Unicredit, l’impresentabile russofilia degli aspiranti padroni di Bpm
Che c’entra Trani con il risiko bancario in corso in Italia? E con le scelte che il governo dovrà fare al riguardo, visto che ha il “golden power” e non può considerarlo come un soprammobile? Torniamo indietro di tredici anni e capiremo meglio. Nella primavera del 2011 la Deutsche Bank scaricò sul mercato oltre 7 miliardi di euro in […] L'articolo Unicredit, l’impresentabile russofilia degli aspiranti padroni di Bpm proviene da Economy Magazine.

Che c’entra Trani con il risiko bancario in corso in Italia? E con le scelte che il governo dovrà fare al riguardo, visto che ha il “golden power” e non può considerarlo come un soprammobile?
Torniamo indietro di tredici anni e capiremo meglio. Nella primavera del 2011 la Deutsche Bank scaricò sul mercato oltre 7 miliardi di euro in Btp, riducendo i suoi investimenti nel debito pubblico italiano a meno di 1 miliardo di euro, come per rispondere a un diktat. E la Procura di Trani – non ridete, funziona così – indagò, naturalmente senza esito, la banca tedesca per turbativa di mercato.
E che c’entra Tokio con il risiko bancario in corso in Italia? C’entra, perché le imprese giapponesi (di ogni genere) e le famiglie giapponesi, insieme, detengono il 95% del debito pubblico del loro Paese, che non a caso è arrivato al 270% del Pil, e possono fregarsene altamente di Moody’s e di Soros, perché sul finanziamento dello Stato loro se la cantano e loro se la suonano.
Queste due piccole premesse andrebbero predicate agli angoli delle strade per far capire cosa è in gioco, in queste settimana e per i prossimi mesi, sul fronte del risiko bancario italiano, di cui al signor Rossi non importa nulla perché non sa quanto dovrebbe importargliene.
Per esempio, dovrebbe importargli sapere che se teniamo all’indipendenza economica e finanziaria dello Stato – perché i nostri politici, per quanto siano dei terribili caproni, sono comunque preferibili ai terribili caproni politici stranieri – non deve esserci indifferente l’esito che questo risiko avrà sull’identità dei proprietari delle grandi banche contese.
Ebbene: il caso Unicredit in questo senso è di facilissima lettura. La banca di Piazza Gae Aulenti non è una banca italiana. Lo è di più Andrea Orcel, l’amministratore delegato, che pur avendo lavorato sempre all’estero, per lo meno in Italia c’è nato. Oggi invece i soci rilevanti di Unicredit sono Blackrock col 5,12%, Allianz con il 3,13%, Norge Bank Investment Management (il fondo sovrano norvegese, petroliero fino al midollo) con il 3,02, Parvus Asset Management Europe Ltd con il 3,29% e …la famiglia Del Vecchio, la stessa che si vuole comprare Mediobanca assieme a Caltagirone e al Montepaschi. Quindi di italiano che c’è, nel nucleo centrale dei soci Unicredit? Nessuno.
Va aggiunto che Orcel ha sempre lavorato per azionisti stranieri. E quando ha lavorato per gli italiani, peggio per loro. Il suo team,quando il banchiere lavorava alla Merril Lynch, si rese tristemente famoso per aver detto al Montepaschi che il prezzo di 9 miliardi di euro richiesto per la Banca popolare Antonveneta dal Banco de Santander era… giusto! Sì, giusto! Giusto per impiccarsi, come infatti s’è visto. E giusto per produrre 500 milioni di “fee” a Merril Lynch dei quali, si dice, 35 per le tasche personali del patriota italiano… Peraltro, Orcel s’è laureato alla Sapienza con una tesi sulle scalate ostili. Quindi visto che di scalate ostili e di prezzi congrui s’intende, è lecito pensare che il prezzo offerto da Unicredit per Bpm, giudicato quasi offensivo dalla Borsa, verrà congruamente elevato… o no?
Ma bando ai personalismi, che nessuno è senza peccato. Non vanno sopravvalutati nemmeno gli scontri tra i big dell’asset management internazionale, come questi azionisti di Unicredit e i loro manager da riporto; e dall’altro i fondini e fondetti italiani che resistono nel capitale di qualche banca italiana (come Banco Bpm, dove col 5% complessivo si stagliano addirittura Enpam ed Enasarco, capirai la loro forza verso il primo socio al 10%, il Credit Agricole…). Non sono questi i paladini giusti per questa crociata.
Quel che va temuto nell’interesse del Paese – e arginato, in una logica di golden power – sono gli eccessi di potere che possono crearsi a vantaggio di questo o quel soggetto, che magari non se lo meritano proprio. L’adamantina carriera di Orcel è tale, senz’altro– quanto meno da punto di vista del suo conto corrente – ma non va ignorata in essa la pietra miliare del Mps; e soprattutto non va sottovalutata la monumentale, quasi olimpica, indifferenza rispetto agli strali della Banca centrale europea sulle troppe interessenze conservate dall’Unicredit di Orcel in Russia dall’invasione dell’Ucraina in qua, cioè nonostante essa…
A dispetto delle richieste della Bce e addirittura dell’ordinanza del tribunale europeo, Unicredit è rimasto in Russia, e dalla Russia ricava il 7% dei profitti. Chiaro? La ragion di Stato gli fa un baffo. E l’altro baffo glielo fa la Bce che la primavera scorsa aveva messo per iscritto che l’”aumento significativo di rischi operativi, reputazionali, sanzionatori e finanziari” erano “tali da potenzialmente superare i benefici derivanti dal proseguimento dell’attività in Russia”.
Ora, tutti sappiamo che vergognosa ipocrisia da parte dei Paesi anti-Putin – Italia compresa – abbia consentito in tre anni alla Russia di infischiarsene delle sanzioni. Ma almeno una parvenza di adesione alla linea europea di boicottaggio economico contro la Russia di Putin avrebbe dovuto essere espressa dai “big” della nostra economia. Banca Intesa, ad esempio, ha ridotto drasticamente le sue attività con Mosca. Orcel no.
Dunque, un’eventuale acquisizione porterebbe Banco Bpmnell’orbita di questo strano Russicredit che nominalmente “abita” a Milano ma chiaramente risponde o può dover rispondere a logiche straniere.
Ora, diciamocelo: guai ai vinti. Il sistema bancario italiano è stato devastato dalle riforme privatizzatrici varate negli Anni Novanti per scusarsi con il mondo della inammissibile competitività che il nostro Paese all’epoca poteva ancora vantare. Abbiamo svenduto la qualsiasi, piagnucolando per essere ammessi all’euro fin dalla fase uno (e così farci stringere ben bene il cappio al nostro collo, il cappio di un europeismo burocratico che nulla c’entra con gli ideali di Ventotene e del Patto di Roma e sta solo riducendo 27 Paesi a sgabuzzino delle scarpe americane). Quel che resta del nostro sistema bancario dovrebbe rappresentare il cardine di quel minimo di “sovranismo economico” che per esempio ha difeso bene e a lungo la sostenibilità dell’economia francese e tedesca.
La partita su Russicredit è appena agli inizi. Sarò un banco di prova per la capacità d’azione del governo. In settimana sia Unicredit che Banco Bom presenteranno i loro conti 2024. Sarà interessante, tovarish!
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