All’alba del diritto europeo

Nómos e phýsis Addentrarsi nel pensiero giuridico dei presocratici è come intraprendere un viaggio archeologico nella mente primordiale della filosofia occidentale, scavando tra le fondamenta concettuali su cui si sono […]

Mar 27, 2025 - 10:15
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All’alba del diritto europeo

Nómos e phýsis

Addentrarsi nel pensiero giuridico dei presocratici è come intraprendere un viaggio archeologico nella mente primordiale della filosofia occidentale, scavando tra le fondamenta concettuali su cui si sono eretti i più complessi edifici del diritto moderno. Essi, pur senza un sistema giuridico codificato, così come lo intendiamo oggi, hanno saputo intuire che la Legge non è soltanto una costruzione sociale, ma una forza intrinseca all’ordine stesso dell’universo. Il loro pensiero, spesso avvolto in sentenze oscure e frammentarie, risplende come la luce che filtra attraverso le crepe di un tempio antico: fioca, eppure portatrice di verità essenziali.

Il pensiero giuridico dei presocratici si configura come una cava di pietre preziose, nascoste e luminose, che irradiano intuizioni fondamentali per comprendere il diritto non come mera costruzione positiva, bensì come parte integrante dell’ordine cosmico. L’opera “Il pensiero giuridico dei presocratici. Nómos e phýsis” di Giulio Di Donato si addentra con finezza e rigore in questo territorio inesplorato, restituendo dignità speculativa a pensatori spesso relegati ai margini delle riflessioni giuridiche.

La tensione dialettica tra nómos e phýsis, cuore pulsante dell’indagine, viene svelata dall’autore con straordinaria limpidezza, senza rinunciare alla complessità delle argomentazioni. Di Donato guida il lettore lungo i meandri di questo contrasto arcaico, mostrando come la Legge, partorita dalla mente degli uomini, non sia che il pallido riflesso di una giustizia più alta, iscritta nelle trame stesse del cosmo. Come suggeriva Eraclito, «la legge umana è nutrita da una legge divina» (DK B114), e Di Donato raccoglie questa intuizione per mostrare come i primi filosofi abbiano intravisto, nelle pieghe dell’universo, un principio regolatore che sovrasta e precede la volontà umana.

Emblematico è Anassimandro, che con la sua celebre affermazione secondo cui tutte le cose “pagano l’una all’altra la pena e l’espiazione dell’ingiustizia secondo l’ordine del tempo” (DK B1), prefigura l’idea di una giustizia immanente, tanto inesorabile quanto imparziale. Di Donato evidenzia come questa concezione riecheggi, in filigrana, nelle moderne teorie della responsabilità oggettiva, quasi come se il cosmo stesso fungesse da giudice supremo, estraneo alle passioni umane.

Eraclito, il poeta del divenire e delle opposizioni, afferma che «il sole non oltrepasserà i suoi limiti, altrimenti le Erinni, ministre di Dike, lo scopriranno» (DK B94). L’autore ne trae un’interpretazione di squisita profondità: la Legge non è un mero argine alle pulsioni individuali, bensì il sigillo che preserva l’armonia universale. L’ordine giuridico diventa così un riflesso di quell’ordine invisibile che governa le stelle e gli uomini, e la sua trasgressione non è semplice infrazione, ma sacrilegio cosmico. La legge, dunque, è partecipe di quella stessa architettura metafisica che sorregge la volta celeste.

Di Donato si spinge oltre, sondando anche le implicazioni politiche di questo confronto tra legge e natura. I sofisti, con il loro audace capovolgimento della prospettiva, introducono un elemento dirompente: per Protagora, «l’uomo è misura di tutte le cose» (DK B1), e il diritto, da riflesso dell’ordine naturale, si tramuta in costrutto sociale, mutevole e plasmabile. L’autore tratteggia con straordinaria lucidità questo passaggio epocale, che apre le porte tanto al relativismo giuridico quanto alle moderne teorie del contratto sociale, senza mai cedere alla tentazione di giudizi anacronistici.

La prosa di Di Donato, elegante ed incisiva, evoca immagini potenti: la Legge emerge come un invisibile ordito che tiene insieme l’universo e la città; la giustizia appare come una forza primordiale, una corrente sotterranea che, come l’acqua eraclitea, scorre incessante, mutando forma ma non essenza. Il diritto, suggerisce l’autore, è come il fiume di Eraclito: mai uguale a sé stesso, eppure eternamente presente. Così, la Legge evolve con la storia, ma conserva un’anima immutabile.

Il più grande merito di Di Donato, tuttavia, risiede nella capacità di collegare queste riflessioni arcaiche ai dibattiti giuridici contemporanei. Il confronto tra il pensiero presocratico e le teorie moderne del diritto naturale e positivo non appare come un forzoso anacronismo, bensì come la prosecuzione di una medesima ricerca. Da Anassimandro a Schmitt, da Eraclito a Kelsen, l’autore intesse una trama intellettuale che attraversa i secoli, mostrando come le questioni fondamentali – che cos’è la giustizia? Da dove trae legittimità la legge? – restino, nella loro essenza, irrisolte e perenni.

“Il pensiero giuridico dei presocratici” non si limita ad offrire una pregevole disamina storico-filosofica: è un invito alla riflessione critica e al confronto intellettuale. Di Donato non si accontenta di resuscitare il passato: lo interroga, lo rianima e lo proietta nel presente, come un dialogo mai concluso tra i sapienti di ieri e i pensatori di oggi. Il risultato è un’opera avvincente, raffinata e profondamente colta, destinata a lasciare un’impronta duratura nella speculazione giuridica contemporanea.

In un’epoca in cui il diritto rischia di ridursi a sterile tecnicismo o a strumento di potere, l’opera di Di Donato si erge come un faro che illumina la dimensione filosofica e universale della legge. Ricordandoci, con la voce antica dei presocratici, che il diritto non è mero artificio umano, ma eco di un ordine più vasto e misterioso, ci invita a riscoprire la radice etica e cosmica della giustizia. Una lettura imprescindibile per chiunque voglia indagare non solo il diritto, ma la sua più intima ragione d’essere.