Che cosa cambia dopo la telefonata fra Trump e Putin. Parla l’ambasciatore Stefanini
Quali sono gli esiti della telefonata fra Trump e Putin e quali saranno i prossimi sviluppi sull'Ucraina. Conversazione con l'ambasciatore Stefano Stefanini.

Quali sono gli esiti della telefonata fra Trump e Putin e quali saranno i prossimi sviluppi sull’Ucraina. Conversazione con l’ambasciatore Stefano Stefanini
Alla vigilia le aspettative riguardo sulla telefonata tra Donald Trump e Vladimir Putin erano altissime. Il giorno dopo i dubbi rispetto ai contenuti del colloquio sono diversi. Abbiamo cercato di capirne di più, anche valutando il punto di vista ucraino, intervistando l’ambasciatore Stefano Stefanini.
Ambasciatore Stefanini, oggi Zelensky sente Trump, quali sono le prospettive per il presidente ucraino dopo la telefonata di ieri?
Per Zelensky è importante cercare di sapere qualcosa di più di quanto uscito nei comunicati russo e americano. Ci sono due elementi fondamentali per il presidente ucraino. Il primo: una rassicurazione che l’assistenza militare americana continuerà, che tra l’altro riguarda ancora gli aiuti stanziati da Biden. Trump l’ha già interrotta una volta. E nel comunicato russo si dice specificamente che per una futura tregua gli aiuti militari americani devono terminare. Non mi sembra che siamo ancora a quel punto lì. E poi l’altra preoccupazione di Zelensky, che non ha esplicitato ma possiamo immaginare, è che da parte americana ci siano nuove richieste da far subire a Kiev.
La mossa di Putin di chiedere agli Stati Uniti di fermare gli aiuti militari e la condivisione di intelligence, oltre ai danni per l’Ucraina, è studiata anche per dividere l’Occidente? Gli alleati europei – soprattutto alcuni – non sembrano voler cedere su questo fronte.
Assolutamente. È un negoziato bilaterale russo-americano. I russi possono chiedere agli americani di interrompere gli aiuti militari, ma questo non è valido per altre ‘piazze’. Gli europei decideranno per conto loro. Ma fino ad adesso la Russia ha volutamente ignorato gli europei, dicendo esplicitamente che gli europei devono essere tenuti fuori da un futuro negoziato.
Sulle concessioni territoriali che saranno imposte all’Ucraina qualcosa è filtrato negli scorsi giorni dall’amministrazione Trump.
Il concetto per cui l’Ucraina dovrà fare concessioni territoriali per ottenere la cessazione delle ostilità ormai è chiaro. Si può immaginare che, come sempre avviene in un cessato il fuoco, con magari qualche piccola correzione la linea di demarcazione si arresti a dove sono arrivati i due fronti. Quindi di fatto l’Ucraina perde il controllo di quel 20% di territorio, sommando le annessioni del 2014 con le conquiste russe dopo il 2022. Questo è il primo punto. Ma la Russia ha già detto di volere di più perché ha messo nella Costituzione russa l’annessione delle intere quattro province su cui ha preso terreno ma che non controlla ancora interamente. Non sappiamo cosa si siano detti ucraini e americani nell’incontro di Gedda, ma tutto fa pensare che gli ucraini potrebbero essere disposti ad accettare la perdita soltanto del territorio che non controllano più.
Il presidente Usa, secondo indiscrezioni, starebbe valutando il riconoscimento della Crimea come russa.
Se da parte americana ci fosse il riconoscimento della sovranità russa sulla Crimea dal punto di vista internazionale sarebbe un passo grosso. Teniamo presente che neanche la Cina ha riconosciuto la Crimea russa, per motivi legati a Taiwan, e nessun paese lo ha fatto. Per un semplice motivo, il principio dell’integrità territoriale è una cosa a cui tutti i paesi sono particolarmente affezionati, perché oggi tocca a te, domani tocca a me. Ora se Trump si spingesse a fare un regalo di questo genere a Putin, a parte le proteste che solleverebbe dall’Ucraina, sarebbe un passo significativo. Per adesso sono delle notizie che filtrano così, ma se non altro fanno pensare che qualcuno abbia ipotizzato che possa essere una merce di scambio sul tavolo.
La telefonata tra Trump e Putin è quindi un buon punto di partenza?
È un punto di partenza, diciamo è il primo scalino verso la costruzione di una tregua. Ma può rimanere lettera morta se non ci sono progressi, a cominciare dal negoziato sulla tregua marittima nel Mar Nero e sugli altri nodi principali. La tregua sulle infrastrutture energetiche è di 30 giorni, una durata limitata. Il resto sta continuando, lo abbiamo visto anche ieri notte, dopo la telefonata con il pesante attacco russo.
In gioco sembra non esserci solo l’Ucraina.
L’altra dimensione del colloquio di ieri, infatti, è quella del riavvio di un rapporto fra Russia e Stati Uniti, importante per tutti e due. Soprattutto per Putin che vuole riacquistare peso dopo il contagio internazionale a cui è stato sottoposto dopo l’invasione dell’Ucraina. E potrebbe portare a sviluppi positivi su altri scacchieri: è una piccola cosa, ma il fatto che entrambi si siano detti contrari allo sviluppo nucleare da parte dell’Iran è un passo significativo. Nella Guerra fredda, Unione Sovietica e Stati Uniti avevano una capacità di negoziare su alcune cose pur essendoci tensione e malgrado alcune guerre locali. Dal punto di vista della stabilità internazionale, che Russia e Stati Uniti si parlino, malgrado la guerra in Ucraina, è comunque un segnale importante.
Secondo lei, non c’è il rischio di concedere troppe leve a Putin? Considerando che finora non ha accettato la tregua completa e sta ponendo sempre le sue condizioni.
Putin ha concesso molto poco, quasi niente. Il leader russo non vuole la tregua totale perché è nel suo interesse continuare la guerra. Sente di avere un vantaggio sul terreno e vede diminuire in prospettiva il sostegno occidentale, specie americano, all’Ucraina. Quindi Putin ha ottenuto di continuare la guerra. Tranne su questa piccola oasi delle infrastrutture energetiche, per di più adesso che l’inverno sta finendo.
E sotto c’è anche il fatto che comunque gli ucraini negli ultimi mesi qualche colpo a raffinerie o centrali russe lo hanno centrato.
Esatto. Non ho un vero mezzo di misura, ma direi che avvantaggia 70/75% l’Ucraina ma il restante la Russia.
Trump fino a dove si può spingere nel venire incontro alle condizioni russe senza perdere di credibilità anche in patria, visto che comunque aveva promesso di concludere la guerra in 24 ore dal suo insediamento. Non è un grande segnale se i negoziati continuano senza arrivare a una quadra.
Assolutamente no. Ma Trump ha una capacità di comunicazione col suo pubblico enorme. Ha il partito repubblicano praticamente appiattito sulle sue posizioni, nonostante ciò che passi nella testa dei vari senatori e membri del Congresso. Molti dei quali, prima che Trump prendesse queste posizioni, erano tradizionalmente dei falchi sul rapporto con la Russia. Il mio parere, ma posso sbagliare, è che sia ancora in grado di vendere al suo pubblico, non all’Europa, una pace in Ucraina anche a costo di grossi sacrifici, soprattutto per il futuro dell’Ucraina. La sua leva, in un senso o nell’altro, rimane l’assistenza militare. È una leva nei confronti di Putin, visto che i russi ne chiedono appunto lo stop. E nei confronti dell’Ucraina, perché è una minaccia: se voi non fate quello che vi dico, io vi tolgo assistenza militare. Sono i tipici segnali di Trump, come i dazi con il Canada e il Messico, prima annunciati, poi ritirati, poi rimessi.