Libano, il nuovo governo si riunisce per la prima volta e il primo ministro Nawaf Salam prova a depotenziare Hezbollah
Nell'esecutivo il partito armato emanazione dei Pasdaran iraniani stavolta non ha neppure un rappresentante; in questo modo non potrà formare coalizioni per paralizzare o indirizzare l'attività L'articolo Libano, il nuovo governo si riunisce per la prima volta e il primo ministro Nawaf Salam prova a depotenziare Hezbollah proviene da Il Fatto Quotidiano.

Si è riunito per la prima volta stamani a Beirut il neonato governo libanese guidato da Nawaf Salam. I ministri sono ora impegnati nell’elaborazione della dichiarazione ministeriale, testo che dovrà poi essere votato in parlamento per la formale fiducia dei deputati all’esecutivo. I media locali hanno riferito di trattative in corso affinchè la dichiarazione ministeriale contenga espliciti riferimenti alla necessità che lo Stato imponga il monopolio delle armi in tutto il territorio libanese, in particolare nel sud, dove Hezbollah è tradizionalmente dominante e dove rimangono ancora militari israeliani. Il 18 febbraio prossimo è previsto il completamento del ritiro militare israeliano dal Libano.
Questo nuovo governo è, perlomeno, di segno diverso rispetto a quelli che lo hanno preceduto negli ultimi dieci anni, infrangendo le convenzioni e le “tradizioni” in più di un modo. Il nuovo primo ministro, Nawaf Salam, ex diplomatico, sotto la guida del presidente Joseph Aoun, ha deciso che l’assegnazione dei 24 portafogli del gabinetto deve riflettere ancora la struttura settaria del paese, ma che nessuno dei ministri può agire come rappresentante formale di un partito e deve essere nominato in base alle capacità professionali.
Mentre l’esercito regolare libanese non riesce a controllare le roccaforti di Hezbollah prima del previsto ritiro dell’Idf, il nuovo esecutivo prova dunque a fare la rivoluzione per depotenziare il sistema di nomine politiche settarie e assegnazioni di partito, che è stato il motivo principale del fallimento del progetto di un nuovo Libano post accordi di Taif e della corruzione endemica che ha portato a una crisi economica di dimensioni storiche e alla bancarotta del paese. Le origini del sistema risalgono all’accordo firmato nella città saudita nel 1989 che pose fine alla guerra civile durata 15 anni. L’accordo stabiliva che il presidente sarebbe sempre stato un cristiano maronita, il primo ministro un musulmano sunnita, il presidente del parlamento un musulmano sciita e il capo di stato maggiore dell’esercito un druso.
Sulla base di questo patto (che non aveva alcuna base costituzionale) vennero create delle “tradizioni” in base alle quali partiti e movimenti politici hanno stabilito una presa sul governo. Così, ad esempio, il portafoglio delle finanze, il terzo incarico più importante nella gerarchia governativa dopo il presidente e il primo ministro, era nelle mani degli sciiti e in pratica apparteneva a Nabih Berri. Berri, il presidente del parlamento e leader del movimento Amal, era colui che “nominava” il ministro. Lo stesso valeva per diversi altri portafogli di gabinetto, come quello della salute e del welfare, che apparteneva a Hezbollah, e degli affari esteri, che appartenevano ai cristiani.
Questa volta Salam ha mescolato le carte, senza però abolire completamente la “tradizione” politica. Cinque ministri sono stati “raccomandati” da Berri, tra cui il ministro delle Finanze Yasin Jaber, sulla cui nomina Berri ha molto insistito. Quattro ministri sono stati raccomandati dal partito delle Forze Libanesi guidato da Samir Geagea. Il cambiamento forse più significativo tuttavia è la posizione di Hezbollah. Dal 2008, il partito sciita armato – emanazione della Guardia Rivoluzionaria iraniana, nota come Pasdaran – ha ottenuto il potere di veto, bloccando, cambiando o sabotando le principali decisioni dei vari esecutivi, il che significa che poteva effettivamente dettare la linea politica del governo in ogni area.
Secondo la costituzione libanese, le decisioni importanti, come l’approvazione del bilancio statale, l’entrata in guerra o l’attuazione della riforma economica, richiedevano l’approvazione di almeno due terzi del gabinetto. In altre parole, chiunque controllasse un terzo più uno dei ministri, “il terzo di blocco” nel lessico politico libanese, era più forte del primo ministro stesso. Qui risiedeva il principale potere politico di Hezbollah. Anche se in teoria aveva solo un piccolo numero di ministri (in genere solo due), è stato in grado di formare coalizioni che hanno paralizzato il lavoro del governo.
Nel neo governo, Hezbollah non ha alcun ministro e la sua capacità di radunare un “terzo di blocco”, almeno sulla carta, non esiste più. Questo risultato è dovuto in gran parte alla posizione assertiva di Morgan Ortagus, vice dell’inviato di Trump in Medio Oriente, Steve Witkoff, che ha sostituito Amos Hochstein come inviato speciale in Libano. “Nessun rappresentante di Hezbollah sarà nel gabinetto in alcun modo, forma o aspetto, l’organizzazione deve essere disarmata e non solo a sud del fiume Litani”, aveva esortato Ortagus ad Aoun e Salam. Un’imposizione che deriva anche dal ruolo di mediazione esercitato dagli Usa per arrivare alla tregua tra Beirut e Tel Aviv.
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