Ilva, Urso “usa” il sequestro dell’Afo1 dopo l’incendio come alibi per la vendita in salita. Ma il vero nodo è l’Aia

L’incendio scoppiato dentro l’Ilva lo scorso mercoledì sta diventando l’alibi perfetto per nascondere il tortuoso iter di vendita impostato dal governo. Non è un caso se il ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso da giorni “usa” le decisioni della procura di Taranto per paventare l’ipotesi che Baku Steel, scelta come acquirente […] L'articolo Ilva, Urso “usa” il sequestro dell’Afo1 dopo l’incendio come alibi per la vendita in salita. Ma il vero nodo è l’Aia proviene da Il Fatto Quotidiano.

Mag 12, 2025 - 15:55
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Ilva, Urso “usa” il sequestro dell’Afo1 dopo l’incendio come alibi per la vendita in salita. Ma il vero nodo è l’Aia

L’incendio scoppiato dentro l’Ilva lo scorso mercoledì sta diventando l’alibi perfetto per nascondere il tortuoso iter di vendita impostato dal governo. Non è un caso se il ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso da giorni “usa” le decisioni della procura di Taranto per paventare l’ipotesi che Baku Steel, scelta come acquirente degli stabilimenti, decida di rinunciare. La realtà, nota da alcune settimane, è tuttavia un’altra: il negoziato con gli azeri è in salita e, soprattutto, la nuova Autorizzazione integrata ambientale in via di definizione è stata duramente contestata dai commissari di Acciaierie d’Italia che la ritengono di fatto “inattuabile” a causa di oltre 700 prescrizioni per un costo stimato di circa 1 miliardo di euro.

Il vero scoglio è l’Aia
È questo il vero nodo che mette a rischio il rilancio del siderurgico, non il sequestro senza facoltà d’uso dell’altoforno 1 deciso dal pubblico ministero Francesco Ciardo dopo l’incendio né la decisione del magistrato di attendere due giorni prima di dare il via libera alla possibilità di mettere in sicurezza l’impianto, evitando che il raffreddarsi del rivestimento ne comprometta l’utilizzo in futuro. Ma l’intervento della procura tarantina è ora la foglia di fico perfetta per Urso e il governo per nascondere il certo slittamento della trattativa con Baku Steel e le pesanti rimostranze di Acciaierie d’Italia alle scelte fatte dal gruppo istruttore del ministero dell’Ambiente riguardo all’Autorizzazione integrazione ambientale con la quale Ilva dovrebbe poter produrre fino a 6 milioni di tonnellate di acciaio l’anno nei prossimi dodici.

Si va verso nuova cassa integrazione
L’unico vero effetto del sequestro, inevitabile per accertare la rottura della tubiera che ha provocato la fuoriuscita di gas afo e un grosso incendio, è il rallentamento della produzione nell’immediato e la necessità di ricorrere a una cassa integrazione più massiccia, non solo a Taranto. Oggi sono 2.100 gli operai con ammortizzatore sociale ma l’azienda aumenterà i numeri, anche in altri impianti nel Nord Italia, e per questo ha convocato martedì alle 9 i sindacati locali e nazionali: l’ipotesi più probabile è che venga richiesta la cigs per un altro migliaio di dipendenti fino a quando non si potrà ricominciare a produrre l’acciaio anche dentro l’Afo1. Eventuali ulteriori problemi, invece, sono più che altro riconducibili all’Aia incagliata di fronte al gruppo istruttore – del quale fanno parte Regione Puglia, Provincia di Taranto e i Comuni di Taranto e Statte – a causa delle osservazioni presentate da Acciaierie d’Italia.

Per l’azienda la nuova Aia è “inattuabile”
Ne ha dato conto, diversi giorni prima dell’incidente, il Nuovo Quotidiano di Puglia. L’azienda ha presentato innumerevoli osservazioni alle 477 prescrizioni ambientali che fanno parte del parere istruttorio conclusivo, la base della nuova Autorizzazione integrata ambientale. Per Acciaierie, i quasi 500 adempimenti ne contengono in realtà oltre 700 per un costo stimato totale attorno al miliardo di euro: il provvedimento, ad avviso di Acciaierie, autorizza “solo formalmente” l’attività industriale ma nei fatti la rende “sostanzialmente inattuabile”. Per questo l’iter si sta allungando e proseguirà almeno fino al 21 maggio, poi dovrà essere il ministero dell’Ambiente a chiudere la vicenda con un decreto: i tempi cozzano con la volontà di definire l’accordo con Baku Steel entro giugno, evitando anche di dover trovare ulteriori risorse per mandare avanti l’azienda.

Ma Urso mette nel mirino la procura
Eppure Urso, dopo aver già criticato l’intervento della magistratura avanzando l’ipotesi che trasformi l’Ilva in una “nuova Bagnoli”, lunedì è tornato ad attaccare nonostante il via libera del pubblico ministero Ciardo ai lavori di messa in sicurezza: “Sto aspettando la relazione dei commissari sulle conseguenze che sono state arrecate, o che fossero state arrecate all’altoforno 1 dal mancato immediato intervento nella manutenzione dell’impianto. Solo al termine di questa relazione potrò manifestare con più compiutezza e responsabilità quali siano le conseguenze. Spero che non abbiano compromesso del tutto il percorso”, ha detto il ministro che sabato aveva già legato la funzionalità dell’impianto al negoziato. “Se non c’è la prima, il secondo si interrompe”, erano state le sue parole.

Per i magistrati “criticità” nella manutenzione
Nell’ambito dell’inchiesta della procura sono indagati tre dirigenti di Acciaierie d’Italia in amministrazione straordinaria: il direttore generale Maurizio Saitta, il direttore dello stabilimento Benedetto Valli e il direttore dell’area altiforni Arcangelo De Biasi. I reati ipotizzati sono omissione dolosa di cautele sui luoghi di lavoro e getto pericoloso di cose. A uno degli indagati è contestata anche la mancata comunicazione in base alla legge Seveso sull’incidente rilevante, a causa del quale tre operai hanno dovuto fare ricorso alle cure nell’infermeria dell’Ilva per ustioni di piccola entità, contusioni ed escoriazioni. Nel decreto di convalida del sequestro, come anticipato da La Gazzetta del Mezzogiorno, la procura evidenzia l’ipotesi di “criticità” nel ciclo produttivo e nella manutenzione dell’altoforno, riaperto lo scorso ottobre alla presenza di Urso dopo un fermo per lavori.

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