Partenza a due velocità per le pratiche Salva casa

A nove mesi dal decreto Salva casa, le pratiche presentate dai cittadini sono distribuite in modo discontinuo sul territorio. Nei centri minori – a sentire gli sportelli comunali per l’edilizia – le istanze di regolarizzazione stanno a zero o si contano sulle dita di una mano; nei Comuni più grandi, invece, il flusso delle domande […] L'articolo Partenza a due velocità per le pratiche Salva casa proviene da Iusletter.

Mar 3, 2025 - 16:36
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Partenza a due velocità per le pratiche Salva casa

A nove mesi dal decreto Salva casa, le pratiche presentate dai cittadini sono distribuite in modo discontinuo sul territorio. Nei centri minori – a sentire gli sportelli comunali per l’edilizia – le istanze di regolarizzazione stanno a zero o si contano sulle dita di una mano; nei Comuni più grandi, invece, il flusso delle domande è più intenso.

Il decreto legge 69/2024 è in vigore dal 30 maggio dell’anno scorso. Da allora ha acceso la curiosità dei proprietari interessati a sistemare irregolarità più o meno recenti e a sfruttare i nuovi margini offerti dalla normativa per recuperare a fini abitativi spazi già esistenti (sottotetti, seminterrati, negozi non più utilizzabili e così via). Ma la macchina della regole urbanistiche ed edilizie – come già accaduto in passato – anche in questa occasione si è confermata molto lenta.

Regole incerte e norme locali

L’origine di quasi tutti i problemi è la formulazione ambigua di alcune norme del decreto, che ha innescato conseguenze a cascata. E che non è stata definitivamente risolta neppure con l’emanazione – lo scorso 29 gennaio – delle linee guida del ministero delle Infrastrutture.

Ad esempio, nel decreto legge è mancata una elencazione chiara e completa dei titoli che danno diritto alla nuova attestazione semplificata dello stato legittimo. Prendiamo il caso di una villetta unifamiliare realizzata nel 2004 e modificata nel 2017 e nel 2020 (il primo degli esempi in pagina): al momento della vendita, il tecnico potrà attestare lo stato legittimo in base al titolo edilizio più recente riferito all’intero immobile – la Scia del 2020 – verificando o presumendo la legittimità dei titoli precedenti. Due passaggi – verifica o presunzione – che addossano una notevole responsabilità al professionista e al funzionario che riceve l’attestazione.

Discorso simile per la nuova doppia conformità “asincrona”: la legislazione di livello nazionale chiede di far riferimento alle norme edilizie dell’epoca di costruzione e a quelle urbanistiche del momento di presentazione della domanda. Ma tra gli addetti ai lavori non è sempre chiaro cosa ricada in una categoria e cosa nell’altra, soprattutto in presenza di regolamenti comunali varati decenni fa (si veda anche l’articolo nella pagina a fianco).

La modulistica unica

Ad alcuni dei dubbi principali avrebbe potuto rispondere fin da subito la modulistica unica aggiornata a livello nazionale. Anzi, c’è chi – già al momento dell’approvazione del Dl 69 – suggeriva di allegare al decreto i nuovi modelli per rendere più semplici le procedure dei Comuni.

Ad oggi, però, la modulistica non è ancora stata rivista, anche se il ministero della Pubblica amministrazione e quello delle Infrastrutture ci stanno lavorando e contano di portare a breve in Conferenza unificata il pacchetto completo con la revisione dei modelli.

Gli interventi delle regioni

Tra gli interventi di recepimento del decreto che invece sono arrivati negli ultimi nove mesi ci sono quelli di otto regioni (dalla Lombardia al Lazio, dall’Emilia Romagna alla Campania, si veda Il Sole 24 Ore del 16 febbraio). Alle quali si aggiungono il Piemonte con la legge 25/2024, inizialmente nata per rispondere ai rilievi della Consulta in tema di sottotetti, e la Sardegna, con il disegno di legge regionale approvato dalla giunta lunedì 17 febbraio. Un Ddl, quest’ultimo, che punta addirittura a disapplicare una parte della legge nazionale, neutralizzando le deroghe ai requisiti minimi di agibilità (bocciando le “minicase”).

Tecnici e professionisti in bilico

Tutte queste incertezze, disciplinate a diversi livelli normativi, si scaricano sull’ultimo anello della catena: i professionisti e i tecnici comunali. I primi sono chiamati a compiere valutazioni delicate (si pensi a un intervento che sfora due tolleranze, come nel terzo esempio) o ad asseverare sotto la propria responsabilità circostanze delle quali potrebbero non avere certezza: stabilire esattamente quando è stata realizzata una certa opera, come un soppalco aggiunto in variante (quarto esempio).

Sui tecnici comunali, invece, ricade la responsabilità – con il rischio di rispondere per danno erariale – di dare il via libera a interventi sui quali le condizioni di ammissibilità non sono ancora perfettamente definite. È un’ipotesi molto frequente in materia di cambi di destinazione d’uso.

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