L’agghiacciante pratica degli “zoo umani” dove le persone ritenute “primitive” venivano messe in mostra in gabbie e recinti

Gli “zoo umani” rappresentano una delle pratiche più disumanizzanti della storia occidentale, nate nel contesto del colonialismo e alimentate dalla pseudo-scienza razzista dell’epoca. Tra il XIX e il XX secolo, migliaia di persone provenienti da Africa, Asia, Americhe e Oceania venivano esibite in gabbie o in ricostruzioni dei loro villaggi “primitivi”, come se fossero animali...

Gen 27, 2025 - 15:33
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L’agghiacciante pratica degli “zoo umani” dove le persone ritenute “primitive” venivano messe in mostra in gabbie e recinti

Gli “zoo umani” rappresentano una delle pratiche più disumanizzanti della storia occidentale, nate nel contesto del colonialismo e alimentate dalla pseudo-scienza razzista dell’epoca. Tra il XIX e il XX secolo, migliaia di persone provenienti da Africa, Asia, Americhe e Oceania venivano esibite in gabbie o in ricostruzioni dei loro villaggi “primitivi”, come se fossero animali o curiosità etnologiche.

Lo scopo principale era rafforzare l’idea della superiorità delle civiltà europee e giustificare la dominazione coloniale. Presentati come esempi di “popolazioni primitive” o “naturali”, questi esseri umani venivano spesso messi in mostra in condizioni degradanti, rinchiusi in recinti che simulavano ambienti tradizionali.

Uno dei casi più noti è quello di Saartjie Baartman, conosciuta come la “Venere ottentotta”, una donna sudafricana esibita in Europa nei primi dell’Ottocento a causa della sua particolare conformazione fisica.

Dopo la sua morte, il suo corpo venne sezionato e i suoi resti furono esposti in un museo fino al 1974, dimostrando il disprezzo per la sua dignità umana. In modo simile Ota Benga, un giovane pigmeo congolese, fu esposto nel 1906 allo zoo del Bronx, rinchiuso in una gabbia con un orango per rappresentare un presunto “anello mancante” nell’evoluzione.

In Italia si diffusero soprattutto durante il fascismo

Le prime testimonianze di questo fenomeno risalgono al periodo del colonialismo, quando Cristoforo Colombo portò indigeni americani in Europa come trofei viventi. Durante il Rinascimento, personalità come il cardinale Ippolito de’ Medici collezionavano non solo animali esotici, ma anche persone di diverse etnie. Tuttavia gli zoo umani moderni si affermarono con il crescente imperialismo di fine Ottocento.

In Italia gli zoo umani si diffusero soprattutto durante il periodo fascista, spesso come strumento di propaganda coloniale. A Napoli, durante la Triennale, furono esposti 60 etiopi ed eritrei in un villaggio ricostruito, fino a quando la guerra interruppe l’evento. Questi individui, liberati successivamente dai partigiani, si unirono in molti casi alla Resistenza, testimoniando la loro lotta contro chi li aveva umiliati.

Anche in altri Paesi europei le esposizioni etnologiche ebbero enorme popolarità. All’Esposizione Universale di Bruxelles del 1958, ad esempio, fu ricostruito un villaggio congolese dove i visitatori trattavano le persone esposte con un disprezzo crudele, tirando loro banane se non reagivano.

A Parigi, il Jardin zoologique d’acclimatation ospitò decine di “mostre etnologiche”, mentre eventi come le Esposizioni universali del 1889 e del 1900 includevano “villaggi indigeni” popolati da individui provenienti da colonie francesi. Queste pratiche durarono fino alla metà del XX secolo, contribuendo a diffondere pregiudizi razziali e a giustificare teorie pseudo-scientifiche che sostenevano la gerarchia delle “razze”.

Oggi, queste mostre sono considerate un simbolo di razzismo e deumanizzazione. Tuttavia i loro effetti persistono nelle disuguaglianze e nei pregiudizi ancora presenti. La consapevolezza su questo passato vergognoso è fondamentale per comprendere le radici di molte discriminazioni odierne e per promuovere una società più giusta e inclusiva.

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