Guerra in Ucraina: ecco perché le sanzioni alla Russia non funzionano
Dovevano paralizzare l’economia della Russia, impedendo al Cremlino di proseguire la guerra in Ucraina ma, a tre anni dall’invasione, le ostilità continuano e i costi provocati dalle sanzioni in termini di rialzo dei prezzi energetici in Europa non smettono di mordere. Malgrado gli ultimi provvedimenti risalgano soltanto allo scorso mese e i prossimi siano già […]

Dovevano paralizzare l’economia della Russia, impedendo al Cremlino di proseguire la guerra in Ucraina ma, a tre anni dall’invasione, le ostilità continuano e i costi provocati dalle sanzioni in termini di rialzo dei prezzi energetici in Europa non smettono di mordere. Malgrado gli ultimi provvedimenti risalgano soltanto allo scorso mese e i prossimi siano già previsti per il terzo anniversario del conflitto, le restrizioni imposte contro Mosca da Stati Uniti, Regno Unito, Unione europea e altri alleati non hanno ancora funzionato, mentre l’inizio delle trattative tra Donald Trump e Vladimir Putin non concede loro più tempo.
Le prime iniziative
I primi provvedimenti proposti (e mai approvati) contro Mosca risalgono addirittura al conflitto in Georgia del 2008. In cinque giorni, tra l’8 e il 12 agosto di quell’anno, la seconda guerra per l’Ossezia del Sud provocò poco più di 500 tra morti e feriti ma fu il primo conflitto del XXI secolo in Europa. Allora, malgrado siano tuttora considerate parte della Georgia ai sensi del diritto internazionale, Tbilisi perse definitivamente il controllo delle regioni separatiste dell’Ossezia del Sud e dell’Abkhazia, riconosciute come indipendenti dal Cremlino, che giustificò l’intervento militare con la tutela dell’autodeterminazione delle popolazioni locali. In realtà le ostilità covavano da mesi a causa della volontà dell’allora governo georgiano di aderire alla Nato, vero e proprio spauracchio per Mosca.
Già allora gli Stati baltici proposero all’Ue di imporre sanzioni alla Russia ma l’iniziativa fu accantonata perché ai Paesi membri sembrava impossibile rinunciare al loro principale fornitore di petrolio e gas. La scelta, definita «ragionevole» dal Cremlino, fu motivata in un editoriale pubblicato sull’Irish Examiner dall’allora ministro degli Esteri britannico David Miliband durante una visita ufficiale (guarda un po’) in Ucraina: «L’isolamento non è fattibile: la Russia è troppo invischiata nell’economia mondiale», scrisse il capo della diplomazia britannica (a otto anni dal referendum sulla Brexit). «Sarebbe controproducente: la sua integrazione economica è la migliore disciplina della sua politica». Ma non andò proprio così.
Pacchetto dopo pacchetto
Gli attriti tra Mosca e i suoi vicini, progressivamente avvicinatisi a Ue, Nato e Usa, proseguirono fino all’annessione russa della Crimea e all’appoggio alle rivolte nel Donbass. Così il 17 marzo 2014, il giorno dopo il referendum illegale nella penisola, l’Ue impose le prime sanzioni contro «21 funzionari (russi, ndr) responsabili di azioni che minacciano l’integrità territoriale dell’Ucraina». Da allora, passando per la reazione all’abbattimento del volo MH17, è stato un crescendo di restrizioni economiche contro la Russia da parte di Bruxelles, anche se gli Stati membri continuarono a importare gas e petrolio da Mosca e persino a vendere armi a Putin.
Bisognerà però aspettare l’invasione su larga scala dell’Ucraina per assistere al più grande impianto sanzionatorio mai messo in piedi da Usa, Ue, Regno Unito e altri Paesi. Il “primo pacchetto di sanzioni” fu concordato infatti da Bruxelles il 23 febbraio 2022, un giorno prima della cosiddetta “operazione militare speciale” di Putin. Da allora l’Ue ha approvato ben 15 pacchetti di sanzioni contro la Russia, l’ultimo il 16 dicembre scorso, prorogando poi il 27 gennaio di altri sei mesi, fino al 31 luglio 2025, le misure restrittive contro Mosca, prevedendo un 16esimo blocco di provvedimenti da approvare il 24 febbraio, nel terzo anniversario dell’invasione russa. A dieci giorni dal ritorno di Donald Trump alla Casa bianca invece, il dipartimento del Tesoro Usa aveva imposto le sue ultime restrizioni contro la Russia.
Le misure adottate prevedono, tra l’altro, sanzioni individuali come il congelamento dei beni e il divieto di viaggio per il presidente russo Vladimir Putin, il ministro degli Esteri Sergey Lavrov, l’ex capo di Stato ucraino Viktor Yanukovych e centinaia di politici, militari, funzionari, imprenditori e oligarchi russi, nonché il blocco patrimoniale per altrettante organizzazioni come banche, aziende, finanziarie e non, partiti, gruppi armati e testate giornalistiche. In totale, in tre anni, solo l’Ue ha sanzionato quasi 2.400 tra persone fisiche ed entità varie in Russia, impedendo tra l’altro a una decina di istituti di credito di accedere al sistema internazionale Swift, imponendo restrizioni alle transazioni con la Banca centrale di Mosca, chiudendo porti e aeroporti alle compagnie di trasporto russe, vietando l’esportazione di beni e tecnologie nei settori difesa, aviazione, marittimo e spaziale e di semiconduttori, elettronica e beni di lusso, bandendo l’importazione di petrolio, carbone, acciaio, ferro, cemento, asfalto, legno, carta, gomma sintetica, plastica, frutti di mare, liquori, sigarette, cosmetici e oro, gioielli compresi, limitando gli acquisti di gas, imponendo un tetto massimo di prezzo al trasporto marittimo di petrolio e bloccando le trasmissioni di tredici gruppi editoriali. Tuttavia l’impatto effettivo di questi provvedimenti sembra piuttosto limitato.
Lezioni moscovite
L’economia russa ha subito una contrazione del 2,1% nel 2022, ma ha registrato una crescita sia nel 2023 che nel 2024 grazie all’aumento delle spese militari, arrivate quasi al 6% del Pil. Molte aziende della Federazione hanno perso miliardi di dollari a causa delle sanzioni, l’industria ha dovuto far fronte alla carenza di manodopera e di forniture tecnologiche, i consumatori sono stati obbligati a rivolgersi a marchi e prodotti di fascia più bassa, le principali banche hanno perso l’accesso al più importante sistema di pagamenti internazionali, il che ha aumentato i costi, complicato le procedure e allungato i tempi di ogni transazione, dall’acquisto di prodotti farmaceutici e macchinari alla vendita di petrolio e altre materie prime.
L’inflazione poi ha costretto la Banca centrale di Mosca ad aumentare i tassi di riferimento al 21%. Alla fine del 2024 infatti il rublo si è indebolito, perdendo più della metà del suo valore rispetto alla divisa statunitense e sfondando quota 100 dollari, cosa che non accadeva dalle prime settimane dell’invasione ucraina e dall’ottobre 2023. Da allora però, grazie alle aperture di Trump, la valuta russa ha recuperato terreno.
Nel corso del tempo infatti Mosca ha sviluppato diversi metodi per aggirare le sanzioni, sfruttando le triangolazioni con Paesi terzi, mentre malgrado l’ultimo gasdotto che riforniva l’Europa attraverso l’Ucraina sia stato chiuso il 1° gennaio, l’Ue continua ad acquistare quasi il 50% del gas naturale liquefatto esportato da Mosca. Tra il 2021 e il 2023 infatti, le importazioni di prodotti europei in Kirghizistan, Kazakistan e Armenia sono aumentate rispettivamente del 70%, del 42,2% e del 40%, mentre nello stesso periodo le esportazioni di questi tre Paesi verso la Russia sono aumentate rispettivamente del 52%, del 31,2% e del 76%. Non solo: il Cremlino ha rafforzato le sue relazioni con importanti partner commerciali come Cina, India e Turchia e continua a esportare energia e altri beni attraverso questi Paesi. Basti pensare che gli acquisti europei dalle tre principali raffinerie indiane, Jamnagar, Vadinar e New Mangalore, che dipendono dal petrolio russo, sono aumentate l’anno scorso del 4%.
Ma proprio il petrolio è la chiave di tutto perché per il governo di Putin il suo prezzo a livello internazionale è ben più importante dell’effetto delle sanzioni. Dall’inizio dell’invasione dell’Ucraina, la Russia ha ricavato circa 580 miliardi di dollari di entrate dall’export petrolifero. Per far fronte alle sanzioni, Mosca ha infatti usato una “flotta ombra” di petroliere, che grazie a falsi registri e cambi di bandiera hanno permesso al Cremlino di continuare a vendere greggio all’estero. Tanto che l’anno scorso le entrate russe derivanti dalla vendita di petrolio e gas sono cresciute di oltre il 26% su base annua, fino a 118 miliardi di dollari, e soltanto a gennaio sono aumentate del 17%.
Per questo il 15esimo pacchetto approvato a dicembre dall’Ue e le ultime restrizioni imposte il 10 gennaio scorso dall’amministrazione Biden puntano proprio a impedire questi traffici, colpendo le navi impiegate dalla Russia per aggirare le sanzioni e innalzando i costi delle spedizioni da Paesi come Cina e India. Provvedimenti che, combinati al previsto calo dei prezzi del greggio, secondo il Centro russo per l’analisi macroeconomica e le previsioni a breve termine (Cmasf), potrebbero costare a Mosca fino a 47 miliardi di dollari nel 2025 e 57 miliardi nel 2026. Ma solo ammesso che il regime sanzionatorio non venga abolito durante le trattative con Trump.
A chi il conto?
Se l’idea che le sanzioni potessero porre fine al conflitto, come ha spiegato al New York Times l’economista russo in esilio e attuale preside della London Business School Sergei Guriev, è sempre stata più frutto di una speranza che di una valutazione realistica, il conto lo abbiamo pagato noi, soprattutto in Europa.
In conseguenza dell’invasione dell’Ucraina da parte della Russia e dell’uso delle forniture di gas come arma di guerra, nel Vecchio continente i prezzi dell’energia hanno raggiunto livelli record tra il 2022 e il 2023. Il prezzo all’ingrosso dell’elettricità nel mercato interno dell’Ue è infatti direttamente connesso a quello del gas, che l’Unione importa per lo più da Russia, Usa, Norvegia, Arabia Saudita e Regno Unito. La riduzione deliberata delle forniture da parte di Mosca in conseguenza delle sanzioni è stata la causa principale dell’impennata dei costi energetici nei vari Paesi membri. I prezzi medi dell’elettricità per le famiglie nell’Ue, secondo Eurostat, hanno raggiunto il picco massimo nella prima metà del 2023, quando sono arrivati a 29,4 euro ogni 100 kWh rispetto ai 7,8 del 2021. Da allora, secondo l’ufficio statistico comunitario, il dato si è attestato a 28,9 nella prima metà del 2024 (ultime cifre disponibili).
Di conseguenza, le famiglie (e le imprese) si sono accollate maggiori costi e noi italiani siamo in prima fila. Secondo Eurostat infatti, nel primo semestre del 2023, i prezzi medi dell’energia elettrica e del gas in Italia arrivarono a 37,8 euro ogni 100 kWh a fronte di una media Ue del 29,4. Tuttora persiste un netto divario tra il prezzo del gas sul mercato europeo e italiano, tanto che il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, ha annunciato un decreto per far fronte al caro bollette, a cui il Tesoro e il dicastero dell’Ambiente stanno ancora lavorando. La domanda però sorge spontanea: se, come affermato da Donald Trump, «un giorno l’Ucraina potrebbe tornare russa», a cosa saranno serviti tutti questi sacrifici?