Mario Giordano e la voce gracchiante: «Ci ho sofferto tanto. Mi hanno consigliato una barba finta»
Il conduttore di Fuori dal Coro: ho tampinato per anni Feltri L'articolo Mario Giordano e la voce gracchiante: «Ci ho sofferto tanto. Mi hanno consigliato una barba finta» proviene da Open.

«La verità è che ci ho sofferto tanto, tantissimo. La mia voce gracchiante, con annesse difficoltà a pronunciare certe consonanti, mi faceva stare male anche da ragazzo. Quando ho iniziato a fare il giornalista, poi, è stato anche peggio: nelle conferenze stampa mi mettevo sempre in ultima fila, cercando di stare il più possibile defilato. In quelle condizioni, tutto avevo messo in conto meno una cosa: fare la tv». In un’intervista al Corriere della Sera il giornalista e conduttore Mario Giordano parla della sua voce e dei problemi derivati. Anche in occasione di una conferenza stampa con i russi «in piena perestrojka»: «Il direttore del settimanale diocesano per cui scrivevo, Domenico Agasso, mi dice “Giordano, vacci tu”. Poi però riflette, si figura la scena di me che con quella faccia e soprattutto quella voce faccio le domande a certi bestioni dell’Unione Sovietica, e mi fa, serio: “Scusa, Mario, ma non potresti almeno metterti una barba finta?”».
L’esordio in tv
Invece la tv ha cambiato tutto: «Esordii in televisione, con questa faccia e questa voce, in prima serata su Rai1, la sera del 7 gennaio 1996. Lavoravo nella redazione di Pinocchio , il programma di Gad Lerner, preparavo le schede. Un giorno Roberto Fontolan, che era il vice di Gad, mi propose di andare in video e di leggerle direttamente io. Ho capito solo dopo che per la tv valgono certe regole opposte rispetto alla carta stampata: nella prima un difetto forte, alla lunga, diventa un valore aggiunto». Dice che il primo voto l’ha dato «ai Radicali, in virtù di quel conservatorismo ultra-liberista di destra di cui le proposte economiche del partito di Marco Pannella era imbevuto. Poi però mi sono pentito: la mia coscienza di cattolico rinnega quei voti giovanili».
Vittorio Feltri
Al giornalismo è arrivato attraverso «Il nostro tempo, settimanale diocesano di un certo prestigio, ci scriveva anche Giovanni Arpino; c’era anche Marco Travaglio, che stava un gradino sopra di me. Brevi, fotocomposizione, visto che all’epoca i pezzi non venivano ancora scritti al computer, cose così. Travaglio iniziò a collaborare col Giornale e a seguire anche io, facevo i pezzi sullo sport da Torino. A fine anni Ottanta iniziai a tampinare Vittorio Feltri, che dirigeva l’ Europeo». Lo ha fatto «in tutti i modi. A cominciare da un quantitativo indefinito di lettere. Lui scriveva una celebrazione dei duecento anni delle guerre di Vandea, rivendicando di essere il solo a parlarne? Io gli mandavo il mio articolo sul settimanale diocesano, segnalandogli che l’avevo fatto anche io».
Le risposte
Le risposte? «Una su cento. Sulla Vandea però mi rispose una cosa tipo “bravo, bel pezzo, ma prima di lavorare in un grande giornale di questi pezzi devi scriverne almeno tremila”». E poi? «E poi nulla. Feltri scriveva un editoriale contro le Poste che non funzionavano? Io coglievo la palla al balzo, prendevo carta e penna e gli scrivevo: “Caro Feltri, dici che le Poste non funzionano, sarà per questo che forse non hai ricevuto le mie lettere precedenti…”. Poi arrivò un colpo di fortuna: assunto come praticante all’ Informazione , quotidiano fondato da Mario Pendinelli: era il 1994, ero già sposato, con un figlio e un altro in arrivo».
La carriera
Parla della moglie e degli inizi della carriera: «Ho conosciuto Paola in parrocchia. Lei ha cresciuto i figli, che poi sarebbero diventati quattro; oggi si occupa di organizzazione di eventi. Arrivati a Milano, campavamo una famiglia con lo stipendio da praticante. Poi l’ Informazione chiuse e mi ritrovai in mezzo a una strada. Da lì ricominciai a tampinare Feltri, che nel frattempo era passato alla direzione del Giornale. Intercettavo chiunque, dai dimafonisti che avevo conosciuto quando dettavo i pezzi da Torino a quelli che gli portavano il caffè dal bar».
Berlusconi
Infine, il ricordo di Silvio Berlusconi: «Divenni direttore di Studio Aperto senza averlo mai conosciuto. Avevo parlato con Fedele Confalonieri, ovviamente con Mauro Crippa, e poi avevo conosciuto Pier Silvio, che aveva preso in mano le redini dell’azienda; Berlusconi padre invece non l’avevo mai visto. La prima volta capitò a una cena di Natale ad Arcore, quella con tutti i direttori». Impressioni: «Lui su di me? Dalla prima all’ultima volta che l’ho incontrato ha sempre criticato il fatto che stessi in tv con la giacca sbottonata». Ma non l’ha mai accontentato: «Non riesco a stare con la giacca abbottonata né con la cravatta in ordine. Però Studio aperto funzionava alla grande: tantissima cronaca nera, moltissimi pezzi sul Grande Fratello , che fino ad allora non trovava cittadinanza nei notiziari, nemmeno in quelli di Mediaset».
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