Museo Novecento, Marion Baruch e cinque Messaggere del futuro in mostra a marzo

Doppio appuntamento al Museo Novecento, con l'esposizione di cinque giovani artiste in occasione della Festa della Donna e la retrospettiva curata da Sergio Risaliti e Stefania Rispoli sull'artista rumena, in programma dal 15 marzo.

Mar 7, 2025 - 18:34
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Museo Novecento, Marion Baruch e cinque Messaggere del futuro in mostra a marzo

Firenze, 7 marzo 2025 - Tra terreno e celeste. Materia sublimata dalla luce che racconta la dimensione sociale e spirituale del nostro tempo attraverso lo sguardo rigoroso e sensibile dell'universo femminile. Non è quindi casuale se la prima delle due mostre in programma al Museo Novecento inauguri proprio domani, in occasione della Festa delle Donne: le sale del piano terra, storicamente riservate al nutrimento dell'anima e del corpo delle suore leopoldine, ospitano le opere di una nuova generazione di artiste che si interrogano se in un'epoca complessa, drammatica e distruttiva vi sia ancora uno spazio personale e pubblico dove sperimentare la fede, la ritualità, la trascendenza. 

La torinese Chiara Baima Poma lo fa rileggendo e attualizzando la tradizione della pittura sacra medievale e rinascimentale con dipinti e collage che esplorano le immagini, la luce e i colori della vita: la sua ispirazione deriva dall'osservazione dei riti collettivi e delle pratiche quotidiane della comunità senegalese Baye Fall, tra patchwork colorati, turbanti, cinture in pelle e stratificazioni di tuniche iridescenti.

L'arte della pescarese Lucia Cantò si accende invece di improvvise epifanie, tradotte in forma di poesie e appunti, e poi in uno studio clinico e approfondito sulle potenzialità espressive dei materiali: centrale è l'immagine polisemica del vaso, che ricorre sia in "Atti certi per corpi fragili" - coppie di vasi industriali assemblati e ricoperti di argilla - che nell'unico esemplare in terracotta di "Madre", conclusa da alcuni pensieri della madre in superficie. Ma un'indagine simile ritorna anche negli inediti "Venere" e "Ti dico un segreto continua a guardarmi", e nell'installazione in argilla cruda e gres "Peso che arrivi al mio peso II", che ricalca la forma interna degli ex voto.

La dialettica tra le conoscenze in ambito fisico-matematico e le influenze delle religioni buddhiste e induiste animano il percorso intellettuale dell'indiano Parul Thacker, che intreccia procedimenti artigianali, arcane simbologie e complessi calcoli numerologici dietro ai propri disegni, pannelli e installazioni in tessuto: come quella fluttuante "The Book of the Time - Travelers of the Worlds: The one by Whom all Live, who lives by none", frutto della felice combinazione tra grandi tele di organza di seta, leggere e ricamate a mano, e composizioni sonore ottenute da esecuzioni strumentali con il Rudra veena e registrazioni in presa diretta effettuate nel corso del suo soggiorno nel circolo polare. 

Si muovono infine tra ricordi personali e memoria collettiva i lavori di Tuli Mekondjo e Fatima Bianchi: se lo scultore algerino ci mette in contatto con le ferite e la brutalità della colonizzazione attraverso arazzi e fili di rame che ripercorrono il genocidio dei popoli Herero e Nama durante l'occupazione tedesca della Namibia, la cineasta milanese utilizza il montaggio nell'installazione video "Les dissidentes" per riflettere sulla condizione femminile, trasportando il pubblico in una dimensione onirica e allegorica sulle sponde dell'isola dove sono state confinate alcune madri dissidenti. 

Instancabile e cosmopolita, nata in Romania ma vissuta tra Francia, Italia e Israele, Marion Baruch ha sviluppato lungo mezzo secolo un approccio personale al formalismo, muovendosi con disinvoltura e autonomia tra Arte Concettuale e Minimalismo, Critica Istituzionale e Arte Relazionale. "Un passo avanti tanti dietro", curata da Sergio Risaliti e Stefania Rispoli, ne ricostruisce in maniera non lineare la carriera, dagli esordi negli anni Sessanta alle sculture performative realizzate con designer come AG Fronzoni e Dino Gavina, dalla nascita di Name Diffusion alle opere collettive e relazionali del periodo parigino, fino a quelle in tessuto prodotte dopo il Duemila a Gallarate: comune è la consapevolezza del valore politico e sociale della creazione, che si interroga costantemente su problematiche come lavoro, migrazioni, patriarcato e consumismo.