Consulenti e AI, la paura dell’irriconoscibile
Pubblichiamo di seguito una lettera inviataci da un nostro lettore, ex avvocato ed ex banker, che ha deciso di intervenire dopo la pubblicazione dell’articolo Io, consulente, penso che l’AI sia come la corazzata Potëmkin. Come sempre vi ricordiamo che potete inviarci le vostre considerazioni a redazione@bluerating.com. Gentile redazione, la lettera pubblicata qualche giorno fa mi... Leggi tutto

Pubblichiamo di seguito una lettera inviataci da un nostro lettore, ex avvocato ed ex banker, che ha deciso di intervenire dopo la pubblicazione dell’articolo Io, consulente, penso che l’AI sia come la corazzata Potëmkin. Come sempre vi ricordiamo che potete inviarci le vostre considerazioni a redazione@bluerating.com.
Gentile redazione,
la lettera pubblicata qualche giorno fa mi ha colpito. Non tanto per le opinioni espresse — che rispetto, naturalmente — ma per ciò che rivela in filigrana: un’intera professione che, messa davanti a uno specchio nuovo, si affretta a discutere della cornice.
Sì, parlo dell’intelligenza artificiale. O meglio: della sua caricatura. Quella che ci raccontiamo tra convegni, newsletter e battute da caffè: “L’AI è l’ultima moda”, “non potrà mai sostituirci”, “fa solo i filtri su Instagram”. Ce la raccontiamo così, con sarcasmo, per non doverci chiedere davvero cosa stia cambiando. E soprattutto: dove stiamo sbagliando noi.
Perché se c’è un sospetto che mi porto dietro da un po’, è questo: la paura dell’AI, nel nostro mestiere, non è paura della macchina. È paura dell’irriconoscibile. Paura che venga fuori che tante cose che facciamo — le analisi standard, i portafogli prefabbricati, i report “customizzati” copiati dal CRM — in realtà non hanno più anima da tempo.
E allora certo che l’AI fa paura. Non perché sia intelligente. Ma perché ci costringe a chiederci se lo siamo ancora noi.
La finanza, quella vera, ha già cambiato pelle
Il collega che scrive la lettera parla come se fossimo all’inizio di una rivoluzione. Ma mi permetto di dissentire: la rivoluzione è già passata, ha bussato in silenzio, non l’abbiamo sentita. È passata sotto il nome di high-frequency trading, di black box, di modelli quanti, di risk parity, di ETF smart beta. Tutti strumenti che hanno trasformato la finanza da narrazione a simulazione.
Chi oggi parla di “mercato da leggere”, come se fosse un romanzo giallo, probabilmente non ha mai guardato da vicino una dashboard di flussi real-time. Non c’è trama. Non c’è psicologia. C’è rumore. White noise, come lo chiamava Kahneman. Una danza caotica tra aspettative e algoritmi.
E proprio per questo la figura del consulente non è più colui che decifra il mercato, ma colui che accompagna l’investitore dentro la complessità. La consulenza vera, oggi, non è conoscenza dei mercati: è educazione alla complessità, costruzione di fiducia, architettura del senso.
E allora, ditemi: in cosa l’AI, se ben compresa, dovrebbe essere una minaccia?
L’intelligenza artificiale non sostituisce. Smaschera
L’AI non rimpiazzerà nessuno che sappia pensare davvero.
Non ruberà il posto a chi ha ancora uno sguardo sul mondo, una voce riconoscibile, un’intuizione vera.
Ma toglierà il palco a chi da tempo recita un ruolo.
A chi scambia l’esperienza con la procedura, la relazione con l’abitudine, la personalizzazione con il copia-e-incolla.
L’AI è uno specchio crudele perché mostra quanto del nostro lavoro sia già replicabile. Non perché lo sia per forza. Ma perché lo abbiamo ridotto noi a qualcosa che chiunque — o qualsiasi modello — potrebbe rifare in dieci secondi.
E questo, lo ammetto, fa paura anche a me. Ma è una paura feconda. Una di quelle che ti mettono in crisi e ti obbligano a scegliere: restare fermo a dire che “non funzionerà mai”, oppure rimettere le mani sul mestiere.
Fare meno chiacchiere. Essere più umani.
Il consulente che verrà (se ci sarà)
Il consulente che verrà sarà qualcuno che usa l’AI come oggi usa il foglio Excel: senza farne una religione, ma senza farne una minaccia.
Sarà qualcuno che non ha paura di mostrarsi ignorante su certi temi, purché sia disposto a imparare.
Sarà qualcuno che capisce che il valore non è nelle risposte, ma nella qualità delle domande che sa fare.
E che la vera competenza non è nella previsione dei mercati, ma nella gestione del dubbio.
Sarà, in una parola, qualcuno che pensa.
E se l’AI ci aiuterà a pensare meglio — più lucidamente, più velocemente, più a fondo — ben venga.
Ma se ci spaventa il solo fatto che esista… allora forse il problema non è l’intelligenza artificiale. È la nostra.
Con rispetto (e una punta di inquietudine),