Microplastiche nel cervello e negli alimenti: strategie per ridurre l’esposizione
Il cervello umano contiene microplastiche, con concentrazioni più elevate nei soggetti affetti da demenza, suggerendo un possibile legame tra esposizione e danni cognitivi. L'articolo Microplastiche nel cervello e negli alimenti: strategie per ridurre l’esposizione proviene da benessereblog.it.

Il cervello di un adulto è stato trovato contenere, in media, circa dieci grammi di plastica, sotto forma di nano- e microplastiche, un dato che ha suscitato preoccupazione tra i ricercatori. Questo risultato è emerso da uno studio condotto dai ricercatori dell’Università del New Mexico di Albuquerque, pubblicato il 5 febbraio 2025 sulla rivista Nature Medicine. L’analisi ha riguardato campioni autoptici di cervelli, reni e fegato di 28 individui, rivelando un aumento del 50% rispetto ai dati raccolti nel 2016. Le concentrazioni di plastica nel cervello sono risultate da tre a cinque volte superiori in soggetti affetti da demenza, mentre quelle riscontrate in fegato e reni sono risultate trenta volte inferiori.
Un secondo studio sui dati di esposizione
Un secondo studio, presentato recentemente durante un congresso, ha esaminato i dati di oltre 218 contee in 22 stati americani. I risultati indicano che le popolazioni residenti lungo le coste, dove l’acqua è maggiormente contaminata da nano- e microplastiche, mostrano performance cognitive inferiori e un rischio più elevato di disabilità cognitive rispetto a coloro che vivono in aree con acque meno inquinate. Questi risultati suggeriscono un potenziale legame tra l’esposizione a queste particelle e i danni cerebrali.
Strategie per ridurre l’assunzione di microplastiche
Eliminare completamente la plastica dalla vita quotidiana appare un obiettivo difficile da raggiungere. Tuttavia, esistono diverse strategie per limitare l’assunzione di queste sostanze attraverso l’alimentazione. Innanzitutto, l’uso di bottiglie di plastica per l’acqua rappresenta una delle fonti principali di esposizione. Passare all’acqua del rubinetto potrebbe ridurre l’assunzione annuale di microplastiche da 4.000 a 90.000 particelle.
Un’altra categoria di alimenti da considerare è il pesce, che risulta una significativa fonte di nano- e microplastiche. È consigliabile moderarne il consumo. Inoltre, è fondamentale prestare attenzione al riscaldamento degli alimenti in contenitori di plastica, poiché ciò può liberare milioni di microplastiche. I filtri per il tè realizzati in plastica, ad esempio, sono noti per rilasciare enormi quantità di microplastiche durante l’infusione.
Il forno a microonde è un altro elemento da considerare: i contenitori in plastica utilizzati possono rilasciare fino a 4,22 milioni di microplastiche per centimetro quadrato in soli tre minuti. La conservazione degli alimenti in frigo in contenitori di plastica è problematica, e sarebbe preferibile utilizzare materiali come vetro, ceramica o acciaio.
Si deve anche prestare attenzione ai prodotti in scatola. Le lattine, infatti, possono contenere rivestimenti ricchi di bisfenolo A (BPA), e uno studio ha dimostrato che il consumo di zuppe in scatola può aumentare la concentrazione di BPA nelle urine fino al 1.000% in soli cinque giorni. Infine, gli alimenti ultra-processati, spesso confezionati in plastica, possono contenere quantità elevate di microplastiche, rendendo opportuno limitare il loro consumo.
Possibili metodi per eliminare le microplastiche
Attualmente, le opzioni per rimuovere la plastica accumulata nei tessuti umani, incluso il cervello, sono limitate. Alcuni studi suggeriscono che il sudore possa contribuire all’eliminazione del bisfenolo A, ma la ricerca su come il corpo gestisca le nano- e microplastiche è ancora agli inizi. Un dato incoraggiante è che non è stata trovata una correlazione tra la concentrazione di microplastiche e l’età, il che implica che l’organismo potrebbe essere in grado di espellere alcune di queste particelle.
Esperimenti condotti su pesci hanno dimostrato che ridurre l’assunzione di microplastiche porta a una diminuzione della loro concentrazione nel cervello, con una riduzione del 75% in 75 giorni di assenza di nano- e microplastiche. Tuttavia, non è chiaro se questo fenomeno si verifichi anche negli esseri umani, dato che vivere in un ambiente completamente privo di plastica è impossibile. L’aria che respiriamo è, infatti, contaminata da microplastiche, con un adulto che può inalare fino a 62.000 particelle all’anno. Filtri HEPA possono rimuovere oltre il 99% delle particelle di dimensioni fino a 0,3 micron, ma gli effetti di tale filtraggio sull’inalazione di microplastiche rimangono da chiarire.
La necessità di approfondire la ricerca
La ricerca sulle microplastiche e i loro effetti sulla salute umana è ancora in fase iniziale. Sebbene sia relativamente semplice rilevare la presenza di queste particelle nei tessuti biologici e nell’ambiente, studiare le conseguenze sulla salute è molto più complesso. I polimeri plastici sono numerosi e possono contenere una vasta gamma di sostanze chimiche aggiuntive, rendendo difficile comprendere come questi materiali interagiscano all’interno dell’organismo.
La difficoltà di raccogliere campioni da tessuti come il cervello, che possono essere analizzati solo post mortem, complica ulteriormente la ricerca. La strada verso una comprensione completa degli effetti delle microplastiche sulla salute umana è ancora lunga. Nel frattempo, è consigliabile ridurre al minimo il consumo di alimenti e bevande conservati in plastica e limitare l’uso di contenitori di plastica, evitando di scaldarli.
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