Nuova Scena ci ha aperto gli occhi su quanto il linguaggio del talent parli (davvero) a tutti
Per anni abbiamo pensato che il mondo del rap e quello dei talent show fossero inavvicinabili, diametralmente opposti. Per quanto culturalmente il rap provenga da un contesto completamente diverso da quello televisivo, Nuova Scena ci ha provato che invece una connessione ci può essere eccome. Il talent targato Netflix dispone di regole studiate ad hoc… Leggi di più »Nuova Scena ci ha aperto gli occhi su quanto il linguaggio del talent parli (davvero) a tutti The post Nuova Scena ci ha aperto gli occhi su quanto il linguaggio del talent parli (davvero) a tutti appeared first on Hall of Series.

Per anni abbiamo pensato che il mondo del rap e quello dei talent show fossero inavvicinabili, diametralmente opposti. Per quanto culturalmente il rap provenga da un contesto completamente diverso da quello televisivo, Nuova Scena ci ha provato che invece una connessione ci può essere eccome. Il talent targato Netflix dispone di regole studiate ad hoc per un genere che aveva solo bisogno della giusta chiave espressiva per poter essere credibile. Ed è proprio credibilità la parola giusta, la chiave. Nuova Scena – che potete recuperare qui – è un prodotto elitario destinato a una nicchia di appassionati, non per tutti. E a prescindere dal purismo del caso, è innegabile che abbia ampliato il raggio comunicativo dei talent show come li conosciamo.
Nuova Scena è davvero riuscita a smontare il paradosso del rap nei talent show? (qui trovate la nostra recensione della prima parte)
Fin dall’alba dei talent, soprattutto in Italia, il mondo del rap ha sempre viaggiato su un binario parallelo. L’opinione pubblica comune è sempre stata della stessa idea. Il rap è sempre stato considerato un genere diverso, grezzo, basato sull’autenticità e sulla spontaneità, profondamente legato alla strada. Il pubblico del rap invece ha sempre considerato il mondo dei talent come un contesto patinato, costruito, indirizzato a confezionare emozioni “televisive”. Il concetto di realtà è la base portante della musica rap, motivo per cui è sempre stato difficile accostarla a un mondo come quello della tv. Per non parlare poi dei singoli artisti, divisi da un paradosso quasi politico: chi “ce la fa da solo” e chi ha bisogno di un trampolino di lancio per acquisire visibilità. Ma poi le regole del panorama discografico sono cambiate, e nel maremagnum odierno anche i giovani rapper avevano bisogno di un’alternativa.
Il più grande merito di Nuova Scena è stato scardinare tutti questi limiti. Certo, parliamo di un discorso ancora troppo fresco, ma il talent show di Netflix ha dimostrato che esiste una vetrina anche per artisti provenienti da quel mondo. Nuova Scena è riuscito a costruire un percorso in linea con le necessità del rap in termini di meritocrazia. D’altronde la maggior parte degli artisti in gara sono emergenti che, negli anni, hanno sudato parecchio per conquistarsi un piccolo spazio nel rap game. Uno come Cuta, vincitore della seconda edizione, è l’esempio perfetto. Anni di battle in giro per l’Italia, tra viaggi della disperazione senza un euro in tasca per il solo gusto di mettersi in gioco e provarci. E’ per talenti come lui che Nuova Scena rappresenta un modo in più, un’opportunità impensabile fino a qualche anno fa. Soprattutto in Italia.
Nuova Scena ha capito una cosa fondamentale: non puoi incastrare il rap nelle strutture televisive tradizionali senza snaturarlo
A differenza di tanti altri talent show, i più classici, Nuova Scena è costruito appositamente per un genere ben definito. Il rap non può essere giudicato con la stessa griglia con cui vengono valutati i cantanti pop o i ballerini. Non si può raccontare con gli stessi toni rassicuranti. Ciò che era necessario per vincere questa sfida era accettare il suo linguaggio, le sue dinamiche, la sua estetica. Il rap non può slegarsi dal concetto di verità di cui parlavamo. Ed è proprio questo il segreto del successo del format italiano: non ha cercato di addomesticare il rap, ha solo costruito uno spazio in cui potesse esprimersi senza compromessi. Ciò che stupisce di più di Nuova Scena è la capacità di un linguaggio televisivo – quello del talent – di adattarsi a un genere che, in teoria, lo avrebbe rifiutato in blocco.
I talent show hanno sempre avuto l’ambizione di raccontare storie e sogni prima ancora di raccontare l’artista. Ma raramente aveva trovato una corrispondenza così potente tra narrazione individuale e racconto collettivo come nel caso del rap. Questo perché è lo stesso genere a essere autobiografico. Un genere che nasce dall’esigenza di raccontarsi e di denunciare realtà altrimenti senza voce. E’ questo il motivo per cui Nuova Scena è una dimostrazione plastica di come il linguaggio del talent sia più fluido di quanto pensassimo. È capace di adattarsi, trasformarsi, uscire dai suoi schemi tradizionali, a patto che lo si tratti con rispetto e competenza. Un compromesso storico che accetta i riflettori, un pizzico di quella patina tanto temuta fino a poco tempo fa. Ora l’industria musicale sa che il rap può funzionare anche in tv, e questo non fa altro che ampliare gli orizzonti del genere.
Protagonisti di questo successo sono i concorrenti e i giudici, simboli di appartenenza imprescindibili per la riuscita dell’esperimento
I giudici di Nuova Scena non sono solo star, ma interpreti culturali. Fabri Fibra, Geolier e Rose Villain sono parte integrante di un movimento. Fibra è uno dei padri artistici della maggior parte dei rapper italiani attualmente in auge. Geolier meriterebbe un caso di studio per tutto ciò che ha costruito nonostante la sua giovane età, e Rose Villain rappresenta proprio quel ponte prima insperato tra rap e pop. Non tre celebrity in cerca di esposizione, ma tre artisti profondamente immersi nella cultura urban italiana, con percorsi diversi ma complementari. Insieme funzionano perché non si limitano a giudicare le performance, ma decodificano, traducono e interpretano per il pubblico a casa. Offrono ai concorrenti strumenti per crescere e al pubblico strumenti per capire. È un ruolo pedagogico, ma privo di quei paternalismi spesso dannosi per gli stessi artisti.
I concorrenti hanno così a disposizione una guida che non impone, che non indirizza. D’altronde il rap è attitude, Nuova Scena fornisce degli strumenti, ma gli artisti devono vedersela da soli nel complesso rap game italiano. Non c’è voglia di imitare, ma di proporre un’identità. E la struttura del talent rende possibile tutto ciò. Lo fa attraverso la battle di freestyle, le critiche senza peli sulla lingua, ma soprattutto lasciando ai concorrenti tutto il peso sulle spalle: sono i soli artefici del proprio destino. Per questo non è un talent per tutti e le critiche sui modi poco edulcorati dei giudici non hanno senso. Nuova Scena cerca di essere tagliente proprio come il genere che racconta: crudo, a volte spietato, anche sotto questa nuova pelle.
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