Meno crescita più inflazione, questo l’impatto di Trump 2.0 sull’economia globale
Secondo una simulazione dell’Amundi Investment Institute, i dazi potrebbero incidere sulla crescita economica nella misura dello 0,2%-0,3% e far salire l’inflazione dello 0,3% sia nei Paesi che impongono i dazi, sia nei Paesi che li subiscono. L'articolo Meno crescita più inflazione, questo l’impatto di Trump 2.0 sull’economia globale proviene da FundsPeople Italia.

Meno crescita più inflazione. Questo l’impatto del Trump 2.0 sull’economia globale. Secondo una simulazione dell’Amundi Investment Institute i dazi potrebbero incidere sulla crescita economica nella misura dello 0,2%-0,3% e far salire l’inflazione dello 0,3% sia nei Paesi che impongono i dazi, sia nei Paesi che li subiscono.
L’impatto atteso sugli Stati Uniti sarebbe analogo: il pacchetto delle misure politiche di Trump dovrebbe ridurre la crescita dello 0.2% al 2% nel 2025 e meno del 2% nel 2026, e che farà innalzare l’inflazione al 2,5% nel 2025 (stima analoga a quella della Fed)”, affermano Mahmood Pradhan, Head of Global Macroeconomics e Annalisa Usardi, CFA Senior economist, Head of Advanced Economy Modelling di Amundi Investment Institute. “La deregulation e i tagli fiscali forniranno un supporto nel breve termine ma avranno anche il potenziale di mantenere i rendimenti alti visto l’elevato debito pubblico e i vincoli alla spesa privata. Sugli investimenti peserà anche l’annullamento di una parte dell’Inflation Reduction Act varato dall’ex presidente Biden”, avvertono gli esperti del gestore francese. L’incertezza sta rendendo più complicato anche il compito della Fed. “Finché non ci sarà più chiarezza prevediamo che la Fed rimarrà in modalità attendista sul breve termine, mentre i mercati si attendono tassi più elevati più a lungo”, dicono.
Impatti sull’Europa
L’Unione europea si prepara ad essere il prossimo bersaglio dei dazi statunitensi dopo Messico, Canada e Cina. Gli Stati Uniti rappresentano il maggior mercato di sbocco per le esportazioni dell’UE, e con oltre 500 miliardi di euro (20% delle esportazioni) costituiscono un mercato ben più grande di quello della Cina. Anche i dazi relativamente bassi (10%) potrebbero avere un impatto sostanziale: i Paesi più esposti potrebbero essere Germania, Irlanda e Italia, mentre Francia e Spagna sono i più protetti. “Stimiamo che nel 2025 la crescita diminuirà di circa un quarto di punto percentuale e scenderà allo 0,8%, minacciando di ostacolare la ripresa verso la crescita potenziale”, dicono dall’istituito di ricerca macro economica.
Conseguenze sul reddito fisso
Dall’insediamento di Trump, il mercato ha rivisto al ribasso il cosiddetto «Trump Trade» (i.e. titoli del settore tecnologico, il dollaro USA e le criptovalute), mantenendo però nel complesso un sentiment positivo. I riflettori sono ora puntati sugli annunci sul fronte della politica commerciale perché i mercati non hanno ancora pienamente scontato il mix potenziale delle politiche di Trump.
Riguardo al reddito fisso, secondo gli esperti di Amundi, i driver principali rimarranno l’inflazione e le aspettative sugli interventi della Fed. “Vista la posizione momentaneamente attendista della banca centrale americana, le sue prossime mosse dipenderanno in larga misura dagli annunci sui dazi e dai dati economici. Nel primo semestre dell'anno il contesto di mercato verrà probabilmente supportato dall’attuale quadro economico positivo, ma il clima di incertezza si aggraverà”, spiegano dal gestore. La previsione per i mercati obbligazionari è che la volatilità rimarrà elevata: i rendimenti dei treasuries decennali hanno continuato a scendere dopo l’insediamento di Trump e si sono attestati al 4,5%. Ma secondo il gestore, “viste le rinnovate minacce sui dazi, i rendimenti potrebbero nuovamente testare il livello del 4,8% entro la fine del primo trimestre prima di ridiscendere in caso di un indebolimento della crescita”.
E sulle azioni
Man mano che gli Stati Uniti implementeranno le politiche attese sui dazi, emergerà sul mercato una netta distinzione tra vincitori e vinti. “Si prevede che i tagli fiscali avvantaggeranno le aziende con una forte presenza negli Stati Uniti, in particolare le aziende statunitensi a piccola e media capitalizzazione e i titoli finanziari, nonché le aziende non statunitensi con attività produttive negli Stati Uniti”, dicono dalla casa di gestione. Per contro, i dazi probabilmente colpiranno i produttori non statunitensi, in particolare quelli dei Paesi con significativi deficit commerciali. “I settori che dipendono dalle esportazioni come quello automobilistico sono quelli più esposti al rischio, mentre i settori dei servizi come software, media e telecomunicazioni probabilmente daranno prova di una migliore tenuta”, evidenziano.
“Nel complesso, i titoli finanziari statunitensi presentano tutte le caratteristiche desiderate: sono nazionali, beneficiano della deregulation e potrebbero trarre vantaggio dai rendimenti obbligazionari persistentemente elevati se l'inflazione rimarrà viscosa o se il deficit di bilancio continuerà a essere elevato”, spiegano da Amundi.
Anche il settore delle materie prime e quello tecnologico potrebbero trarre vantaggio dai minori oneri normativi. “L’intelligenza artificiale (IA) continuerà a essere un tema dominante sul mercato come evidenziato anche dal ‘Progetto Stargate’. Tuttavia, il lancio del nuovo modello cinese DeepSeek costituisce una sfida per il settore dell’IA, che fino adesso è stato un simbolo dell'eccezionalismo statunitense”.
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