La rivolta dei minatori agli albori del fascismo. Il delitto che sconvolse l’opinione pubblica

La morte dell’ingegner Longhi nel marzo 1921 a Castelnuovo dei Sabbioni raccontato nel libro di Mannino avviò un periodo di violenze

Mar 16, 2025 - 06:08
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La rivolta dei minatori agli albori del fascismo. Il delitto che sconvolse l’opinione pubblica

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Un colpo sordo, forse due, sparati in mezzo alla folla di minatori inferociti per la paura che da un momento all’altro arrivasse un camion carico di camice nere. L’ingegner Longhi cadde subito a terra, senza vita. La sua visita alla miniera di Castelnuovo, nel comune di Cavriglia, da quella di Baccinello, si concluse trasformandosi in tragedia. Il 23 marzo 1921, ovvero centoquattro anni esatti fa tra pochi giorni, avvenne l’uccisione di Agostino Longhi, ingegnere delle miniere di Baccinello in visita appunto alle miniere di Castelnuovo.

L’episodio avvenne in un contesto storico infuocato, costituito da scioperi, licenziamenti, ascesa e affermazione del fascismo in Italia e ovviamente anche in provincia di Arezzo. Sta di fatto che quel giorno di marzo a Castelnuovo avvenne l’epilogo di una serie di vicende che si erano succedute da tempo e un tumulto operaio si trasformò in un grave fatto di sangue. Nelle miniere valdarnesi quella mattina si era infatti sparsa la voce che fossero stati in arrivo degli squadristi fiorentini.

Così i minatori presero possesso dell’intera zona lignitifera assediando la palazzina della direzione. Il direttore Raffo, vista la situazione, decise di intervenire per calmare gli animi, durante una discussione venne ferito a una gamba. Fu fatta richiesta per trasportarlo presso l’ospedale di Figline e proprio quando si trovava all’interno dell’auto pronta a partire, Longhi, scambiato per errore come commissario di polizia, venne ucciso.

Un fatto che sconvolse l’opinione pubblica, al quale seguì una vera e propria devastazione del movimento operaio di tutto il Valdarno da parte dei fasci di combattimento e che sta agli albori della nascita del movimento fascista, che di lì a poco avrebbe travolto la storia italiana e mondiale.

La vicenda di Castelnuovo, che per l’avvento e la contestualizzazione storica del fascismo in provincia di Arezzo fu un fatto primario, viene narrata con dovizia di particolari nel libro "La marea nera, origini e avvento del fascismo ad Arezzo e provincia 1915-1924" di Salvatore Mannino, edito da Aska e uscito da poco. Nel volume l’autore, giornalista e storico, inquadra perfettamente, come pochi altri avevano fatto prima, le tappe fondamentali percorse dal primo fascismo a livello nazionale, collegandole a quelle relative alla provincia di Arezzo in maniera molto efficace, riuscendo a mettere in risalto e a dare grande valore anche alle vicende locali, attinenti alle campagne ed alle vallate del territorio, proprio come quella di Castelnuovo dei Sabbioni che segnò profondamente la storia del Valdarno agli albori del fascismo.

Ma ovviamente quella storia non è l’unica ripercorsa nel volume composto da nove capitoli e 48 paragrafi, che in un mosaico storico ben costruito, con la prefazione di Camillo Brezzi, approfondisce molto il rapporto tra economia e società, esaminando il contesto storico italiano e aretino dall’Unità fino al 1914, lo scontro politico antecedente alla Grande Guerra e gli esiti generati sulle aspettative professionali dei reduci.

Nel capitolo quarto l’analisi si sofferma sulle lotte agrarie dell’estate del 1919 e sullo sciopero minerario, sulla crisi prodotta dai danni causati dall’economia di guerra e sullo scontento diffuso nei centri urbani con i moti del biennio rosso e sulle successive elezioni politiche. Fu proprio a margine di esse, a partire dal 1920, che l’Italia e la provincia di Arezzo suo malgrado conobbero la “marea nera”, vivendo nel 1921 il momento di massima violenza e di terribile picco con una miriade di episodi violenti, omicidi, agguati e repressioni.

La scelta analitica di arrivare fino al 1924, e quindi di non usare come termine di conclusione della ricerca il 1922, è stata determinata dalla situazione locale di Arezzo, che vide esplodere dissidi tra i capi del Partito, i dirigenti Frilli e Lupi, che, sostiene lo stesso autore, anticipano con i loro esiti la trasformazione del fascismo in una vera e propria dittatura. La ricerca, frutto di un lavoro durato anni e originariamente tesi di laurea dell’autore, si basa su un’ampia raccolta di fonti depositate nell’Archivio Centrale dello Stato e nell’Archivio di Stato di Arezzo ma, principalmente, si è sviluppata da un attento studio della stampa locale, dal quale si ricostruisce in maniera minuziosa lo svolgimento degli eventi.

L’analisi così non ha mai perso di vista la comparazione e la coniugazione tra la dimensione nazionale e quella provinciale della nascita del fascismo restituendo un affresco fondamentale per lo studio di un fenomeno che negli anni successivi avrebbe sconvolto non una provincia, non una regione e neppure un paese, ma il mondo intero. Certo, tutto questo non poteva neppure immaginarlo l’ingegner Agostino Longhi quel giorno di marzo di centoquattro anni fa, quando giunse da Baccinello a Castelnuovo con l’intento di implementare le sinergie del lavoro tra due miniere fondamentali per la Toscana di allora, e invece, mentre creava i presupposti per il lavoro e dunque per la vita, per caso nel posto sbagliato al momento sbagliato, trovò la morte.