La storia ce lo insegna: se i Paesi corrono ad armarsi, prima o poi la guerra scoppia

Agli albori del XX secolo, l’Europa era la potenza più grande del pianeta. Gli Stati europei crescevano come potenze industriali e da anni stavano armandosi fino ai denti. Dalla guerra franco-prussina del 1870-71 l’Europa aveva conosciuto una lunga era di pace, esaltata dalla Belle Epoque. Quasi mezzo secolo senza ascoltare il rombo del cannone. Una […]

Mar 9, 2025 - 11:23
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La storia ce lo insegna: se i Paesi corrono ad armarsi, prima o poi la guerra scoppia

Agli albori del XX secolo, l’Europa era la potenza più grande del pianeta. Gli Stati europei crescevano come potenze industriali e da anni stavano armandosi fino ai denti. Dalla guerra franco-prussina del 1870-71 l’Europa aveva conosciuto una lunga era di pace, esaltata dalla Belle Epoque. Quasi mezzo secolo senza ascoltare il rombo del cannone.

Una nuova guerra era all’orizzonte, gli Stati maggiori di Francia, Germania e Austria-Ungheria lo avevano messo in conto. Prima o poi la parola sarebbe tornata alle armi. A che pro costruire cannoni, potenti corazzate, sottomarini, aerei, drenando risorse alla vita civile, se non per utilizzarli nella guerra che sarebbe arrivata?

E la guerra arrivò. Puntuale. La scintilla, un episodio imprevisto dalla cancellerie. Le pistolettate di un giovanissimo irredentista serbo, Gavrilo Princip, uccisero l’erede al trono dell’Austria-Ungheria, l’arciduca Francesco Ferdinando e la moglie Sophia, il 28 giugno 1914 a Sarajevo, in Bosnia Erzegovina, allora sotto la corona imperiale di Francesco Giuseppe.

La Russia, protettrice della Serbia, inviò un ultimatum a Belgrado che venne respinto. L’Austria-Ungheria dichiarò guerra al piccolo Paese balcanico. Da tempo voleva regolare i conti con l’inquieto vicino.

Anche la Serbia aveva un grande protettore, la Russia. Lo zar Nicola II mobilitò il suo immenso esercito e nonostante i tentativi di composizione condotti fra Nicola II e il Kaiser tedesco Guglielmo II, (i due erano cugini primi e si scambiavano messaggi chiamandosi affettuosamente Willi e Nick) la Russia dichiarò guerra all’Austria-Ungheria.

Di riflesso la Germania del Secondo Reich, alleata dell’Austria-Ungheria (e dell’Italia che tuttavia si chiamò fuori…), entrò in guerra contro la Russia e trascinò nel conflitto la Francia, alleata della Russia e nemica storica della Germania.

La Gran Bretagna dichiarò di voler restare estranea al conflitto purché la Germania non toccasse il Belgio, il cui sistema portuale (Ostenda e Anversa) era vitale per assicurare gli scambi tra l’Isola e il Continente.

Purtroppo il piano di guerra tedesco, il Piano von Schlieffen, chiamato Sichelschnitt (colpo di falce) prevedeva appunto l’invasione del Belgio come primo atto dell’attacco alla Francia.

Quel piano non poteva più essere modificato. La Gran Bretagna dovette passare dalla neutralità alla guerra al fianco di Francia e Russia.

L’Italia, legata a Germania e Austria-Ungheria della triplice Alleanza, firmata nel lontano 1882 e ripetutamente rinnovata, restò neutrale. Nella primavera del 1915, sotto la spinta del movimento interventista, minoritario nel Paese e in Parlamento, con la regia di re Vittorio Emanuele III (fu il primo dei suoi misfatti), il presidente del consiglio Salandra e il ministro degli esteri Sonnino, trattarono segretamente l’ingresso dell’Italia in guerra a fianco delle potenze dell’Intesa.

Il 24 maggio 1915 le truppe italiane avviarono le ostilità contro gli austriaci. In tre anni e mezzo, attraverso dodici sanguinosissime e pressoché inutili offensive sulla linea del fiume Isonzo, l’Italia giunse sull’orlo del collasso totale, travolta dall’offensiva nemica a Caporetto, arrestata a fatica sul Piave.

La vittoria finale costò all’Italia 650mila morti, distruzioni enormi nella parte Nord-Orientale del Paese, mise a terra la fragile economia (l’Italia era ancora un Paese agricolo) e spianò la strada all’avvento del fascismo.

Benito Mussolini salì al potere favorito dalla fellonia del sovrano che rifiutò di decretare lo stato di assedio che avrebbe facilmente disarmato e reso inoffensive le camicie nere in marcia verso Roma.

Le conseguenze di quell’atto di codardia le conosciamo. Vent’anni di dittatura del fascismo conclusi ancora una volta nel sangue di una guerra perduta (con l’appendice della guerra di Liberazione costata 60mila morti) che di fatto ha cancellato la piena sovranità del Paese, divenuto come altre nazioni sconfitte tributario degli Stati Uniti d’America.

Gli ottant’anni trascorsi dalla fine della Seconda guerra Mondiale e dalla Liberazione dal nazifascismo hanno imposto gravi limitazioni alla nostra sovranità.

Ci hanno costretto a diventare l’antemurale opposto al mondo comunista guidato dall’Unione Sovietica. Ci hanno fatto diventare il terreno di scontro fra le opposte fazioni e l’oggetto di attentati di matrice neofascista, ispirati dai servizi segreti deviati al servizio di potenze straniere interessate a destabilizzare il Paese, e favorire svolte autoritarie. Tentativi di golpe (De Lorenzo e il Piano Solo) fortunatamente abortiti, teatro del terrorismo rosso e nero (entrambi a mio parere eterodiretti).

Oggi l’Italia è sballottata in un quadro politico e strategico sconvolto repentinamente dall’irruzione al potere dal presidente della più forte nazione al mondo, la più militarmente armata.

Donald Trump nello spazio di settimane ha decretato la fine dell’equilibrio strategico del pianeta e segnatamente della collocazione dell’Europa, con l’annunciato disimpegno degli Usa dagli impegni assunti dopo la vittoria del 1945. Ergo, ritiro dell’ombrello nucleare americano e fine dell’equilibro del terrore imposto dalla rinuncia all’uso dell’arma atomica, che aveva bene o male garantito decenni di pace e di prosperità al Vecchio Continente.

Piaccia o non piaccia – a me non piace affatto – la nuova destabilizzante politica americana impone all’Europa di camminare con le proprie gambe e di organizzarsi in quell’unità politica alla quale i visionari del Manifesto di Ventotene (scritto nel 1942, in piena guerra) aspiravano come antidoto a tutte le guerre.

Traguardavano, Spinelli, Colorni e Rossi, ad una Europa prospera e affratellata, un’Europa di pace e sviluppo, guida spirituale del mondo libero dall’alto della sua immensi eredità storica, artistica e culturale.

Nulla di tutto ciò si sta profilando. Al contrario. La risposta isterica e irrazionale dell’Europa che marcia divisa di fronte alla provocazione e alle minacce di Trump si declina nel peggiore dei progetti. Spendere in armi una somma di denaro mostruosa, 800 miliardi di euro, che manderà all’aria i bilanci degli Stati e dunque la vita dei cittadini.

È follia riarmarsi per affrontare il nemico (ma chi? La Russia che arriverà a Lisbona secondo i commentatori in malafede), a costo di dissanguare economie messe in ginocchio dall’appoggio militare all’Ucraina costato all’Europa inflazione, recessione economica, disoccupazione e consegnato la fragile unità europea (unità ben lontano dal diventare politica) alle forze eversive dei movimenti razzisti e ipernazionalisti, gli eredi, mutatis mutandis, dei movimenti eversivi che condussero il Vecchio continente alla catastrofica seconda Guerra Mondiale.

Scomparsi i soldati che quelle guerre dovettero combatterle sul serio e morire, è svanita la memoria incarnata di quelle stragi di massa, il pensiero che ogni guerra anche la più “giusta” (e quella al nazifascismo fu una guerra giusta”) porta con sé lutti e tragedie incommensurabili.

La guerra ingrassa i ricchi. E i produttori delle armi che l’Europa immagina di acquistare sono all’80% americani. A che pro spingere ancora in alto profitti già enormi? Svuotando le politiche del welfare che hanno fatto ricchi gli europei: la sanità e la scuola pubbliche, il sistema di tutele sul lavoro, la cooperazione pacifica tra nazioni affini?

L’esercito europeo è soltanto una suggestione. Servirebbero anni per costituirlo e manca la premessa dell’unità politica del Continente. Chi lo comanderebbe se l’Europa non esprime una politica comune?

Coloro che oggi hanno in mano i destini dell’Europa dimenticano (o ignorano) che l’avvento al potere di Hitler fu possibile perché il fuhrer sfruttò la disperazione, le paure del popolo tedesco e il revanscismo covato sotto la cenere della pace cartaginese di Versailles, imposta dalla Francia alla Germania sconfitta nell’illusione di domarne per sempre gli istinti bellicisti.

L’esplosione elettorale dei nazistoidi di Afd (al 21%) anziché consigliare prudenza suggerisce al prossimo cancelliere tedesco, il democristiano Merz, di annunciare cento miliardi di spese militari. La Germania che si arma non è mai una bella notizia. Ma si finge di nulla.

Macron gonfia i muscoli e annuncia di essere pronto a mandare soldati in Ucraina ancor prima che venga siglato il cessate il fuoco. La Francia ha meno di 300 testate nucleari. La Russia 6mila. Chi vincerebbe la guerra?

A Bruxelles hanno perso il senno e il conto lo pagheremo noi. La generazione dei baby boomers e quelle successive hanno goduto, nell’Europa voluta da Adenauer, Schumann, De Gasperi, dell’inedito privilegio di vivere in pace. Mai accaduto in secoli di Storia.

Oggi quel l’età dell’oro è a rischio. Quale sarebbe il nemico che minaccia l’Europa? La Russia non ha alcuna necessità di farci la guerra. È il più esteso Paese del pianeta, ha appena 145milioni di abitanti ed è ricchissima di tutte le risorse naturali necessarie a sviluppare l’industria del presente e del futuro.

Una volta siglata la pace in Ucraina (la pace vessatoria e ricattatoria imposta da Trump, ma propiziata dal cocciuto cinismo di Biden che aveva alimentato la guerra per procura al Cremlino sulla pelle degli ucraini), Russia e Usa troveranno terreno comune in economia e nei commerci, con reciproca soddisfazione.

Trump è un pericoloso egolatra paranoide, ma non coltiva alcuna ideologia al di là degli affari. La Cina non ama le guerre che intralciano i commerci, la spina dorsale del regime di Pechino.

Torno al 1914. Se le Nazioni si armano pesantemente prima o poi la guerra scoppia. Matematico. Questo esito ci auguriamo per i nostri figli e nipoti?