La crisi del Cinema italiano: le "frecciatine" al Governo di Pupi Avati durante i David di Donatello

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Mag 12, 2025 - 11:29
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La crisi del Cinema italiano: le "frecciatine" al Governo di Pupi Avati durante i David di Donatello

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Durante l’ultima cerimonia dei David di Donatello, svoltasi negli studi di Cinecittà, il regista Pupi Avati ha trasformato il palco in uno spazio di riflessione amara sullo stato di crisi attuale del cinema italiano, lanciando diverse “frecciatine” al Governo ma anche al pubblico in sala.


L’occasione, che avrebbe potuto essere una semplice passerella celebrativa, si è fatta momento di denuncia quando, ricevendo il premio alla carriera, Avati ha rivolto un intervento schietto e poco accomodante che ha colto di sorpresa pubblico e istituzioni.

Le “frecciatine” al Governo sulla crisi del Cinema Italiano: Pupi Avati polemico durante i David di Donatello

Il bersaglio, solo apparentemente secondario, è stata l’iniziativa “Cinema Revolution“, promossa dal Ministero della Cultura con l’obiettivo di incentivare la presenza del pubblico nelle sale attraverso una riduzione del costo del biglietto. Un’idea, a detta di Avati, “carina”, ma ampiamente insufficiente per affrontare le criticità di un settore che da anni arranca tra calo degli spettatori, crisi produttiva e marginalizzazione culturale.

Dietro le parole del regista bolognese si cela una frustrazione diffusa nel mondo del cinema d’autore, che da tempo fatica a trovare spazio nell’attuale ecosistema audiovisivo dominato da logiche commerciali, piattaforme streaming e strategie promozionali orientate al breve periodo. Il cinema italiano – quello che racconta storie, che indaga la società, che cerca linguaggi nuovi – sembra oggi soffocato da una politica culturale che preferisce la vetrina alla sostanza, l’evento alla costruzione di una visione a lungo termine.

Una questione di rappresentanza e responsabilità collettiva

Avati non si è limitato a criticare l’efficacia delle politiche in corso, ma ha sollevato anche una questione di rappresentanza e responsabilità collettiva. Ha evocato la possibilità, più simbolica che concreta, di un dialogo trasversale tra le forze politiche, auspicando una telefonata tra Elly Schlein, Giorgia Meloni e Giancarlo Giorgetti per affrontare insieme il destino del cinema italiano. Un appello alla politica che supera gli steccati ideologici, per restituire centralità a un comparto che non è solo industria, ma anche presidio culturale e identitario.

Il silenzio con cui il pubblico ha accolto questa proposta – sottolineato ironicamente dallo stesso regista con un “Perché non applaudite?” – è forse il segno più eloquente di quanto il discorso culturale sia oggi disatteso, se non apertamente rimosso, dal dibattito pubblico. Si celebra il cinema, ma senza interrogarsi davvero sul suo futuro. I maestri ricevono premi, ma senza creare le condizioni per la nascita di nuovi talenti. Si festeggia la settima arte come patrimonio, ma senza garantirle gli strumenti per sopravvivere nel tempo.

Il video dell’intervento di Pupi Avati

Qui di seguito il video completo dell’intervento del regista [Fonte: Rainews].

“Cinema Revolution” è solo un intervento di facciata?

Nel contesto attuale, “Cinema Revolution” rischia di essere l’ennesimo intervento di facciata, utile forse a tamponare momentaneamente l’emorragia di spettatori, ma del tutto inadeguato ad affrontare i nodi strutturali che affliggono il sistema. A partire dalla cronica carenza di risorse per la scrittura e lo sviluppo dei progetti, passando per la precarietà diffusa tra i professionisti del settore, fino alla mancanza di strategie di distribuzione capaci di sostenere le opere italiane al di fuori dei circuiti festivalieri.

Inoltre, il panorama è profondamente segnato dalla concorrenza agguerrita delle piattaforme digitali, che hanno alterato le abitudini del pubblico e reso sempre più difficile il ritorno in sala. Un’operazione come “Cinema Revolution”, per quanto ben intenzionata, appare allora come un palliativo se non si accompagna a un piano più ampio di rilancio, capace di restituire senso, valore e prospettiva all’esperienza cinematografica.

Pochi investimenti nel settore cinematografico

Il paradosso sta proprio qui: si continua a celebrare l’eredità del cinema italiano, ma si investe poco nella sua rinascita. Eppure, come dimostrano alcuni casi recenti – da registi emergenti che faticano a trovare visibilità, fino a produzioni indipendenti soffocate da limiti distributivi – esiste ancora un tessuto creativo vitale, che avrebbe bisogno solo di attenzione, cura e visione per trasformarsi in una nuova stagione di fioritura artistica.

Pupi Avati, con la sua lunga carriera alle spalle, non ha usato mezzi termini. Il suo è stato un intervento che richiama all’urgenza, ma anche alla responsabilità. Non basta organizzare bene un premio, se questo premio diventa solo una vetrina priva di legame con la realtà produttiva.

Non basta ridurre il prezzo di un biglietto, se intorno a quel biglietto non si costruisce un sistema che dia senso all’andare in sala. E non basta parlare di “festa del cinema”, se il cinema è lasciato solo, a combattere con l’indifferenza di un mercato e di una politica che sembrano aver perso fiducia nella sua funzione.

Il futuro del nostro Cinema è in bilico?

In un Paese che ha fatto del cinema una delle sue eccellenze storiche, e che ha saputo raccontare sé stesso e il mondo attraverso l’occhio della macchina da presa, le parole di Avati suonano come un monito. Se si vuole davvero salvare il cinema italiano, bisogna tornare a pensarlo come un bene comune. E questo implica, necessariamente, un impegno collettivo che vada oltre gli slogan e le operazioni di marketing.

Serve un progetto culturale serio, strutturato e coraggioso. Perché il cinema non è solo intrattenimento: è memoria, coscienza, visione. E senza visione, non si costruisce futuro.

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