazione Trump. Personalmente, se si tratta di questo, penso che sia un errore, non funzionerebbe, ma questo è un altro capitolo.

Alla fine si ha sempre più l’impressione, se non la certezza, in molti osservatori che Trump voglia ridimensionare la Nato ed esautorare l’Ue, già di per sé inconsistente e dilaniata. O no?

Per rispondere a questa domanda prendo in prestito le parole del senatore Lindsey Graham, un falco pro-Ucraina che dopo la lite di venerdì sera nello Studio Ovale ha avuto parole durissime nei confronti di Zelensky, con il quale aveva parlato poche ore prima: “Agli europei che si sono sentiti offesi dal fatto che il presidente Trump abbia rifiutato di farsi ramanzinare dal presidente Zelensky: siate i benvenuti e difendete l’Ucraina da Putin. È giunto il momento che gli europei dimostrino di essere capaci di difendere il proprio continente. Hanno permesso che i loro eserciti venissero svuotati e quando l’Europa parla, nessun cattivo ascolta. Lo dico con grande tristezza: l’ultimo gruppo di persone su cui farei affidamento per difendere la libertà sono gli europei”.

Cosa succederà alla Nato con Trump?

Alla Polonia, che spende il 5 per cento del Pil nella difesa, Trump ha detto che i soldati Usa resteranno e non deve preoccuparsi. Esautorare l’Ue sì. Oggi l’Ue è ciò che più ostacola con le sue politiche il riarmo europeo e un riequilibrio nei rapporti transatlantici. Ma Trump non vuole abbandonare l’Europa come continente, si sta sforzando di rinegoziare i termini del legame con l’Europa, perché non funziona più. Il mondo contemporaneo obbliga a impiegare, nell’interesse dell’Europa stessa e dell’intero Occidente, ingenti risorse nel contenimento della Cina ed è quindi necessario riequilibrare l’impegno nella difesa del Continente europeo. La medicina Trump è amara ma il paziente ne ha bisogno