Amore e kung-fu. Nella città proibita una Roma alla Tarantino
Gabriele Mainetti torna al cinema con un film omaggio a Quentin e a Bruce Lee "Una storia assurda, con personaggi veri. Per vivere qualcosa di fantastico".

L’Esquilino è la Chinatown romana. I giardini di piazza Vittorio, i portici, i negozi sono popolati da un’umanità con gli occhi a mandorla. Lo sa bene il regista romano Gabriele Mainetti che ambienta in questo quartiere il suo nuovo film, una storia d’amore e di kung-fu, scandito da molte, strepitose scene di combattimento, La città proibita, dal 13 marzo nelle sale. La bella Mei (Yaxi Liu) arriva dalla Cina a Roma per cercare sua sorella e qui deve vedersela con alcuni loschi figuri cinesi ma conosce anche Marcello (Enrico Borello), il giovane cuoco che lavora nel ristorante di famiglia, quasi un ultimo presidio italiano gestito dalla mamma Lorena (Sabrina Ferilli) e dal padre Alfredo (Luca Zingaretti), di cui da un po’ si sono perse le tracce, e su cui gravita sempre il loro vecchio amico Annibale (Marco Giallini). Nessuno si salva dai tremendi colpi di Mei, assetata di vendetta ma alla fine desiderosa anche d’amore.
"Perché questo film? Perché mi sarebbe piaciuto vederlo al cinema. Mi interessa raccontare le storie più assurde – spiega Mainetti – ma con personaggi veri in grado di prendere lo spettatore per mano e portarlo a vivere qualcosa di fantastico". Un film che immediatamente ricorda quelli di Bruce Lee ma che rimanda anche al Quentin Tarantino di Kill Bill e non rinuncia a un tocco da Vacanze romane con un giro in Vespa tra Fori e Colosseo per Marcello e Mei, e via rievocando. "Ma le mie non sono vere e proprie citazioni. Si tratta piuttosto – afferma Mainetti – di uno spontaneo fluire e ricordare tutto ciò che ho visto e amato, e certamente Tarantino è un regista che adoro".
Insolito per il nostro cinema un film del genere. "In Italia si fanno soprattutto commedie, e va bene – afferma Mainetti – perché ridere è salutare, è salvifico. Serve però anche altro. Anche altro ci appartiene, e si può cercare di divertirsi contaminando, portando qui il kung-fu. E poi c’è anche la storia d’amore che è sempre qualcosa di universale". Un film del genere, spiega, non si sarebbe potuto fare con un’attrice. "Serviva una ragazza che fosse una vera artista di arti marziali. Pensavo di doverla andare a cercare in Cina – racconta il regista – e invece l’ho trovata sul cellulare. Yaxi Liu, è una stunt-women e campionessa di arti marziali ma non aveva mai recitato. Dopo un’inziale imbarazzo, è però diventata anche un’ottima attrice".
Per Mainetti si tratta del terzo film dopo quel suo folgorante esordio nel 2015 con Lo chiamavano Jeeg Robot, seguito nel 2018 da Freaks Out, tutti diversi tra loro, tutti ambientati in una Roma particolare. E se quella di Freaks Out era la Roma dell’ottobre del 1943, questa de La città proibita è una Roma contemporanea e multietnica. "Roma è sempre uno dei protagonisti dei miei film. Questa volta c’era l’occasione di reinventarla, di ripensarla e fotografarla in modo diverso. È la mia città, che esploravo quando ero ragazzo come se contenesse tanti mondi diversi".
Osserva un’altra romana doc come Sabrina Ferilli: "Roma viene spesso bistrattata o esaltata. Qui viene presentata in una visione nuova e moderna, come una grande città simile a Parigi e a Berlino. E una città da cui non andrei mai via, nemmeno se tornasse Nerone e le desse di nuovo fuoco". Sabrina racconta di avere accettato immediatamente la proposta di Mainetti. "Amo il suo cinema – dice – e poi sono sempre spinta dalla curiosità, dalla voglia di fare qualcosa che non ho ancora fatto. Così, appena gli ho risposto al telefono, gli ho subito detto “ci sto“".