"Perché insegnate?": la lettera aperta della studentessa contro i prof diventa virale. Il testo completo

Non ha firmato con nome e cognome, ma con qualcosa di più potente, tre parole: “a testa alta”. È questo il modo com cui una studentessa di un liceo di Lugo di Romagna - in provincia di Ravenna - ha deciso di tradurre in parole semplici una delusione, un grido, un dubbio che molti coetanei potrebbero condividere. La sua lettera, affissa in una bacheca, è finita sui social grazie allo scrittore e docente Enrico Galiano, e da lì ha fatto il giro del web. “Questa lettera non può restare appesa a una bacheca. Deve diventare eco, domanda, riflessione. Perché oggi, più che mai, abbiamo bisogno di ascoltare”, ha scritto Galiano su Facebook. E aveva ragione: il suo post è stato commentato, condiviso, discusso da tantissimi persone. Non perché la ragazza abbia urlato, ma perché ha messo nero su bianco quello che molti pensano in silenzio. [html][/html] Indice Un ikigai perso tra i banchi Non giudicate se non spiegate Pretendete alberi, ma non li annaffiate La lettera: il testo completo Un ikigai perso tra i banchi La studentessa apre così: “Cari professori, è quasi un peccato essere arrivati così in basso da trovar necessario scrivere una lettera, ma non vi vedo soluzione”. È l’inizio di una riflessione profonda e amara. Per la ragazza, all'inizio, la scuola era un “ikigai”, cioè uno scopo nella vita, qualcosa che la spingeva ad alzarsi la mattina con entusiasmo. Ma oggi tutto è cambiato? “Quando sono in classe - scrive - sento solo morte, mi guardo attorno e vedo i miei compagni con gli occhi spenti o addormentati”. Parole forti, ma difficili da ignorare. La ragazza descrive un ambiente scolastico spento, distante, dove si è “solo di fretta e in ansia per finire un programma che nessuno sa davvero perché segue”. Non giudicate se non spiegate Uno dei punti più duri della lettera riguarda la valutazione del corpo docente: “Continuate a ripetermi che i voti non contano, che non sono ciò che fanno una persona. Per fortuna è vero, ma giudicate ore e ore di studio…e chissà poi perché”. Il problema, dice, non è il voto in sé, ma il modo in cui viene dato. Senza feedback, senza ascolto, senza empatia. E continua: “Mi domando perché la mattina mi sono alzata per andare in un luogo dove nessuno mi vede, dove nulla mi interessa”. Pretendete alberi, ma non li annaffiate L’immagine forse più potente arriva nel passaggio successivo: “Pretendete un albero altissimo, meraviglioso, possente - si legge - ma non vi curate un minimo di innaffiarlo”. Questa frase è diventata virale per una ragione. Perché sintetizza ciò che tanti studenti sentono: grandi aspettative, ma poco sostegno. La ragazza chiede, perciò, agli insegnanti di guardare davvero, ascoltare davvero, non solo di “chiedere se stiamo bene, quando in realtà non volete sapere che stiamo soffrendo”. Concludendo con la stoccata finale: “Perché insegnate? Quando ci guardate cosa vedete? Credete che essere insegnanti sia un lavoro sociale?”. La lettera: il testo completo "Cari professori,è quasi un peccato essere arrivati così in basso da trovar necessario scrivere una lettera, ma non vi vedo soluzione. Secondo la cultura giapponese ogni persona dovrebbe possedere un ikigai, cioè uno scopo nella vita, quel qualcosa che ti fa svegliare la mattina. Bene, io l’avevo trovato nello studiare, lo facevo con passione, quasi devozione. Mi svegliavo la mattina consapevole che andare a scuola, imparare, studiare fosse il mio scopo. Poi ho iniziato a comprendere, ogni giorno di più, che non ha alcuna utilità: di utile, non mi viene spiegato nulla in modo appassionante, non vengo mai ricompensata per il duro lavoro.Quando arrivo a casa e devo aprire il libro per studiare mi viene da piangere, sento la mia mente chiudersi, bloccarsi. Quando sono in classe sento solo morte, mi guardo attorno e vedo i miei compagni con gli occhi spenti o addormentati, guardo verso di voi e vedo il nulla, solo una specie di automa che sputa parole su fatti decaduti i cui valori nascosti sono stati sepolti con le loro vittime. Continuate a ripetermi che i voti non contano, che non sono ciò che fanno una persona. Per fortuna è vero, ma giudicate ore e ore di studio, ore in cui sono stata attenta in classe, pensieri e pensieri attivati solo per essere giudicati mediocrementente, e chissà poi perché, dal momento che non mi viene mai spiegata una sola volta quali siano i problemi. Quando sono in bus per arrivare a scuola, mi chiedo perché mai stia venendo, perché mai ho anche avuto la cura di mettere i libri giusti nello zaino e di fare i compiti, quando so benissimo che intanto nulla verrà ricompensato. Mi domando perché la mattina mi sono alzata per andare in un luogo dove nessuno mi vede, dove nulla mi interessa, dove si è solo di fretta e in ansia per finire un programma che nessuno sa davvero perché segue, dove mi giudicate per quindici minuti e mettete sul registro un voto immotivato su qualcosa che mi avete spiegato in modo freddo, distante e morto. Pretendete un albero alti

Mag 12, 2025 - 18:32
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"Perché insegnate?": la lettera aperta della studentessa contro i prof diventa virale. Il testo completo

lettera studentessa

Non ha firmato con nome e cognome, ma con qualcosa di più potente, tre parole: “a testa alta”.

È questo il modo com cui una studentessa di un liceo di Lugo di Romagna - in provincia di Ravenna - ha deciso di tradurre in parole semplici una delusione, un grido, un dubbio che molti coetanei potrebbero condividere.

La sua lettera, affissa in una bacheca, è finita sui social grazie allo scrittore e docente Enrico Galiano, e da lì ha fatto il giro del web.

Questa lettera non può restare appesa a una bacheca. Deve diventare eco, domanda, riflessione. Perché oggi, più che mai, abbiamo bisogno di ascoltare”, ha scritto Galiano su Facebook. E aveva ragione: il suo post è stato commentato, condiviso, discusso da tantissimi persone. Non perché la ragazza abbia urlato, ma perché ha messo nero su bianco quello che molti pensano in silenzio.

[html][/html]

Indice

  1. Un ikigai perso tra i banchi
  2. Non giudicate se non spiegate
  3. Pretendete alberi, ma non li annaffiate
  4. La lettera: il testo completo

Un ikigai perso tra i banchi

La studentessa apre così: “Cari professori, è quasi un peccato essere arrivati così in basso da trovar necessario scrivere una lettera, ma non vi vedo soluzione”. È l’inizio di una riflessione profonda e amara.

Per la ragazza, all'inizio, la scuola era un “ikigai”, cioè uno scopo nella vita, qualcosa che la spingeva ad alzarsi la mattina con entusiasmo. Ma oggi tutto è cambiato? “Quando sono in classe - scrive - sento solo morte, mi guardo attorno e vedo i miei compagni con gli occhi spenti o addormentati”.

Parole forti, ma difficili da ignorare. La ragazza descrive un ambiente scolastico spento, distante, dove si è “solo di fretta e in ansia per finire un programma che nessuno sa davvero perché segue”.

Non giudicate se non spiegate

Uno dei punti più duri della lettera riguarda la valutazione del corpo docente: “Continuate a ripetermi che i voti non contano, che non sono ciò che fanno una persona. Per fortuna è vero, ma giudicate ore e ore di studio…e chissà poi perché”.

Il problema, dice, non è il voto in sé, ma il modo in cui viene dato. Senza feedback, senza ascolto, senza empatia. E continua: “Mi domando perché la mattina mi sono alzata per andare in un luogo dove nessuno mi vede, dove nulla mi interessa”.

Pretendete alberi, ma non li annaffiate

L’immagine forse più potente arriva nel passaggio successivo: “Pretendete un albero altissimo, meraviglioso, possente - si legge - ma non vi curate un minimo di innaffiarlo”.

Questa frase è diventata virale per una ragione. Perché sintetizza ciò che tanti studenti sentono: grandi aspettative, ma poco sostegno. La ragazza chiede, perciò, agli insegnanti di guardare davvero, ascoltare davvero, non solo di “chiedere se stiamo bene, quando in realtà non volete sapere che stiamo soffrendo”.

Concludendo con la stoccata finale: “Perché insegnate? Quando ci guardate cosa vedete? Credete che essere insegnanti sia un lavoro sociale?”.

La lettera: il testo completo

"Cari professori,
è quasi un peccato essere arrivati così in basso da trovar necessario scrivere una lettera, ma non vi vedo soluzione. Secondo la cultura giapponese ogni persona dovrebbe possedere un ikigai, cioè uno scopo nella vita, quel qualcosa che ti fa svegliare la mattina. Bene, io l’avevo trovato nello studiare, lo facevo con passione, quasi devozione. Mi svegliavo la mattina consapevole che andare a scuola, imparare, studiare fosse il mio scopo. Poi ho iniziato a comprendere, ogni giorno di più, che non ha alcuna utilità: di utile, non mi viene spiegato nulla in modo appassionante, non vengo mai ricompensata per il duro lavoro.
Quando arrivo a casa e devo aprire il libro per studiare mi viene da piangere, sento la mia mente chiudersi, bloccarsi. Quando sono in classe sento solo morte, mi guardo attorno e vedo i miei compagni con gli occhi spenti o addormentati, guardo verso di voi e vedo il nulla, solo una specie di automa che sputa parole su fatti decaduti i cui valori nascosti sono stati sepolti con le loro vittime. Continuate a ripetermi che i voti non contano, che non sono ciò che fanno una persona.

Per fortuna è vero, ma giudicate ore e ore di studio, ore in cui sono stata attenta in classe, pensieri e pensieri attivati solo per essere giudicati mediocrementente, e chissà poi perché, dal momento che non mi viene mai spiegata una sola volta quali siano i problemi.

Quando sono in bus per arrivare a scuola, mi chiedo perché mai stia venendo, perché mai ho anche avuto la cura di mettere i libri giusti nello zaino e di fare i compiti, quando so benissimo che intanto nulla verrà ricompensato.

Mi domando perché la mattina mi sono alzata per andare in un luogo dove nessuno mi vede, dove nulla mi interessa, dove si è solo di fretta e in ansia per finire un programma che nessuno sa davvero perché segue, dove mi giudicate per quindici minuti e mettete sul registro un voto immotivato su qualcosa che mi avete spiegato in modo freddo, distante e morto.

Pretendete un albero altissimo, meraviglioso, possente, ma non vi curate un minimo di innaffiarlo, di fertilizzarlo, di assisterlo con un bastoncino quando il fusto è troppo fragile. Che non vi venga in mente di dire che sto solo polemizzando perché intanto ogni volta che chiedete come sto, volete sapere solo che sto bene anche se tutto va male. Non volete sapere che sto soffrendo, che vengo a scuola solo per ottenere il diploma, che non mi viene spiegato nulla di nuovo.

Non volete sapere che ognuno degli alunni delle vostre classi si sente solo, disperso, in ansia, che alcuni preferirebbero morire. Esigete la sapienza, le capacità, la maturità di persone molto più mature di noi, quando siamo solo diciassettenni che non sanno nulla sul mondo.

Sappiamo solo che siamo oppressi, annoiati, devastati, terrorizzati dalle vostre verifiche, dalle vostre interrogazioni, dalle vostre parole. Ho delle domande per tutti voi, siate sinceri almeno con voi stessi, perché insegnate? Quando ci guardate cosa vedete? Credete che essere insegnanti sia un lavoro sociale?
NB: un mio pensiero".