Energia solare spaziale, chi vincerà la corsa?
Produrre energia pulita in orbita grazie alle stazioni solari spaziali, e portarla a Terra via microonde o laser. Una gara che vede Cina, Usa e Europa ai nastri di partenza L'articolo Energia solare spaziale, chi vincerà la corsa? sembra essere il primo su Galileo.

Il progetto è ambizioso: una centrale solare orbitale soprannominata dai media “la Diga delle Tre Gole dello Spazio”. E non a caso dietro questo colossale progetto – una stazione solare larga circa un chilometro posizionata a circa 36.000 km dalla Terra, in orbita geostazionaria, che potrebbe rivoluzionare il modo di produrre energia pulita – c’è la Cina, come ha riportato a gennaio il South China Morning Post, il quotidiano con sede a Hong Kong.
L’impianto, che per spettacolarità richiama la celebre diga sullo Yangtze da cui prende il nome, offrirebbe un enorme vantaggio: energia solare costante, 24 ore su 24, senza essere influenzato da nuvole, pioggia o dall’alternanza giorno-notte che limita i pannelli solari installati sulla superficie terrestre.
Un primo test di trasmissione di energia solare dallo spazio è previsto per il 2028, con un satellite in orbita terrestre bassa. La costruzione di una centrale solare completa in orbita geostazionaria è prevista per una fase successiva. Questo progetto rappresenta un passo significativo verso l’obiettivo della Cina di raggiungere la neutralità carbonica entro il 2060.
Energia spaziale, da utopia a realtà
Le stazioni solari spaziali – Space-Based Solar Power (SBSP o SSP) – rappresentano una strategia promettente per contrastare il riscaldamento globale, sfruttando fonti di energia rinnovabile. Questi impianti, posti in orbita attorno alla Terra, catturano la luce solare e la trasmettono alla Terra via microonde o laser, dove può essere convertita in energia elettrica. L’idea risale al 1968, quando l’ingegnere Peter Glaser (conosciuto anche per gli esperimenti lunari dell’Apollo 11) brevettò il primo satellite solare. Tuttavia, all’epoca la tecnologia non era ancora pronta.
Oggi, grazie agli straordinari progressi, le SBSP stanno diventando realtà. L’efficienza delle celle fotovoltaiche è aumentata dal 10% negli anni ’70 al 32% odierno. Inoltre, il sistema Roll-Out Solar Array (ROSA) della Nasa ha introdotto pannelli solari arrotolabili, riducendo il volume e il peso a un quarto rispetto ai precedenti, e quindi anche i costi di lancio. Lo studio MAPLE, condotto dal Caltech nel 2024, ha inoltre dimostrato la fattibilità della trasmissione di energia via microonde dallo spazio alla Terra.
La sfida attuale è ridurre i costi per mettere in orbita i vari componenti e rimanere sotto i 500 $/kg. Ciò renderà economicamente sostenibili i numerosi lanci necessari a mettere in orbita i moduli fotovoltaici, i sistemi di trasmissione e le strutture da assemblare in orbita. In questo contesto si inserisce la Cina, con i nuovi Vettori Super Pesanti sviluppati dalla China Academy of Launch Vehicle Technology (CALT). Il principale candidato è il Long March 9, un razzo con una capacità di carico superiore a 150 tonnellate e un primo stadio riutilizzabile al 100%, simile al razzo Starship di SpaceX. È alimentato da motori a metano liquido e ossigeno liquido, concorrenti dei Raptor della compagnia di Elon Musk.
Europa e Usa, gli altri competitor
La Cina dunque accelera, ma non è sola. Negli Stati Uniti, il progetto SSPD-1 del Caltech ha testato con successo tre tecnologie chiave: DOLCE (Deployable on-Orbit ultraLight Composite Experiment), una struttura modulare per testare il dispiegamento di architetture leggere in orbita; ALBA (Arbitrary Lightwave Bending for Solar Power), test di 32 tipi di celle solari per valutarne efficienza, resistenza e prestazioni in condizioni estreme; MAPLE (Microwave Array for Power-transfer Low-orbit Experiment), un array di 32 trasmettitori di microonde leggeri e flessibili, che ha dimostrato la possibilità di trasmettere energia senza fili dalla bassa orbita alla Terra. La startup americana Virtus Solis punta a realizzare la prima centrale solare orbitale commerciale entro il 2027. “Vogliamo essere l’IKEA dell’energia spaziale: moduli prefabbricati assemblati da robot in orbita”, ha dichiarato il fondatore John Bucknell. La ‘sorella’ Star Catcher, invece, mira a una rete di satelliti SBSP per alimentare veicoli spaziali e basi lunari, con le prime dimostrazioni previste già nel 2025.
In Europa, l’Agenzia Spaziale Europea sta portando avanti il programma Solaris, approvato nel 2022 e con avvio previsto entro la fine del 2025, per valutarne la fattibilità tecnica ed economica in vista del raggiungimento del Net Zero. Il Regno Unito, con Space Solar Ltd., lavora invece a Cassiopeia, un satellite da 2 GW di potenza, con design modulare, leggero, economico e scalabile. Anche nel settore privato si registrano sviluppi: Northrop Grumman e Darpa stanno sviluppando tecnologie per la trasmissione di energia dallo spazio, sia verso la Terra che tra satelliti, e metodi per l’assemblaggio robotico in orbita.
Produzione di energia, le sfide da superare
Nonostante i progressi, restano diversi ostacoli tra i prototipi attuali e la produzione su larga scala: i materiali devono resistere a escursioni termiche estreme (da -180 °C a +150 °C) e a forti radiazioni spaziali. Fondamentale sarà anche la precisione nella trasmissione dell’energia sulla Terra. Oltre agli aspetti tecnologici, emergono implicazioni geopolitiche. Un rapporto dell’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale del 2024 segnala che le SBSP potrebbero ridefinire gli equilibri globali. Per questo motivo, l’ONU sta lavorando a un quadro normativo internazionale per evitare futuri “conflitti orbitali”.
Tra ambizioni nazionali e competizione tecnologica, la produzione di energia solare da stazioni orbitali non è più fantascienza. Se gli attuali ostacoli verranno superati, entro il 2050 potremmo avere centrali spaziali in grado di alimentare intere città. Resta da capire chi arriverà primo in questa corsa.
Credits immagine: ESA – A. Treuer
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