L’ex direttore dell’Ilva dovrà risarcire decine di residenti del quartiere Tamburi

Con una sentenza destinata a fare giurisprudenza, la Corte di Cassazione ha condannato il direttore dell’ex Ilva di Taranto a risarcire 31 cittadini del quartiere Tamburi a causa dell’emissione delle polveri di carbone che hanno impedito loro di godere appieno delle proprie case e hanno provocato uno scadimento della loro qualità di vita. Per la […] The post L’ex direttore dell’Ilva dovrà risarcire decine di residenti del quartiere Tamburi appeared first on L'INDIPENDENTE.

Mar 13, 2025 - 17:19
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L’ex direttore dell’Ilva dovrà risarcire decine di residenti del quartiere Tamburi

Con una sentenza destinata a fare giurisprudenza, la Corte di Cassazione ha condannato il direttore dell’ex Ilva di Taranto a risarcire 31 cittadini del quartiere Tamburi a causa dell’emissione delle polveri di carbone che hanno impedito loro di godere appieno delle proprie case e hanno provocato uno scadimento della loro qualità di vita. Per la prima volta, una sentenza definitiva ha dunque ammesso le responsabilità manageriali della gestione dello stabilimento rispetto ai risarcimenti richiesti dagli abitanti del rione, che si trova nelle immediate vicinanze dell’impianto siderurgico. Luigi Capogrosso, in qualità di gestore dell’impianto, aveva infatti una posizione di garanzia e avrebbe dovuto adottare tutte le misure necessarie per prevenire la diffusione delle polveri, che avevano superato i limiti consentiti per 35 volte l’anno, dall’autunno 2009 al luglio 2012.

La decisione della Suprema Corte arriva al termine di un lungo iter giudiziario iniziato più di dieci anni fa, quando un gruppo di residenti del quartiere Tamburi ha intentato causa contro l’Ilva. Le sentenze di primo e secondo grado avevano già riconosciuto il diritto dei residenti al risarcimento, sottolineando come l’inquinamento prodotto dall’impianto siderurgico avesse determinato una significativa riduzione del valore immobiliare e un grave disagio per gli abitanti della zona, attraverso l’imbrattamento delle facciate e la limitata possibilità di aprire porte e finestre. Ora la Cassazione conferma questa impostazione e ribadisce la responsabilità diretta dell’ex direttore dello stabilimento. Il suo tentativo di attribuire la responsabilità alla società che gestiva l’Ilva è stato respinto dalla Suprema Corte, che ha evidenziato come l’azione risarcitoria non fosse rivolta contro l’azienda in sé, ma contro il comportamento omissivo del direttore, la cui condotta ha avuto conseguenze dirette sui cittadini. La Cassazione ha quantificato il danno patito dai residenti in una perdita pari al 5% del valore degli immobili. Una cifra che sarà ora determinata dalla corte territoriale competente, chiamata a ricalcolare l’entità del risarcimento.

Nonostante la vittoria legale, resta l’incognita sull’effettiva erogazione del risarcimento. Il problema principale è che l’ex direttore Capogrosso non disporrebbe di beni aggredibili per far fronte al pagamento. Questo significa che, sebbene la giustizia abbia riconosciuto il loro diritto, i cittadini potrebbero non ricevere le somme spettanti. L’avvocato Filippo Condemi, che ha difeso gli abitanti del rione Tamburi, ha espresso soddisfazione per la sentenza, ma anche amarezza per le difficoltà nel rendere concreto il risarcimento. «Questa decisione rappresenta un importante riconoscimento del diritto dei cittadini a vivere in un ambiente salubre e a godere pienamente della propria casa. Tuttavia, il tempo della giustizia ha giocato a favore di chi ha cercato di sottrarsi alle proprie responsabilità. Il rischio è che, pur avendo ragione, gli abitanti del quartiere non vedano mai un euro».

L’annosa questione dei risarcimenti era tornata alla ribalta lo scorso dicembre, quando la Corte d’Assise d’Appello di Taranto ha stabilito che le famiglie del quartiere Tamburi – inizialmente indennizzate con cinquemila euro ciascuna – sono chiamate a restituire l’intera somma ai fratelli Riva, ex proprietari del gruppo industriale. Il risarcimento era stato concesso come provvisionale, un anticipo in attesa della sentenza definitiva del processo “Ambiente svenduto”, in cui i Riva erano imputati per disastro ambientale. Tuttavia, lo scorso settembre, la Corte d’Assise d’Appello ha annullato la sentenza di primo grado, ritenendo che l’imparzialità del giudizio fosse compromessa dalla presenza di due magistrati onorari che rivestivano il ruolo di parte lesa.

Nel mentre, governo e sindacati discutono del futuro della società. Sono giorni determinati per il futuro dello stabilimento, dal momento che la partita per l’acquisizione dell’ex Ilva è vicina alla conclusione, con il termine fissato a domani. Baku Steel, insieme ad Azerbaigian Investment Company e Socar, sembra essere in pole position, anche se il Ministero delle Imprese mantiene il riserbo per evitare possibili ricorsi. Si ipotizza il coinvolgimento di Cassa Depositi e Prestiti, Sace e Invitalia, segno che Baku potrebbe necessitare di supporto pubblico. I sindacati spingono per una forte presenza statale e la massima occupazione. Il governo assicura la volontà di rendere Taranto il primo impianto siderurgico europeo completamente green. Nella seconda metà di marzo inizieranno le verifiche sulle offerte, mentre il negoziato esclusivo e il controllo antitrust dovrebbero concludersi entro giugno.

[di Stefano Baudino]

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