Ecco come la Germania andrà alla guerra sulla difesa

Che cosa si dice in Germania sulla difesa e che cosa farà il prossimo governo

Mar 12, 2025 - 10:34
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Ecco come la Germania andrà alla guerra sulla difesa

Che cosa si dice in Germania sulla difesa e che cosa farà il prossimo governo

In un momento storico in cui le tensioni globali non conoscono tregua, la Nato sembra aver deciso di prendere in mano il proprio destino. Non più dipendenza dagli Stati Uniti, ma una nuova era di autonomia strategica e rafforzamento militare. È questo il messaggio lanciato dal segretario generale dell’Alleanza Atlantica, Mark Rutte, in un’intervista rilasciata domenica scorsa alla Welt.

LA RICHIESTA DI RUTTE

Con tono deciso, Rutte ha sottolineato la necessità per i paesi europei di aumentare significativamente le spese per la difesa, definendo questa mossa “la scelta giusta al momento giusto”.

COME SI MUOVERA’ IL NUOVO GOVERNO

La Germania, pilastro economico dell’Europa anche se negli ultimi tempi un po’ ammaccato, prova a muoversi in prima linea grazie anche al futuro nuovo governo. I leader della assai probabile prossima maggioranza hanno infatti concordato di esentare tutte le spese militari superiori all’1% del Pil dalle restrizioni del freno all’indebitamento, una misura che potrebbe aprire la strada a investimenti quasi illimitati nel settore della difesa.

Una decisione che però il Bundestag è chiamato a votare a metà marzo ancora nella sua vecchia composizione. E qui cominciano i guai, perché i Verdi, che sembravano l’ostacolo più facile da superare, hanno fatto sapere all’inizio della settimana che non voteranno l’apposito emendamento, perché non si tratta di una riforma sostenibile del freno all’indebitamento, ma di una forma di finanziamento dei regali elettorali dei partiti di governo. E i Verdi, al governo, non ci saranno più.

LA NECESSITA’ DI AUMENTARE LA DIFESA

Al di là di questo ostacolo contingente, che le forze politiche della futura maggioranza proveranno in questi giorni a smussare, Cdu-Csu e Spd sono comunque concordi sulla necessità di rafforzare la capacità difensiva del paese. Cosa che soinge Rutte a dichiarare alla Welt che in generale come europei “dovremo spendere di più per rimanere al sicuro”, rimarcando come la sicurezza collettiva non possa più essere affidata esclusivamente alla protezione statunitense.

Ma non si tratta solo di soldi. Il segretario generale della Nato ha evidenziato la necessità di un potenziamento della produzione di armamenti su entrambe le sponde dell’Atlantico. “Munizioni, navi, carri armati, aerei, satelliti e droni: abbiamo prodotto troppo poco per troppo tempo”, ha affermato Rutte, che poi, forse anche per compiacere i lettori tedeschi del quotidiano a cui ha rilasciato l’intervista, ha elogiato l’eccellenza dell’industria della difesa tedesca, definendola “tra le migliori al mondo”. Tuttavia, ha anche ammonito: “Non produciamo neanche lontanamente quanto ci serve”. Un messaggio chiaro ai produttori di armi: la domanda c’è, ora tocca a voi soddisfarla.

IN ATTESA DELLA PRIMA MOSSA DI MERZ

Sul piano politico, con un cancelliere come Scholz ancora in carica ma ormai con le valige in mano, tocca a quello in pectore accennare le mosse di una futura politica estera tedesca che si accolli almeno una parte della responsabilità e leadership del vecchio continente. In attesa di capire entro quali contorni europei Friedrich Merz vorrà dispiegare la sua proposta, l’obiettivo primario sembra quello di restituire un po’ di solidità al vecchio motore franco-tedesco.

L’apertura alle suggestioni di condivisione dell’ombrello nucleare francese offerta da Emmanuel Marcon non è un dettaglio da poco, viste le ruggini che hanno ingolfato il rapporto Parigi-Berlino negli ultimi anni, aggravate da incomprensioni personali tra Macron e Scholz.

Che Merz possa creare un legame diretto migliore con il presidente francese è tutto da vedere: esso dovrà reggere le spigolosità caratteriali dei due. Ma Merz sembra accompagnato dall’ottimismo di chi si accinge a una nuova avventura. Il secondo passo è coinvolgere stabilmente la Polonia, creando un asse centro-europeo da Parigi a Berlino a Varsavia, lungo la direttrice più sensibile del nuovo confronto con Mosca. E infine accogliere a braccia aperte il figliol prodigo britannico: reintegrare Londra nel rapporto con l’Ue, innanzitutto sul piano delle politiche di difesa. Berlino si è sempre sentita particolarmente orfana della Brexit. Questo per ora, il resto si vedrà.

L’INIZIATIVA DI BRUXELLES

Intanto, l’Unione Europea si sta muovendo in parallelo con l’iniziativa “ReaArm Europe”, piano tanto ambizioso quanto controverso, che punta a mobilitare quasi 800 miliardi di euro per il riarmo del continente. Giovedì scorso, durante un vertice di crisi, tutti i 27 Stati membri hanno espresso il loro sostegno di principio al progetto. Tuttavia, rimangono dubbi sulla fattibilità di raccogliere una cifra così ingente. La Commissione europea, guidata da Ursula von der Leyen, conta sugli investimenti diretti degli Stati membri, che dovrebbero spendere 650 miliardi di euro nei prossimi quattro anni, a patto che vengano esentati dalle regole di bilancio dell’Ue.

L’EMISSIONE DI NUOVE OBBLIGAZIONI

Uno degli strumenti chiave del piano è il cosiddetto “strumento di difesa”, un meccanismo che prevede l’emissione di obbligazioni sui mercati finanziari per finanziare prestiti agli Stati membri. Uno strumento sembra essere attraente solo per paesi che faticano a ottenere finanziamenti a tassi vantaggiosi (e l’Italia è fra questi). Per molti altri Stati, i tassi di interesse offerti dall’Ue non rappresentano un incentivo sufficiente, lasciando aperte questioni sull’efficacia complessiva del programma.

Mentre la Nato e l’Ue lavorano per rafforzare la propria autonomia strategica, il sostegno all’Ucraina rimane un punto fermo. Nonostante le pressioni dell’amministrazione Trump, un’indagine condotta dall’organizzazione berlinese “More in Common” rivela che la maggioranza della popolazione in Germania (54%), Gran Bretagna (66%), Polonia (66%) e Francia (57%) è favorevole a continuare a sostenere Kiev, anche se gli Stati Uniti dovessero interrompere gli aiuti. Ma la domanda resta: Nato e Ue riusciranno a tradurre le intenzioni di autonomia strategica e rafforzamento militare in azioni concrete?