“BlacKkKlansman”, di Spike Lee, doveva essere un ammonimento, invece oggi è anche peggio

“BlacKkKlansman”, film di Spike Lee uscito nel 2018, doveva essere un ammonimento, ma il popolo statunitense è ricaduto nello stesso gorgo nero del 2016, ancor più folle per la mancanza di freni di Trump all’ultimo mandato e per la presenza di Elon Musk come braccio destro. È come se avessero reso il suprematismo un tratto costituzionale, la stella polare di una politica basata sulla legge del più forte – inteso come più ricco e prepotente. L'articolo “BlacKkKlansman”, di Spike Lee, doveva essere un ammonimento, invece oggi è anche peggio proviene da THE VISION.

Mar 12, 2025 - 19:17
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“BlacKkKlansman”, di Spike Lee, doveva essere un ammonimento, invece oggi è anche peggio

Spesso la Storia è segnata da personaggi di cui ignoriamo l’esistenza. David Duke, per esempio, è un nome pressoché sconosciuto fuori dagli Stati Uniti. Siamo negli anni Settanta e Duke, adolescente, mostra più di qualche intemperanza, come quando nel suo campus decide di vestirsi da nazista per festeggiare l’anniversario del compleanno di Adolf Hitler. Le giornate le passa a organizzare comizi sui temi a lui più cari: il suprematismo, negare l’esistenza dell’Olocausto e prendersela con neri, musulmani ed ebrei per il “razzismo contro i bianchi”. Decide dunque di iscriversi al Partito Nazista Americano, per poi diventare Gran Maestro dei Cavalieri Bianchi del Ku Klux Klan. L’associazione Anti-Defamation League lo definisce “l’uomo più razzista d’America”. Dopo aver abbandonato il KKK e aver passato decenni tra poco fortunate esperienze politiche, arresti per evasioni fiscali e pubblicazioni di libri come Il suprematismo ebraico, il suo nome torna in voga nel 2016 durante la campagna elettorale per le presidenziali negli Stati Uniti. I suoi discorsi sembrano quelli di un sovranista qualunque. Dichiara che gli Stati Uniti devono sorvegliare le frontiere per “garantire la sopravvivenza degli americani bianchi”. Come chiusura del cerchio, afferma che Donald Trump è la più grande speranza per l’America e che le loro battaglie politiche sono le stesse. Se provate a cercare David Duke su Wikipedia, la foto che è appare lo ritrae davanti a uomini con il cappuccio bianco del KKK durante una delle riunioni in cui si pianifica qualche “caccia al negro”.

In realtà, i cinefili sanno bene chi sia David Duke grazie a BlacKkKlansman, film di Spike Lee uscito nel 2018. L’opera parla della storia vera di Ron Stallworth, primo afroamericano a entrare nella polizia di Colorado Springs. Durante una giornata di lavoro in ufficio, legge su un giornale un messaggio di reclutamento del Ku Klux Klan con un numero di telefono. Stallworth lo compone e, fingendosi bianco, chiede di poter diventare un membro dell’organizzazione. Discutendone in seguito con i suoi superiori, riesce a creare la più bizzarra delle infiltrazioni. Non potendo presentarsi di persona, essendo nero, coinvolge il collega Flip Zimmerman – interpretato nel film da un Adam Driver in stato di grazia. Zimmerman si presenta agli incontri preliminari del KKK lasciando credere di essere Stallworth, e lo fa indossando dei microfoni nascosti. Spike Lee mostra i membri del KKK come dei rozzi redneck, degli invasati con poco sale in zucca. Ciò che rende la vicenda ancor più paradossale non è solo il fatto che il KKK stia per dare la tessera a un nero, ma che il suo sostituto, Zimmerman, sia ebreo.

I personaggi che Zimmerman incontra stanno pianificando attentati contro diverse associazioni di afroamericani, e non mancano di rimarcare l’odio anche per gli ebrei. Il poliziotto in incognito sta al gioco, e in una scena riesce a scamparla quando un membro sospettoso del KKK gli chiede di tirar fuori il pene per dimostrargli di non essere circonciso. Nel mentre il vero Stallworth, per accelerare il reclutamento e ottenere la tessera, chiama la sede nazionale del KKK e risponde il Gran Maestro in persona: David Duke. Tra i due si crea una sintonia immediata, con Stallworth a rimarcare telefonicamente l’odio per gli “sporchi negri”. Per la cerimonia di iniziazione, lo stesso Duke si presenta a Colorado Springs, dove intanto sono in atto le proteste delle Pantere nere. Per garantire la sua incolumità, la polizia gli assegna un agente di scorta scegliendo proprio il vero Stallworth. Intanto quello finto, ovvero Zimmerman, durante la cerimonia indossa il cappuccio bianco e assiste alla visione di Nascita di una nazione, film del 1915 di David Wark Griffith in cui i neri sono rappresentati come una razza inferiore e le violenze del KKK giustificate per ristabilire l’ordine. Il pre-finale di BlacKkKlansman sembra un lieto fine: Stallworth e Zimmerman che sventano un attentato del KKK, Duke che si rende conto del tranello provando vergogna per la doppia infiltrazione nera-ebrea e facendo la figura dell’idiota. Eppure il vero finale è un altro, e ci dimostra tutta l’importanza del cinema politico.

Dopo che Stallworth nota da una finestra una croce in fiamme in lontananza con i membri incappucciati del KKK, Spike Lee mette in atto una delle transizioni cinematografiche più audaci, portandoci al presente e alla realtà. Si passa a una versione documentaristica della vicenda, con le immagini dei disordini dell’agosto del 2017 a Charlottesville, quando gruppi composti da suprematisti bianchi, membri del KKK e neonazisti si sono riuniti per protestare contro l’abbattimento della statua del generale Robert Edward Lee. I contro-manifestanti, prevalentemente membri di associazioni antifasciste e afroamericane, sono stati aggrediti dagli estremisti di destra armati di fucili e con spille e cartelli raffiguranti svastiche e croci celtiche. Uno di loro, James Alex Fields Jr., si è scagliato con la sua auto contro la folla dei contro-manifestanti causando 19 feriti e uccidendo Heather Heyer, tributata da Lee nel finale. Le immagini poi si spostano sul vero David Duke, che dichiara: “Questo è un momento di svolta, stiamo realizzando le promesse di Donald Trump. È la ragione per cui lo abbiamo votato, ha detto che ci saremmo ripresi il Paese e noi lo stiamo facendo”. Nel finale viene inquadrato lo stesso Trump, con le sue dichiarazioni vergognose sui fatti di Charlottesville: “Penso che la colpa sia di entrambe le parti”. BlacKkKlansman si chiude con la bandiera degli Stati Uniti sottosopra che diventa bianca e nera, dando una sensazione di sconforto difficilmente digeribile. Soprattutto adesso che Trump è di nuovo presidente e con ancor più ferocia e odio dello scorso mandato.

Credo che l’opera di Spike Lee sia necessaria per capire il sottobosco dell’America trumpiana, quei rimandi al suprematismo sdoganato e legittimato, reso istituzionale. Qualche settimana fa, in Kentucky, il Ku Klux Klan ha distribuito dei volantini razzisti in cui Zio Sam prende a calci una famiglia, bambini compresi, con la scritta: “Abbiamo bisogno del tuo aiuto. Monitora e traccia tutti gli immigrati. Segnalali tutti”. D’altronde non potevamo aspettarci niente di diverso se la stessa Casa Bianca ha pubblicato un video ASMR dove si ironizza sul rumore delle catene degli immigrati deportati. Trump non è altro che “quella cosa lì”: è la versione aggiornata di David Duke, è l’americano che deve tormentare le minoranze e cacciare gli stranieri anche senza indossare un cappuccio bianco. È il grande disegno di Steve Bannon che ha preso piede anche in Europa, con movimenti sovranisti accomunati dalla passione per muri, fili spinati, deportazioni e odio contro i migranti. Ciò che sconvolge del film di Lee non è tanto la storia vera ambientata negli anni Settanta, ma la consapevolezza che siamo tornati lì, che certe distorsioni dell’umanità abbiano ancora radici nei tempi in cui stiamo vivendo. È l’upgrade di Nascita di una nazione declinato in salsa fascio-capitalista, tra saluti romani, violenza e prevaricazione.

BlacKkKlansman doveva essere un ammonimento, ma il popolo statunitense è ricaduto nello stesso gorgo nero del 2016, ancor più folle per la mancanza di freni di Trump all’ultimo mandato e per la presenza di Elon Musk come braccio destro. È come se avessero reso il suprematismo un tratto costituzionale, la stella polare di una politica basata sulla legge del più forte – inteso come più ricco e prepotente. Quindi la bandiera mostrata alla fine del film rischia di avere altre stelle, che siano la Groenlandia o il Canada, e la grettezza di Trump dona al film un realismo quasi da inchiesta giornalistica. Non a caso Lee caratterizza poco i personaggi, non c’è un vero e proprio approfondimento sulle loro vite: conta la storia che li circonda e di cui fanno parte, gli eventi. Gli stessi che sono legati al presente da un filo che negli Stati Uniti non si è mai spezzato del tutto, e quell’intolleranza è stata ormai esportata in gran parte del mondo. Da esportatori di democrazia a esportatori di cappucci bianchi è un attimo.

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