Adozioni: un iter lungo, costoso e complicato
«Io un figlio lo volevo. E per averlo le ho provate tutte. Prima la fecondazione assistita, poi l’adozione in Italia. E poi quella internazionale. Ma quando mi hanno presentato un conto da cinquemila euro, e non avevo ancora iniziato le pratiche per l’adozione in Brasile, mi sono tirata indietro. E ho rinunciato». A parlare è Silvia D., 42enne umbra che ha messo in un cassetto i suoi desideri di costruire una famiglia perché «non posso indebitarmi per inseguire una chimera». La chimera è quella di adottare un bambino che viene da un altro Paese. E la rinuncia coincide con quella di molti altri italiani per le stesse motivazioni. Tanto che negli ultimi anni il numero di minori adottati in Italia dall’estero ha registrato un significativo calo. Secondo i dati della Commissione per le adozioni internazionali (Cai), nel primo semestre del 2024 sono state concluse 234 adozioni da altri Paesi, in diminuzione rispetto alle 478 dello stesso periodo nel 2023 e alle 565 nel 2022. Un trend negativo evidente anche confrontando i dati con quelli di un decennio fa: nel 2011, infatti, furono adottati 4.022 minori stranieri, mentre nel 2023 il numero è sceso a 478, rappresentando una riduzione di quasi il 90 per cento. «Questi dati non devono stupire. L’adozione internazionale in Italia è un percorso a ostacoli, costellato di ritardi burocratici, costi insostenibili e scarsa tutela per le famiglie adottanti. Mentre altri Paesi la facilitano con procedure snelle e trasparenti, il sistema italiano sembra voler scoraggiare le coppie» ragiona l’avvocato Michela Scafetta, dell’omonimo studio legale che da decenni è in prima linea su questo tema.Effettivamente la situazione nel nostro Paese - che registra uno fra i tassi di natalità più bassi al mondo - è complicata. Per adottare, i requisiti fondamentali per legge sono una buona salute psicofisica e una stabilità economica, essere sposati da almeno tre anni ed aver compiuto i 25 anni di età (fondamentale poi non aver superato 45 anni per adottare un neonato, o 62 per un minore diciassettenne). Salvo rarissimi casi, non è prevista l’adozione da parte dei single. Mentre le coppie omosessuali sono escluse a prescindere. La trafila inizia con i colloqui conoscitivi presso la propria Asl di competenza, poi è necessario incontrare i servizi sociali che valutano le potenzialità genitoriali della coppia nonché lo stato psicofisico ed economico. La relazione che viene tracciata viene trasmessa al Tribunale dei minori che giudica se si è o meno in grado di adottare. Ottenuta l’idoneità - spesso dopo anni di attesa - la coppia può decidere se optare per l’adozione nazionale (che è sempre gratuita), per quella internazionale o per entrambe.«Chi sceglie l’adozione internazionale deve rivolgersi a un ente autorizzato dalla Commissione adozioni internazionali, che si occupa di individuare un minore e completare l’adozione all’estero» prosegue Scafetta. «In questo l’adozione internazionale rischia di rivelarsi come un vero calvario burocratico ed economico. Ma attenzione: è costosa non perché sia complessa, ma perché lo Stato ha delegato la fase più importante all’abbinamento con il bambino a enti privati che operano senza una regolamentazione chiara». Emblematici i listini che si trovano online. Come quello dell’Associazione romana Famiglia Insieme, che richiede per i quattro incontri di preparazione all’adozione 400 euro, che devono sommarsi all’«anticipo costi procedura Italia al conferimento mandato» (quattromila euro) e al saldo (altri mille euro). Ci sono poi le spese per la traduzione dei documenti (circa mille euro) che aprono le porte alla procedura di adozione il cui costo, presentato con i servizi resi dal referente estero, variano a seconda del Paese di provenienza del bambino. Per l’India - ad esempio - sono necessari 9.200 euro, per l’Armenia 25 mila (già compresi i costi di traduzione) e per la Colombia «solo» settemila. Ovviamente non sono incluse le spese di volo e di soggiorno all’estero, né i report post-adozione che si aggirano intorno ai 1.500 euro. Insomma, un salasso. «Oltre all’esborso per il viaggio, le coppie devono affrontare costi per traduzioni giurate, assistenza legale e mediazione linguistica, senza alcun controllo sulla tariffa. In alcuni casi, gli enti impongono contratti con clausole vessatorie che obbligano le famiglie a pagare anche se l’adozione non si conclude. Di recente, mi è capitato di invitare una famiglia a saldare l’ente pur non avendo raggiunto l’obiettivo, perché il contratto sottoscritto lo prevedeva» ricorda ancora l’avvocato. Ma ci sono casi ancora più inquietanti: coppie che da un giorno all’altro si sono visti negare l’adozione perché all’improvviso il Paese ha sospeso gli accordi per motivi politici o diplomatici. «È qualcosa che succede di frequente. Così come spesso accade che vengano sostituiti minori abbinati con altri magari di età maggiore, senza aver preventivamente reso partecipe la famiglia. In entrambi i casi lo Stato che cosa fa?


«Io un figlio lo volevo. E per averlo le ho provate tutte. Prima la fecondazione assistita, poi l’adozione in Italia. E poi quella internazionale. Ma quando mi hanno presentato un conto da cinquemila euro, e non avevo ancora iniziato le pratiche per l’adozione in Brasile, mi sono tirata indietro. E ho rinunciato». A parlare è Silvia D., 42enne umbra che ha messo in un cassetto i suoi desideri di costruire una famiglia perché «non posso indebitarmi per inseguire una chimera». La chimera è quella di adottare un bambino che viene da un altro Paese. E la rinuncia coincide con quella di molti altri italiani per le stesse motivazioni. Tanto che negli ultimi anni il numero di minori adottati in Italia dall’estero ha registrato un significativo calo. Secondo i dati della Commissione per le adozioni internazionali (Cai), nel primo semestre del 2024 sono state concluse 234 adozioni da altri Paesi, in diminuzione rispetto alle 478 dello stesso periodo nel 2023 e alle 565 nel 2022. Un trend negativo evidente anche confrontando i dati con quelli di un decennio fa: nel 2011, infatti, furono adottati 4.022 minori stranieri, mentre nel 2023 il numero è sceso a 478, rappresentando una riduzione di quasi il 90 per cento. «Questi dati non devono stupire. L’adozione internazionale in Italia è un percorso a ostacoli, costellato di ritardi burocratici, costi insostenibili e scarsa tutela per le famiglie adottanti. Mentre altri Paesi la facilitano con procedure snelle e trasparenti, il sistema italiano sembra voler scoraggiare le coppie» ragiona l’avvocato Michela Scafetta, dell’omonimo studio legale che da decenni è in prima linea su questo tema.
Effettivamente la situazione nel nostro Paese - che registra uno fra i tassi di natalità più bassi al mondo - è complicata. Per adottare, i requisiti fondamentali per legge sono una buona salute psicofisica e una stabilità economica, essere sposati da almeno tre anni ed aver compiuto i 25 anni di età (fondamentale poi non aver superato 45 anni per adottare un neonato, o 62 per un minore diciassettenne). Salvo rarissimi casi, non è prevista l’adozione da parte dei single. Mentre le coppie omosessuali sono escluse a prescindere. La trafila inizia con i colloqui conoscitivi presso la propria Asl di competenza, poi è necessario incontrare i servizi sociali che valutano le potenzialità genitoriali della coppia nonché lo stato psicofisico ed economico. La relazione che viene tracciata viene trasmessa al Tribunale dei minori che giudica se si è o meno in grado di adottare. Ottenuta l’idoneità - spesso dopo anni di attesa - la coppia può decidere se optare per l’adozione nazionale (che è sempre gratuita), per quella internazionale o per entrambe.
«Chi sceglie l’adozione internazionale deve rivolgersi a un ente autorizzato dalla Commissione adozioni internazionali, che si occupa di individuare un minore e completare l’adozione all’estero» prosegue Scafetta. «In questo l’adozione internazionale rischia di rivelarsi come un vero calvario burocratico ed economico. Ma attenzione: è costosa non perché sia complessa, ma perché lo Stato ha delegato la fase più importante all’abbinamento con il bambino a enti privati che operano senza una regolamentazione chiara». Emblematici i listini che si trovano online. Come quello dell’Associazione romana Famiglia Insieme, che richiede per i quattro incontri di preparazione all’adozione 400 euro, che devono sommarsi all’«anticipo costi procedura Italia al conferimento mandato» (quattromila euro) e al saldo (altri mille euro). Ci sono poi le spese per la traduzione dei documenti (circa mille euro) che aprono le porte alla procedura di adozione il cui costo, presentato con i servizi resi dal referente estero, variano a seconda del Paese di provenienza del bambino. Per l’India - ad esempio - sono necessari 9.200 euro, per l’Armenia 25 mila (già compresi i costi di traduzione) e per la Colombia «solo» settemila. Ovviamente non sono incluse le spese di volo e di soggiorno all’estero, né i report post-adozione che si aggirano intorno ai 1.500 euro. Insomma, un salasso. «Oltre all’esborso per il viaggio, le coppie devono affrontare costi per traduzioni giurate, assistenza legale e mediazione linguistica, senza alcun controllo sulla tariffa. In alcuni casi, gli enti impongono contratti con clausole vessatorie che obbligano le famiglie a pagare anche se l’adozione non si conclude. Di recente, mi è capitato di invitare una famiglia a saldare l’ente pur non avendo raggiunto l’obiettivo, perché il contratto sottoscritto lo prevedeva» ricorda ancora l’avvocato. Ma ci sono casi ancora più inquietanti: coppie che da un giorno all’altro si sono visti negare l’adozione perché all’improvviso il Paese ha sospeso gli accordi per motivi politici o diplomatici. «È qualcosa che succede di frequente. Così come spesso accade che vengano sostituiti minori abbinati con altri magari di età maggiore, senza aver preventivamente reso partecipe la famiglia. In entrambi i casi lo Stato che cosa fa? Nulla». E serve battersi in prima persona come hanno fatto gli aretini Francesco Zangrillo e Monica Maffei, che per accogliere dalla Cina il figlio adottivo hanno aspettato - prima per la pandemia, poi perché Pechino da un giorno all’altro aveva vietato le adozioni straniere - ben quattro anni e mezzo. Rinvii che si aggiungono a ritardi. È utile infatti sottolineare come dalla domanda all’autorizzazione ad adottare, in media - secondo i dati ufficiali del Cai - sono necessari quattro anni e cinque mesi. Un lunghissimo limbo che fa ovviamente allungare l’età degli adottanti (in media 48 anni per gli uomini, 47 per le donne) e dei minori, con picchi che vanno dai 10 anni per il Brasile agli 8 per l’Ungheria.
Anche per questo sul tema fioccano le interrogazioni parlamentari, come quella presentata a metà gennaio dalla senatrice Maria Domenica Castellone che punta ad avere chiarimenti rispetto l’attuazione dell’articolo 40 della legge n. 149 del 2001, che prevede l’istituzione di una banca dati relativa ai minori dichiarati adottabili e agli aspiranti all’adozione nazionale e internazionale, con l’obiettivo di garantire il miglior esito dei procedimenti di adozione. «Il problema» ragiona la deputata Stefania Ascari «è che la situazione delle adozioni è segnata da una burocrazia rigida e da criticità che spesso si rivelano ai danni degli interessi dei bambini stessi. Poco tempo fa ho portato alla Camera il caso di un ragazzo brasiliano, all’epoca dei fatti minorenne, adottato da una famiglia italiana e poi rimandato indietro, come un “pacco da rispedire al mittente”. Una vicenda orribile, ma fortunatamente non comune. Le adozioni internazionali sono fondamentali per offrire migliori opportunità di vita a chi si trova in situazioni di bisogno, perciò vanno sostenute e incentivate, sempre nel pieno rispetto del supremo interesse del minore e della sua sicurezza». Purtroppo storie di questo tipo sono meno rare di quanto si pensi. R.M., romana, ne ha vissuta una sulla sua pelle, appena pochi anni fa: «Con mio marito abbiamo impiegato circa un lustro per riuscire ad adottare un bambino dall’Ucraina. Quando lo abbiamo incontrato ci sembrava un po’ troppo timido, ma eravamo certi che una volta a casa si sarebbe abituato. Purtroppo le cose non sono andate così. Dopo due mesi con noi, ci guardava ancora come degli estranei, non parlava, mangiava a malapena. Abbiamo iniziato un calvario fra ospedali e specialisti. Poi un neuropsichiatra infantile ha chiarito la situazione: soffriva di un disturbo dello spettro autistico, che non ci era stato neanche lontanamente prospettato durante il lungo iter burocratico. È stata una doccia fredda. Abbiamo provato a farlo integrare nella nostra famiglia, ma alla fine abbiamo dovuto rinunciare».
E così, oltre ai problemi già citati, a monte delle adozioni internazionali serpeggiano anche altri dubbi che riguardano una scarsa trasparenza da parte degli enti che dovrebbero tutelare le coppie che aspettano un bambini. Numerosi sono gli «insider» che raccontano di come le cartelle cliniche - soprattutto quelle dei Paesi dell’Est - siano sovente molto generiche, e propense a sottovalutare i problemi psicologici e psichiatrici dei bambini. Ed è proprio un’opacità nella gestione dei minori - oltre a un giro economico molto confuso - che ha portato sempre più Stati dell’Unione europea a vietare le adozioni internazionali. Apripista sono stati Paesi Bassi e Danimarca, ma il dibattito è fervente in Norvegia e in Belgio. E anche la Svizzera si prepara a vietare le adozioni internazionali. Mentre in Italia, si sussurra fra un caffè e un aperitivo alla buvette, «questo è l’ultimo dei problemi. Non sapete dei 30 minori italiani che a Milano attendono ancora di essere adottati?».